IL PROF DELLE MEDIE
Questo zaino ha quarant'anni. Era del mio professore delle scuole medie. La sua prima lezione di geografia si svolse cosi: ci chiese di guardare fuori della finestra e poi dirgli cosa vedevamo. C'era la Majella fuori dalla finestra, e lui cominciò da lì per descriverci la catena appenninica, elencare le regioni di cui costituiva la spina dorsale, parlarci degli antichi mestieri della nostra terra e del Mar Adriatico che ne lambiva le coste.
Continuò così, a cerchi concentrici, fino a farci scoprire, partendo da una finestra della scuola media "Panfilo Serafini", il resto del mondo, in un viaggio fantastico che durò tre anni. Si chiamava Dante Luparia, è stato un grande maestro per generazioni di sulmonesi, adorato dai suoi alunni e detestato da gran parte dei suoi colleghi che trovavano inopportuno interpretasse il suo mestiere come una missione e non come il migliore dei lavori perche consentiva di portare a casa lo stipendio lavorando 4 ore al giorno. Faceva lezioni integrative ( gratis) a chi rischiava di rimanere indietro, ma trovava tempo anche per i più bravi, dando loro consigli di stile per migliorare le loro prose ingenue ma forse promettenti. Di Dante, quando iniziai il liceo e lui non era più il mio insegnante di italiano storia e geografia divenni amico, nonostante la differenza di età.
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Amavamo entrambi la montagna e cominciammo a percorrere insieme in lungo e in largo tutti gli Appennini centrali. Io ero un ragazzino, lui aveva superato i cinquanta ma non gli stavo dietro: era un camminatore formidabile. Mangiava come un passero perché il suo stomaco glielo aveva rovinato un lager nazista dove aveva passato un anno, ufficiale dell'esercito italiano, dopo l'armistizio. Della guerra non parlava mai. Raccontava invece della sua infanzia in una famiglia contadina del basso Monferrato e della loro povertà serena che, capivo, gli aveva insegnato a dare valore a tutte le cose, anche le più piccole. Lo insegnava anche a me, quando chiamava col suo nome ogni albero delle foreste che attraversavamo, ogni piccola pianta pioniera attaccata a un sasso in cima alla Majella. Era il suo modo di onorare e rispettare l'incanto prezioso della Natura da cui eravamo circondati.
Era molto credente ma non parlava mai della sua fede. Io però la vedevo, la ammiravo (e invidiavo) osservando i suoi occhi azzurri che si riempivano di gioia riconoscente di fronte ai paesaggi potenti e duri che attraversavamo... Mi trasferii a Milano, misi su famiglia mentre lui invecchiava e rimpiccioliva come rimpiccioliscono i vecchi. Lo andavo a trovare a casa quando tornavo a Sulmona. Gli raccontavo del lavoro, dei figli che crescevano, dei miei sogni che erano i sogni di ogni giovane uomo e che per lo più non si sarebbero realizzati. Come sempre. Lui lo sapeva, ma gli piaceva ascoltarli, quei sogni, e sorrideva di un sorriso dolce ed enigmatico. In quel piccolo tinello in penombra, era cosi che passavano le ore, era quello il nostro modo di volerci bene. Dante è morto quasi 10 anni fa. Sua moglie, dopo il funerale, mi portò in regalo il suo zaino, che gli avevo visto sulla schiena da quando avevo 16 anni. Solo adesso, a sessant'anni suonati, ho deciso di utilizzarlo. È arrivato il momento.
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1 annoChe belle parole!!
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1 annoAzz.Ercole, ma così mi commuovi 🙏
Grazie.