Il marchio come risorsa

Il marchio come risorsa

Per prima cosa conviene chiarire che, con marchio ci si riferisce qui non solo ai beni di consumo, ma anche a qualunque prodotto o servizio offerto sul mercato.

In certi casi il marchio è dato direttamente dal nome dell’azienda, ad esempio Apple.

In secondo luogo occorre distinguere fra due tipi di merce, comune (commodity) e speciale (brand). I mercati riguardano merci comuni quando chi compra non avverte sostanziale differenza fra le diverse offerte, ovvero quando le merci della stessa categoria non si distinguono molto l’una dall’altra: è il caso del latte o delle patate, o di materie prime come lo stagno e il minerale di ferro.

Vi possono naturalmente essere qualità differenti della stessa merce, ma prevale la considerazione che, dopo tutto, una bottiglia di latte vale l’altra.

In questa situazione le decisioni di acquisto vengono a dipendere soprattutto dal prezzo e dalla disponibilità, invece che dal marchio o dal nome del produttore. Ecco allora che la benzina si configura tipicamente come una commodity e che nonostante gli sforzi delle diverse compagnie petrolifere per promuovere la loro immagine, queste finiscono per competere soprattutto a forza di omaggi, concorsi, e giochi vari, nel tentativo di generare acquisti ripetuti.

Vi sono peraltro esempi di successo nel rendere speciale una commodity. Tipico il caso della Perrier, che pur consistendo di acqua minerale particolarmente buona e caratteristica, è pur sempre in fin dei conti, acqua di fonte. Eppure con un confezionamento adatto, e soprattutto, con un’accorta azione di sostegno commerciale, si è riusciti a creare un marchio internazionale che gode di una grande lealtà del mercato, e che perciò, si vende ad un prezzo di gran lunga maggiore al costo.

Si trovano anche casi di merci speciali decadute a commodity, spesso per la mancata tutela delle risorse di marketing, minate da riduzioni di prezzo, o della mancata difesa della qualità nei confronti della concorrenza. Un mercato che ha visto tale metamorfosi è, in Inghilterra, quello dei succhi di frutta, dominato molti anni fa, da forti marchi come Suncrush, Jaffa juice, ed altri ancora, che esaltavano con cura la qualità del prodotto. Ad un certo punto però, s’incominciarono a diffondere offerte promozionali di vario tipo, sconti e riduzioni di prezzo, che assorbirono sempre più le risorse, sottraendole al tradizionale sostegno pubblicitario della qualità, e del valore del prodotto. Alla fine la bottiglia di succo di frutta, era ridotta a merce comune, al punto che, le marche principali sono oggi quelle private dai dettaglianti.

La differenza fra commodity e brand, sta nel cosiddetto valore aggiunto, che si attribuisce alle merci speciali, in quanto queste superano la somma dei loro componenti. Per l’acquirente, o l’utente, tale valore aggiunto è dato da fattori che possono anche essere considerati intangibili, ma non per questo meno reali. Per illustrare quanti essi valgono, si possono considerare i risultati di un recente paragone alla cieca (in cui il marchio non era rivelato) fatto tra Coca Cola, e Pepsi Cola, con un gruppo di degustatori:

-Meglio la Pepsi Cola 51%

-Meglio la Coca Cola 44%

-Non so               5%

Lo stesso paragone, fatto ad un campione simile di degustatori, ma con i marchi bene in vista, ebbe esito ben diverso:

-Meglio la Pepsi Cola 23%

-Meglio la Coca Cola 65%

-Non so              12%

Come spiegare la differenza, se non ricorrendo all’effetto del valore aggiunto attribuito al familiare marchio ed alla caratteristica bottiglia della Coca Cola?

Lo stesso fenomeno accade nel marketing industriale con i fertilizzanti, dove una marca famosa comunica all’acquirente un messaggio rassicurante sulla qualità e l’affidabilità del prodotto, distinguendolo così da prodotti meno noti.

Spesso il valore aggiunto, deriva da tratti emotivi che l’acquirente può trovare difficile da esprimere, e che vengono associati al prodotto semplicemente con un buon mix di qualità, confezione, pubblicità, prezzo, e distribuzione.

Tutti gli elementi del mix contribuiscono a formare una ben distinta collocazione nella mappa mentale che il cliente si fa del mercato.

Accade allora che la concorrenza si sviluppi soprattutto nel valore aggiunto dei diversi marchi, piuttosto che nel prodotto in sé, di solito facile da imitare.

Quanto maggiore è il “contorno” rispetto al prodotto in sé, tanto più probabile è, che le singole offerte si differenzino fortemente l’una dall’altra, e viceversa.

Lamberto Scorzino

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