Il lavoro da remoto non è smart.
In questo momento di grande criticità dovuto all’emergenza Coronavirus, le aziende stanno cercando di dare continuità al proprio business e allo stesso tempo salvaguardare la salute dei propri dipendenti, iniziando a fare un uso più massiccio di remote working, cioè consentendo loro di lavorare da casa.
Lo spostamento del luogo di effettivo lavoro dall’ufficio a casa (o altro luogo diverso dall’ufficio) non implica automaticamente che i lavoratori stiano facendo smart working.
Molti usano i termini remote working e smart working in modo intercambiabile. In realtà essi implicano concetti molto diversi.
Nel remote working, a parte l’utilizzo di mezzi tecnologici per tenere i contatti con i colleghi e per collaborare assieme a progetti (con piattaforme di comunicazione come Skype o Hangout e con piattaforme di collaborazione come Asana o Monday), l’approccio e le metodologie di lavoro sono sempre quelle tradizionali, cioè basate su pratiche nate per l’espletamento in un comune luogo di lavoro nel quale la struttura gerarchica e la presenza fisica contemporanea e continuativa di capo e sottoposto garantisce un continuo controllo e indirizzamento delle risorse (e in molti casi produce le dinamiche limitanti del micro-management, dis-empowerment, mancanza di accountability).
Lo smart working implica un cambiamento non solo del luogo di lavoro e degli strumenti tecnologici, ma un completo ripensamento del “contratto psicologico” con il dipendente, dei valori che la cultura aziendale deve esprimere, dei ruoli di capo e collaboratore, dei livelli di autonomia delle persone, di strumenti e metodologie di lavoro.
Il “contratto psicologico”
Il “contratto psicologico” tra azienda e collaboratore nella stragrande maggior parte delle organizzazioni è basato su un paradigma di fondo che, anche se non riconosciuto a livello consapevole, permea tutto il sistema gerarchico nel suo complesso: il dipendente è inerentemente pigro, inaffidabile e forse disonesto. La famosa Teoria X di Douglas McGregor. Se non fosse così, l’azienda non sarebbe strutturata per avere uno o più livelli di controllo sulle persone. Semplicemente, si fiderebbe che il dipendente faccia il miglior lavoro possibile. Se non fosse così, non ci sarebbe accentramento del potere e al dipendente sarebbe concesso di prendere tutte le decisioni che impattano sul proprio lavoro.
Il nuovo “contratto psicologico” deve invece basarsi su un nuovo paradigma: il dipendente è pieno di risorse, integro e agisce per il bene dell’organizzazione. Solo con questa intima convinzione collettiva è possibile fare un upgrade al lavoro smart. E’una conditio sine qua non.
I valori della cultura
Considerato quanto appena scritto, è evidente che la cultura aziendale deve trasformare la sfiducia che permea il sistema tradizionale e fondarsi invece sulla fiducia. Non basta comunicarla, i leader devono avere comportamenti quotidiani verso i propri collaboratori che trasudino fiducia. I processi aziendali normalmente sono lo specchio della cultura aziendale. Affinché i processi supportino la cultura della fiducia è necessario rivedere come vengono autorizzate le spese, quanti livelli di autorizzazione sono necessari, come viene gestito l’errore, quali tipi di decisione possono essere delegati ai team o alle persone e via dicendo. L’organizzazione del lavoro e la struttura organizzativa devono essere coerenti con la nuova cultura.
I ruoli di capo e collaboratore
Il ruolo di capo – se proprio deve esserci - deve cessare di essere focalizzato sul monitoraggio del dipendente e sull’accentramento delle decisioni. Il team leader (cosi come anche i direttori di funzione e il management) deve essere un coordinatore di talenti, un facilitatore e un coach delle singole persone e del team nel suo complesso. Deve sapere incoraggiare, supportare e assicurare la trasparenza, cioè fare in modo che ognuno possa trovare le informazioni di cui ha bisogno per eseguire i propri compiti. Deve supportare le persone ad ampliare la propria visione e a comprendere le implicazioni sistemiche delle decisioni, e non a prendere le decisioni per loro.
I livelli di autonomia delle persone
Non può esistere Smart Working senza autorità distribuita. Significa che alle persone deve essere lasciata ampia discrezionalità sulla scelta delle modalità e dei tempi di lavoro e sulle modalità di accountability. Significa anche che le persone devono poter prendere tutte quelle decisioni che impattano sul proprio lavoro. Questo diventa più facile se i membri di ogni team hanno chiarezza dei loro ruoli e del perimetro della loro autonomia, se hanno contribuito a definire i propri obiettivi, se hanno visibilità del contributo che stanno portando al team e di quello che il team porta all’azienda. I team leader devono incoraggiare l’accountability e offrire coaching ai propri collaboratori.
Strumenti e metodologie
Nell’arsenale del perfetto smart worker devono esserci: una piattaforma online di collaborazione che consenta il tracking di ogni progetto, la condivisione di documenti, la possibilità di comunicare con i propri colleghi e di avere un repository di tutti i documenti e delle decisioni del team; una piattaforma online per la condivisione e il tracking in tempo reale di obiettivi e accountabilities; e naturalmente un sistema di audio e video conferenza e un’ottima connessione alla rete. Ottimizzare il lavoro da remoto significa anche apprendere nuove metodologie di lavoro, tipicamente: modalità per gestire le riunioni in remoto in modo efficace e veloce, modalità di assegnazione e tracking di obiettivi in modo che tutti i membri del team, e non solo il team leader, possano monitorare la propria performance in ogni dato momento, un modo per raccogliere il feedback in modo continuativo dal team leader, dai propri colleghi e dai clienti (interni o esterni) così che ognuno possa sapere in ogni momento dove è e in che modo sta contribuendo al successo del team ed eventualmente apportare correttivi.
Per introdurre lo Smart Working in azienda non basta lavorare da casa. E’ necessario prima di tutto un cambiamento di paradigma che consideri la persona come un essere integro, capace di prendere decisioni, pieno di risorse, che se messo nelle giuste condizioni, fa del suo meglio per contribuire ai risultati aziendali. Questo cambiamento di paradigma deve essere integrato nella cultura aziendale. Serve poi una riformulazione dell’identità di team leader e team member e della relazione tra i due. Infine, strumenti e metodologie che rendano il lavoro efficiente, veloce e rilevante.
Speriamo che questa distinzione tra "remote" e "smart" venga captata in maniera diffusa.
ingegnere libero professionista
4 anniBellissimo articolo, complimenti per l’analisi concreta e il tono chiaro ma allo stesso gentile con cui ha trattato il tema. Lo apprezzo molto in tempi in cui siamo pieni di fautori di critiche gratuite ed esperti in tuttologia. Grazie
🌎 Aiuto le aziende a migliorare le loro Campagne Pubblicitarie Online | CEO of UpManage srl | Co-Founder of PerformancePPC | Docente Marketing presso Randstad | Autore di 6 libri | Business Speaker.
4 anniCondivido abbastanza queste idee, complimenti per l’articolo.
Head of Marketing at Carl Zeiss Vision Italy
4 anniArticolo molto interessante, grazie 😊