Il dado è tratto?

Il dado è tratto?

La notizia recente che arriva dalla BCE è che la Lagarde vuole alzare i tassi di interesse. D’altra parte l’inflazione è cresciuta a dismisura e uno dei parametri dell’Unione Europea è proprio l’inflazione al 3%. Tuttavia, non tutti gli Stati sono affetti da semplice inflazione. La Banca Centrale Europea non può proporre politiche monetarie differenziate per Stati, così “One size fits all”, con tutto quello che ne consegue: chi sarà avvantaggiato, chi sarà penalizzato.

Come si pone l’Italia rispetto a questa decisione? Male, anzi malissimo. Stiamo vivendo un’epoca di stagflazione, caratterizzata da stagnazione economica e inflazione dei prezzi. L’inflazione che vediamo non è endogena, ma esogena, dipendendo in gran parte dall’aumento delle materie prime e dei costi dell’energia. Quindi non è indice di un’economia che cresce, ma di un’involuzione di tutto il sistema che porta il Paese a ripercorrere la traiettoria tipica delle depressione economica.

La stagnazione dipende da tre tipi di fattori: uno psicologico, che porta l’imprenditore a non investire laddove percepisca un clima sociale, politico, culturale non favorevole ai consumi. Il secondo è monetario, poiché per accedere al credito, qualora lo concedano, i tassi sono talmente alti da dover ambire a ROI della propria azienda spesso fuori dalla realtà. Tradotto, se prendo in prestito i soldi al 10% per fare business in qualche modo devo guadagnare almeno un 20% perché l’investimento abbia un senso. E un ritorno di investimento di questa portata è molto, molto problematico.

Il terzo elemento che blocca è speculativo, poiché l’interesse attivo che concedono le banche per il deposito. Se senza fare nulla posso ambire a raccogliere il 10% lascerò i soldi sul conto invece che rischiare in un ambiente altamente ostile.

Da parte dei lavoratori le cose non vanno molto meglio. Salari e pensioni non sono più indicizzati con la scala mobile. L’inflazione reale che abbiamo oggi non è inferiore al 30%, come sa chiunque vada a fare la spesa al supermercato o debba gestire una famiglia. Chi oggi può contare su 1000 euro deve sapere che tra un anno saranno 700 e tra due anni non arriverà a 500 euro reali. Con un potere di acquisto dimezzato la classe media sarà annichilita. Chi non riuscirà a tenere il passo venderà casa, dato che gli italiani sono tra gli europei che hanno il culto della proprietà della propria dimora.

La tensione sociale salirà, come successe negli anni Settanta, con radicalizzazione delle posizioni politiche e culturali, che porterà a una frattura dell’unità del Paese. Non riesco a immaginare che forma prenderà, ma sono convinto che uno dei possibili sviluppi sarà il social unrest.

Ora, una politica economica statale che non possa contare su una parallela politica monetaria è una sorta di anatra zoppa. Poteri finanziari internazionali, politiche monetarie europee, movimenti sociali nazionali, sono poli di una tensione politica che non si sa dove possa sfociare. I governi devono avere il coraggio di scegliere che indirizzo prendere per uscire da questa situazione di stallo.

Storicamente abbiamo due strade: il liberismo o la social-democrazia. Il primo predilige il lavoro dell’imprenditore privato, facilitandolo nella sua azione, nella convinzione che l’imprenditore non solo lavora, ma crea lavoro. Opera attraverso la riduzione delle tasse e proponendo agevolazioni per chi investe, mentre precarizza il lavoro, rendendolo insicuro, instabile e malpagato.

La social-democrazia invece succhia le energie dell’imprenditore con una tassazione esasperata, che però, negli Stati dove funziona, restituisce attraverso una serie di servizi sociali avanzatissimi che diffondono benessere a un numero elevato di persone.

In Italia stiamo in mezzo al guado. L’imprenditore viene tassato a livelli scandinavi, ma non ottiene nulla in cambio. Il lavoratore si è visto erodere negli ultimi venti anni tutte le sicurezze legate al lavoro. Una forza lavoro di età avanzata, quella italiana, che vede tra l'altro il sistema pensionistico posto a dura prova quanto a sostenibilità.

In pratica, lo Stato italiano mena a tutti indiscriminatamente, senza rendersi conto che l’economia sta entrando in spirale stretta.

Un fenomeno sociale o economico è reale quando qualcuno nella cerchia di persone intorno a te viene interessato da esso.

L’altro ieri, nel mio paesino in Umbria, ho saputo che il ristorante ha chiuso a causa delle bollette troppo alte, che il forno aprirà fino alle 11 di mattina per risparmiare, e che il negozio al centro del paese ha dovuto prendersi un periodo di stop per far fronte a spese insostenibili. Ebbene non mi preoccupo dell’attività in sé, ma del fatto che abbiamo quindici disoccupati in più.

Nel suo discorso di insediamento, Giorgia Meloni ha dichiarato che non bisogna mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole fare. Se alle parole seguiranno i fatti, il dado è tratto. 

Caro Antonio, riprendendo queste tue valide considerazioni da capace e acuto osservatore quale sei sempre stato, a dieci mesi dall'insediamento di questo governo, quale impressione stai traendo dalle loro scelte economico-sociali fatte, non fatte o tentennate?

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