Il feedback che vorrei

“Cercate di lasciare il mondo un po' migliore di come l'avete trovato” scriveva Baden Powell nel suo Ultimo messaggio agli esploratori. Cosa avrà a che fare lo scoutismo con il mondo professionale, obietterete voi. Aldilà delle opinioni personali, questa è una delle citazioni di B. P. che ho amato di più, fino a farne una sorta di filosofia di vita. E allora perché non poterla applicare anche alla vita professionale, lì dove il mondo altro non è che l’ufficio, i colleghi, i collaboratori e i capi.

Uno degli strumenti che abbiamo a nostra disposizione per “migliorare il nostro mondo” è proprio questo: il feedback, il quale preparato opportunamente dà la possibilità di lasciare il segno, un buon segno. Capisco perfettamente che non sia facile da affrontare e suscita spesso tensioni, tant’è che io stessa in passato l’ho “subìto” fino a quando non ho capito che, in realtà, è un vero momento di crescita, senza del quale è difficile, direi quasi impossibile, migliorarsi. Credo che il processo/momento del feedback sia spesso sottovalutato non solo dai collaboratori, ma anche (e forse ancora più grave) dai capi stessi: si scontrano da una parte l’incapacità di riceverne, magari per la paura di essere criticati, e dall’altra l’incapacità di darne, magari per mancata preparazione e/o formazione.

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Ci sarebbero manuali da scrivere riguardo alla preparazione del feedback, e non è di certo la mia intenzione. Quello che invece vorrei fare, è evidenziare alcuni aspetti che non ho apprezzato nel corso degli anni, così da delineare il feedback che vorrei e che forse vorrebbero tanti come me.

Tre sono gli errori che hanno maggiormente penalizzato i feedback ricevuti nella mia carriera professionale:

• Il primo, senza ombra di dubbio, è averlo ricevuto davanti ad altre persone, come per esempio in un open space. Ecco, se alla tensione del momento si aggiunge lo stress del sentirsi osservato o giudicato dai propri colleghi, il risultato che ne deriva è semplicemente disastroso. Non essendomi sentita a mio agio, avrei preferito un luogo tranquillo e neutro, nel quale lo scambio di opinioni avrebbe potuto essere più sincero e costruttivo.

• Il secondo è che spesso il feedback volge al “cazziatone in tempo zero. Purtroppo spesso si ricorre al feedback solo a seguito di errori, lavori sbagliati, progetti dall’esito negativo. In questi casi avrei preferito che, oltre a rimproverarmi alzando anche (troppo) la voce per mio lavoro fatto male, qualcuno mi avesse parlato del mio comportamento o approccio al lavoro stesso, perché magari in un mare di errori, qualcosa di buono l’avevo pur fatta.

• Il terzo e ultimo è che purtroppo a questo feedback viene dedicato troppo poco tempo, fino a relegarlo ad un unico momento in tutto l’anno lavorativo. Di solito questo momento è il fine anno, quando solitamente in azienda ci si appresta alla valutazione degli obiettivi dati qualche mese prima. Alcune volte l’ho visto fare anche controvoglia, perché magari si era presi da altre dinamiche percepite più urgenti o importanti. Una ricerca condotta in Nord America da Gallup (azienda che si occupa di formazione su scala globale) sostiene che il 74% dei lavoratori riceve il proprio feedback una volta all’anno o anche meno. Leggendo vari articoli sul coaching e in particolare sul feedback, questo è il dato che mi ha colpito di più. Come può pretendere un’azienda di migliorarsi, senza valorizzare l’operato di chi la compone? Ecco io credo che, all’urlo di miglioramento continuo, la frequenza del feedback debba aumentare per poter essere davvero efficace, dando il tempo sufficiente di metabolizzare le indicazioni ricevute tra l’uno e l’altro.

Per concludere, secondo me, i lavoratori oggi richiedono di più alle proprie aziende in termini di comunicazione, aspettative, valorizzazione della propria persona e opportunità di crescita. Questo sicuramente presuppone uno sforzo per sviluppare la cultura della responsabilizzazione e del miglioramento, per raggiungere gli obiettivi che insieme, manager e collaboratori, devono concordare in maniera accurata e trasparente.

Gabriele Giovine

Addetto alla formazione

4 anni

Capo-Collaboratore, Collaboratore-Capo, ma anche Collega-Collega, anche fuori dal proprio ufficio... 360°!

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