IL PIU' BELLO DEL MONDO
“Il quadro più bello del mondo”: così il celebre storico dell’arte Antonio Paolucci ha definito questo ammaliante dipinto conservato a Forlì (Pinacoteca Civica, Musei di San Domenico) da cui è difficile staccare gli occhi. In effetti la piccola tavola (68,5 x 51,2 cm) ha poco da invidiare alle pioneristiche nature morte del Caravaggio, dimostrando tuttavia quale influsso il pittore lombardo abbia esercitato già sui contemporanei, tale da “sdoganare” la realtà persino nelle sue forme più umili, con il riconoscimento della dignità del Vero visibile. Mi sembra un ideale preludio artistico all’estate che è alle porte.
Datata al 1625-1630 e nota come “Fiasca fiorita” o "Fiori in una fiasca impagliata", l’opera è tuttora di dubbia attribuzione: c’è chi l’ha assegnata al romagnolo Guido Cagnacci, chi al romano Tommaso Salini, chi al fiorentino Carlo Dolci e non solo. Fatto sta che il Maestro autore di questa originalissima composizione ha dato prova di una eccezionale finezza esecutiva, facendo risaltare sul fondo scuro l’incantevole luminosità cromatica dei fiori e la nitida scabrosità della logora corda che avvolge la bottiglia (si noti anche l’imboccatura scheggiata). Il semplice bouquet di gigli, iris, gladioli e ornitogalli (i fiori bianchi a stella) è esaltato dai valori tattili della superficie materica su cui la luce si modula disegnando lo spazio. A colpire ipnoticamente lo sguardo dell’osservatore è però soprattutto la vecchia fiasca grinzosa e floscia in alcune parti (si ammiri quel capolavoro pittorico assoluto che è il ricciolo liberatosi dall’impagliatura), che sembra “viva”, dotata di un’anima propria fino a proiettarsi in una sorta di quarta dimensione in un gioco squisito di luci e ombre, sublimato dal fatto che la bottiglia è posta su una tavoletta di legno appoggiata di spigolo su un tavolino.
E’ un dipinto che trabocca di gioia naturalistica (che quasi anticipa il barocco) e si stenta a considerarlo un emblema di vanitas (come di fatto le nature morte per lo più sono), cosicché potrebbe ritenersi un mero divertissement di uno squisito pittore solito ad esprimersi in altri generi, che qui però, magari per affinare la sua abilità tecnica, ha voluto dilettarsi nella raffigurazione di un trionfo floreale in un volgare fiasco a mo’ di vaso che sembra una scultura dipinta, sulla falsariga dei modelli caravaggeschi ma anche di certa scuola toscana.
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Resta comunque un alone di mistero su questa opera stupefacente che a suo modo ci lancia anche un monito morale con quei magnifici fiori collocati in un rozzo contenitore, come uno spirito nobile racchiuso in un corpo ordinario.
Sonia Sbolzani