Il duale e la schwa
Troppo sole fa male e la Giraffa ha fatto corto circuito tra due eventi in apparenza privi di assonanza tra loro che l’hanno indotta a ruminare su un tema, per la sua enormità, difficile perfino da circoscrivere. L’ho chiamato il duale e la schwa, ma prova a leggermi, caro lettore, che non so neppure io dove mi e ti condurrò.
Un libro e una conferenza
I due eventi sono la lettura di Viva il Greco di Nicola Gardini e una recente conferenza di Umberto Galimberti sulle difficoltà del mondo giovanile, tenuta al Teatro Parenti di Milano. La Giraffa ha una abitudine, non saprei dire se sana o malsana, di fare dei voli pindarici. Questo è uno.
Persona e πρόσωπον
Durante la sua conferenza Galimberti, che certo non indulge all’ottimismo, tra le sue digressioni, rifletteva sull’individualismo estremo che pervade la nostra società, mettendolo in relazione all’idea della salvezza dell’anima introdotta dal Cristianesimo. Una concettualizzazione che non mi aveva mai sfiorato e che mi ha stimolata, non tanto per abbracciarla o respingerla, quanto per riflettervi sopra.
La salvezza dell’anima è una priorità per il cristiano. la sua salvezza, sua come individuo e in quanto persona.
Parola questa, ‘persona’, di grande interesse. Secondo i più di origine etrusca - phersu era la maschera indossata a teatro –, la parola perde lentamente il valore di copertura e di schermo per farsi unione di materia e anima. Galimberti ha sottolineato la sua idea sulla contrapposizione tra il 'per sé' insito nella parola persona in latino, e la stessa parola nella versione greca, πρόσωπον (prósōpon). La prima racchiude in quel ‘sé’ una accezione egocentrica e chiusa dell’uomo, che ha come cura prioritaria sé stesso e, appunto, come sostiene Galimberti, secondo l’insegnamento cristiano, la propria anima. Il greco invece, sempre seguendo la suggestione di Galimberti, in quel πρόσ esprime un concetto di persona che ha in sé la vocazione alla vicinanza e alla alterità, alla dualità, in qualunque forma si manifesti.
Ed ecco il corto circuito con Viva il Greco. Breve digressione. Confesso di soffrire di una strana forma di feticismo. Stipo nella mia borsa, di marca Mary Poppins, alcuni libri, che cambio a seconda dei periodi e degli umori, e li porto con me ovunque, come una coperta di Linus. Alla conferenza di Galimberti avevo Viva il Greco e L'affare Vivaldi. Vabbè, sennò gli psicanalisti che ci stanno a fare? Chiusa la digressione.
La vocazione del greco alla dualità
Nelle prime pagine del suo inno d’amore per questa lingua, che definisce madre, Gardini, professore di Letteratura Italiana comparata a Oxford, scrive della “insopprimibile vocazione del greco a ragionare e a esprimersi per confronti”. Prosegue dicendo “che noi individui e società, abbiamo bisogno dell’arte del confronto, che ci insegni a riconoscere - e la Giraffa umilmente aggiunge ‘a preservare’- le differenze e le somiglianze, lo specifico e il generale”.
Gardini mi ha riportato al tempo del liceo, quando, in un rapporto di odio e amore, ero in lotta con il greco, che una cosa mi ha insegnato: a dubitare della strada presa. Perché quando traduci il greco e sbagli il significato di un verbo, che può dire tutto e il suo contrario, la tua versione (parola oggi che per me, adulta, assume non più il significato di compito in classe ma di prospettiva) cambia completamente.
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Il greco ti obbliga a non farti ingannare da ciò che vedi e senti, a non seguire solo la tua verità. Il greco sfugge a ogni omologazione, ti obbliga a ricercare, sprofondare dentro i significati e i sensi che diamo alla vita attraverso le parole. Non vuole che tu sopprima le tue emozioni, ma ti allena a generarne di nuove.
E sempre là si arriva a parare, temo, caro lettore: l’importanza di un uso accorto del linguaggio per preservare le sfumature, valorizzare le differenze e, con esse, gli altri umani. I discorsi oggi tendono a svuotarsi dell’Altro, ridotto a avatar precotto; a dir meglio, si svuotano proprio perché senza l’Altro, senza il confronto, in tutte le sue espressioni, dalle più pacate finanche alle più violente, la vita si opacizza, le parole, come gusci d'uovo vuoti, smarriscono i loro significati e noi ne smarriamo l’uso e la comprensione.
Quando c’è l’urgenza di imporre la propria visione di sé, il linguaggio si impoverisce, si affloscia, si ammorba, intriso e infradiciato di stanchi rituali da cui sparisce la varietà. Varietà che può arrivare solo dall’Altro.
La forma del duale
Gardini scrive che, con lo sparire della varietà, “sparisce la verità, che emerge sempre dalla discussione di alternative; e subentrano banalità, tendenziosità, il fastidio del diverso. Gli altri non interessano più, e si fa avanti un Io, che proprio perché non sa dire nulla né su di sé né sugli altri, continua a cercarsi nella banale pretesa di esserci gridando”.
La denuncia, perché anche di questo si colorano le parole di Gardini, prosegue lucida, con il richiamo a imparare dal greco, una lingua che aveva addirittura una forma, il duale, usata molto da Omero e Platone, per esprimere la duplicità in tutte le sue manifestazioni.
I Greci si sentivano un popolo ma erano divisi e spesso in lotta fra loro, spinti a unirsi solo dalla minaccia di aggressioni nemiche. In tutto questo continuo destreggiarsi tra paci e guerre, tra esperimenti politici di varia natura, tra vita e morte, amore e odio, che si rincorrono nei miti e nella loro letteratura, ci hanno insegnato, con la loro lingua, il valore dell’Altro e l’importanza di riconoscerlo, anche quando ci è inviso o finanche nemico.
Una lezione che passa, anche e soprattutto, dall’uso della parola, dal suo ricercarla e dosarla, come una medicina che può fare del gran bene, se somministrata con cura, o del gran male in caso contrario.
La Schwa e la rucola
E quindi perdonerai, caro lettore, se arrivo a parare dove neppure avrei pensato all’inizio di questo mio pindarico ruminare, ma la Schwa, con la sua pronuncia che quasi evoca la svastica, quello strano simbolino che irrompe nelle nostre frasi, proprio non mi va giù, perché epura, azzardo, violenta la differenza, ridotta a massa mista, uniforme, incolore, intruppata nell’assenza di sfumature, sacrificata sull’altare dei nuovi miti della diversity e dell’inclusion, parole suadenti e ingannevoli, queste sì, che mi auguro facciamo presto la fine che dovrebbe fare la rucola dai piatti dei ristoranti: sparire.
Sparire per lasciare il posto a quei miliardi di universi diversi, chiamati persone, che, spero, e Galimberti mi perdonerà se evoco la speranza, insieme alla salvezza della loro anima possano curarsi di quella degli Altri, perché avranno anche le giuste parole per farlo.
P.s. Qualche lettrice si è mai in questi mesi sentita meno inclusa perché uso l'espressione "caro lettore"? O lo ha mai neppure notato? O ha letto in questo gesto una mancanza di rispetto per lei da parte della Giraffa? O qualche lettore si è gonfiato il petto perché ha pensato che la Giraffa si rivolgesse solo a uomini? Mi incuriosisce saperlo. Non potrò che prenderne atto, naturalmente, sempre e solamente come fa la Giraffa: con un sorriso.
Learning Specialist
9 mesiHo notato “caro lettore” ma non mi sono sentita meno inclusa, per abitudine. Per usare una metafora cara alla cavalleria: non considero il maschile plurale una porta sbattuta in faccia, come non considererei il femminile una porta tenuta aperta per farmi passare per prima. Considero però il maschile+femminile (lo ə, l’*, la u), in contesti generalisti, una porta tenuta aperta da qualcuno che mi ha vista e quindi, entrando, aspetta alcuni secondi e la tiene aperta anche per me. Scegliere di non perseguire una strada così semplice per velocità/abitudine è, a parer mio, mancanza di cura. Per quanto riguarda l'uso dello ə, mi limito a 2 considerazioni. Non è questione solo linguistica, come non lo sono avvocata o ingegnera. È una proposta di soluzione linguistica a una questione culturale che ha effetti quotidiani sulle vite delle persone. Parlare dello ə focalizzandosi solo sul piano linguistico, lo può fare la Crusca, forte del proprio ruolo, ma noi possiamo spingerci oltre. Infine, lo ə non "epura la differenza rendendola massa uniforme": è uno dei veicoli del tentativo di non limitare il riconoscimento delle differenze al classico dualismo di genere. Lo ə vuole essere apertura al molteplice e alla convivenza delle differenze.
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10 mesiBuongiorno Alessandra, c'è anche un bellissimo film di Ingmar Bergman, che si intitola "Persona", interpretato da 2 splendide attrici. Liv Ullmann e Bibi Andersson. Puo' contribuire, secondo me, ad approfondire il dibattito che tu hai avviato. Buona giornata!
Meravigliosa questa giraffa! Le riflessioni indotte dalla struttura linguistica del greco antico (ecco i miei strumenti di allora) rispecchiano in maniera straordinaria il connubio dell'alterita' fra soggetti, elemento ancestrale della conoscenza umana, che purtroppo abbiamo smarrito. Esse mi riportano indietro agli anni del Liceo ove Storia, Letteratura, Filosofia e Lingue Antiche mi attraversavano in un continuum che in realtà si e' poi dimostrato grande abilitatore alla conoscenza e alle relazioni. E altrettanto notevoli sono le riflessioni ispirate da Galimberti sulle assonanze individualistiche della fede / salvezza nel percorso di un credente. Ma stavolta fai una considerazione finale che mi pare totalmente condivisibile: "Quando c’è l’urgenza di imporre la propria visione di sé, il linguaggio si impoverisce, si affloscia, si ammorba, intriso e infradiciato di stanchi rituali da cui sparisce la varietà. Varietà che può arrivare solo dall’Altro". Nulla da aggiungere, se non capire nel nostro vissuto relazionale, aziendale o ancor più sociale, quanto per imporre le nostre idee impoveriamo il nostro linguaggio. E non è cosa banale. Complimenti e buona settimana.
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10 mesiMagistrale. Non potevo non condividere. 🙏👍
Dipendente dell'Università degli Studi di Milano
10 mesi(2° parte) Non entro nella dialettica, tuttavia incoraggio tutti a prendere in mano il testo 'nudo' del Vangelo, nelle sue quattro versioni (anche solo da questo si percepisce l'inclusione e l'accettazione della diversità!) di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, di cui solo il primo e l'ultimo erano effettivamente discepoli e poi Apostoli di Gesù, il Cristo. Il testo trasuda di fatti e parole di comunione, di amore senza barriere, di servizio agli altri, di ampiezza d'animo (e correzione per chi restringe il proprio cuore). Il cristianesimo - forse con qualche eccezione in alcune espressioni protestanti e calviniste - è un dono di salvezza che si diffonde a cerchi concentrici: come un sasso che nell'acqua crea ondine via via sempre più larghe. La fede cristiana mi dice che mi salverò solo se avrò aiutato molti, possibilmente tutti, a intraprendere questo cammino.