Il regno della menzogna
L’azienda di oggi, tra tempesta, silenzi e falsità

Il regno della menzogna L’azienda di oggi, tra tempesta, silenzi e falsità

Facendo per anni il direttore risorse umane di aziende multinazionali ed imprenditoriali ho sempre cercato di rintracciare, in contesti inseriti in dinamiche di cambiamento rilevanti, elementi di coerenza da parte del management per rinsaldare nei confronti dei collaboratori l’elemento chiave del Trust: la fiducia.Mi sono invece trovato di fronte, al di là di comprensibili difficoltà nella conduzione dell’azienda, a un mondo in cui non imperano coerenza, trasparenza e fiducia.Credo sia venuto il momento almeno di riconoscerlo se come manager siamo davvero interessati all’engagement dei nostri collaboratori…

Dell’arte di mentire

Quello che i manager apprendono più facilmente lavorando in azienda è l’arte di mentire.

Si utilizzano tecniche molto sofisticate per la crescita delle competenze manageriali ma nessuna tecnica funziona come l’apprendimento empirico di quell’arte che si trasmette nelle relazioni in azienda: il non dire e il dire il falso.

Ho lavorato per quasi trent’anni in aziende molto diverse tra loro ricoprendo per la maggior parte del tempo l’ingrato ruolo di direttore del personale.

Ho osservato i comportamenti di manager e strutture di comando di aziende multinazionali o padronali.

Ho ascoltato e spesso sono stato coinvolto in centinaia di comunicazioni organizzative, announcements, official speeches, presentazioni.

Parole. Flussi di concetti finalizzati a rassicurare, motivare, coinvolgere, chiarire.

Spesso deliberatamente impregnati di falsità. Ma dimensioniamo tutto correttamente.

Le aziende sono finalizzate alla massimizzazione dei profitti.

Non illudiamoci. La centralità delle risorse umane è slogan che nasconde la consapevolezza che la massimizzazione dei profitti si raggiunge ovviamente con l’utilizzo delle risorse, specie umane. E questo avviene con la logica del mutuo scambio, prestazione contro denaro.

Peraltro oggi ciò è reso particolarmente evocativo dalla carenza di offerta di lavoro. Per cui essere ammesso allo scambio ti deve far sentire un privilegiato.

Quello che spesso le aziende non capiscono fino in fondo sta nel fatto che l’essere umano, sia pur consapevolmente avvezzo al sacrificio in cambio di un ritorno economico, è anche sensibile al valore e al significato di quello che gli viene richiesto di fare.

I managers sottovalutano spesso quanto la contribuzione umana ai risultati aziendali possa essere fortemente correlata a un sentimento fideistico e a un sistema di valori indotto.

Fiducia e valori sono intrinsecamente legati non alle comunicazioni e agli slogan formali ma ai comportamenti espressi dal sistema di comando e di indirizzo presenti in azienda.

Fiducia e valori sono alla base di quello che gli americani chiamano engagement.

Engagement sta per  ‘enfasi di motivazione, entusiasmo e imprenditorialità nell’affrontare situazioni sempre più difficili’.

Ebbene questo engagement è messo a dura prova se devastato da:

·     non detto

·     rassicurazioni non necessarie

·     annunci non veritieri

·     promesse non mantenute

·     comportamenti non coerenti con quanto annunciato

Menzogna, realtà e ricerca del vero, malgrado tutto

Facciamo degli esempi.

Vorrei dimostrare che il regno della menzogna è così non perché l’azienda è il coacervo di tutte le bassezze umane ma perche’ nella tempesta attuale l’arte del vero latita.

Quello che conta e’ avere il coraggio di riconoscere questa realta’ e minimizzare i danni. I comportamenti di chi e’ piu’ in evidenza in azienda (top managers, managers di linea, responsabili delle Risorse Umane) dovrebbero tenere conto di questa consapevolezza affermando una etica del vero.

Non detto

Non dire è un po’ mentire.

Prendiamo ad esempio un amministratore delegato della filiale italiana di una multinazionale americana. Lui sa che la chiusura di uno stabilimento produttivo in Italia e’ stata gia’ decisa dall’headquarter.

Il nostro AD continua a organizzare riunioni con i capi di stabilimento e continua a parlare di performances, efficienza, KPI’s, investimenti congelati per decisioni di gruppo.

Ma potrà mai arrivare a dire che tra due anni lo stabilimento verrà chiuso ?

Riuscirà, tacendo, a generare engagement nelle strutture produttive ?

Perché negare a priori una decisione drammatica ma ineluttabile ? Perche’ nasconderla?

Il manager che conosce una verità scomoda in realtà non è vero che non parli.

Ne parla con la moglie. Ne parla con il capo. Ne parla con gli amici fuori o dentro all’azienda. Perche’ non rivelare anche ad un collaboratore una preoccupazione ?

Perche’ non iniziare a spiegare  che nelle logiche spietate del business certe soluzioni sono possibili ? Anche se a volte a causa dell’evanescenza delle linee strategiche e della valutazione degli impatti sociali le aziende non riescono a fare ciò che hanno deciso.

Ci sono tra l’altro decisioni dure che non servono e decisioni dure indispensabili. Se sei convinto di quanto sia ineluttabile una decisione dolorosa perche’ non condividerne le logiche con i collaboratori ?  

Se sei un manager puoi anche accettare come minore dei mali la possibilità di essere onesto anche sui grandi segreti, che tanto segreti non sono. Al caffè le persone ne parlano comunque si creano spesso comunque delle distorte visioni.

Quindi, a volte si può dire ‘may be’. E cercare con i collaboratori e i colleghi di capire insieme come si può lavorare al meglio per evitare il peggio. Che se poi arriva perlomeno non sarà una beffa e non ti farà sentire, nel tuo silenzio, falso come Giuda.

Rassicurazioni non necessarie

Rassicurare a volte è inutile se ci sono seri dubbi nel garantire una soluzione positiva molto improbabile.

Sappiamo che dovrà esserci una riduzione del 20% del personale della sede. Quindi il CEO incontra dirigenti e quadri aziendali e rassicura che al momento non sono previste riduzioni di personale.

È opportuna tale rassicurazione? O sarebbe meglio dire come stanno le cose?

Questa situazione è opposta alla precedente: a volte non dire è meglio che dire il falso.

L’impulso di rassicurare può destare sospetti, tanto più se nessuno espressamente ha chiesto rassicurazioni in merito (succede anche questo).

Se poi la rassicurazione non ha un fondamento di verità qui siamo di fronte a una vera e propria menzogna non richiesta.

Eppure quante volte si dichiarano, anche ufficialmente, cose false!

Cosa fare allora? Ritorniamo al primo punto del ‘non detto’. Se ne sentiamo la necessità manifestiamo le preoccupazioni. Coinvolgiamo le persone nella scomoda verità. Nell’analisi dei rischi e semmai delle soluzioni per mitigare i danni.

Annunci non veritieri

Un amministratore delegato deve preparare uno speech per aggiornare i manager sulla situazione aziendale. L’azienda non naviga in acque tranquille ma la situazione è nel complesso sotto controllo. Riceve input piuttosto contrapposti dai colleghi a capo delle principali aree funzionali. Il direttore commerciale ci tiene a enfatizzare la tenuta di quota di mercato e in generale le buone prospettive del business. Il direttore delle relazioni industriali, poiché siamo alla vigilia di una grossa riunione sindacale per l’apertura della discussione del contratto integrativo, chiede senza mezzi termini di drammatizzare la situazione per minimizzare le pretese delle parti sociali.

Il collega della funzione sviluppo risorse umane è però preoccupato, nel contempo, di creare reazioni negative sul clima aziendale, con ripercussioni sulla ‘tenuta’ motivazionale di talenti e risorse chiave che potrebbero guardarsi intorno con più costanza.

Il direttore finanziario vista la difficile situazione specie in termini di redditività e di cash flow esorta a lanciare messaggi molto forti rispetto alla necessità di attivare una fortissima riduzione di costi.

Tenendo conto di tutti i punti di vista il nostro amministratore decide di optare per la linea di ‘drammatizzazione’.

Perché prevale questa linea? È quella più veritiera?

Qui si consuma l’arte della comunicazione… falsa.

La cosa è comunissima. La comunicazione è tarata sulle aspettative degli stakeholders, che possono essere diverse. Si sceglie, o si pensa di scegliere al meglio, la linea più opportunistica nel breve. Qui addirittura si riesce a drammatizzare più del dovuto, spegnere speranze, accendere preoccupazioni inutili, provocare demotivazione. Semmai si riesce a risparmiare qualcosa in un accordo sindacale o si sviluppa una sia pur sana attenzione agli sprechi.

Il punto è che si potrebbe ottenere tutto, nello stesso modo, sforzandosi di delineare lo scenario più vero. Parlare alle persone che ci circondano come se fossero… partners, amici, colleghi, collaboratori. Invece continuiamo ad essere convinti che se drammatizziamo la gente si impegnera’, se celebriamo le persone ne approfittano e si adagiano.

Promesse non mantenute

L’esempio è tipico. La risorsa di talento, da non perdere, chiede chiare prospettive di carriera e un deciso aumento di stipendio.

Il suo capo funzionale, pur sapendo che la cosa è difficilissima, considerato il contesto, si impegna per un passaggio di categoria e un aumento al termine dell’anno.

Ecco la promessa. L’impegno personale. Per tenere il collaboratore engaged per i successivi sei mesi. Cosa succede se l’impegno non potra’ essere onorato ?

Il collaboratore di talento sarà perso completamente. Delusione e sfiducia.

Non servirà al capo dare la colpa a quei soliti bastardi delle risorse umane. Meglio non fare mai promesse in azienda. Le aziende cambiano. Le persone cambiano. È certamente possibile assicurare il massimo impegno per ottenere una promozione o un incremento retributivo ma oggi i percorsi di carriera codificati dai sistemi aziendali rischiano di diventare promesse non mantenute perché saltano i ruoli, le posizioni, le logiche organizzative.  

La cosa migliore, per rispondere alle aspettative delle risorse scalpitanti e dei talenti, è renderli partecipi della realtà. E del fatto che se si vince il campionato il premio arriva per tutti, anche nelle giuste proporzioni nel rispetto delle aspettative e delle caratteristiche delle persone. Se si perde la cosa migliore da fare è meditare insieme sugli errori commessi e sulle motivazioni della sconfitta.

Comportamenti non coerenti

Il management a volte sbandiera valori aziendali, che dovrebbero orientare comportamenti e incidere sul clima aziendale.

Bene. Ma c’è qualcuno che pensa alla successiva coerenza nei comportamenti, osservati da tutti?

Tutti i manager hanno partecipato a un programma di team building, per superare i tradizionali conflitti tra funzioni.

Alla prima riunione del board aziendale si prende atto di una serie di problematiche legate a disfunzioni amministrative, con la perdita di un cliente importante. Si riaprono i conflitti di sempre tra il direttore commerciale e il CFO.

I rispettivi collaboratori percepiscono le conseguenze del conflitto e si chiedono a cosa sia servito quel costoso programma di team building quando nulla è cambiato nell’approccio tra colleghi.

I manager devono cercare soprattutto la coerenza.

È chiaro a tutti, in questi tempi, che l’azione dei manager proprio in virtu’ della volatilità del business e la complessità dell’organizzazione, può denotare discontinuità e anche confusione. Ma la coerenza è un’altra cosa. È quello che gli americani definiscono ‘Walk the talk’. L’azione deve essere coerente con l’enunciato.

Quindi, cosa occorre? Solo porre l’attenzione ai comportamenti in correlazione a quanto è enunciato/annunciato. A ogni costo. Anche a costo di riconoscere di avere sbagliato.

Attenzione che sull’incoerenza dei comportamenti dei manager quella famosa ‘fiducia’ e in generale l’engagement dei nostri collaboratori svanisce come neve al sole.

Conclusioni

Questa breve disanima potrebbe in realtà continuare a lungo ma concludiamo riassumendo alcune azioni pratiche rivolte a scardinare il falso e il non detto.

1) Il ‘non detto’ va letto: occorre misurare la fiducia delle risorse (spesso). Perché le risorse contrappongono al non detto dei manager il loro ‘non detto’.

Nelle aziende misurare il clima, in modo corretto, è una fondamentale modalità di verifica della customer satisfaction dei clienti interni.

È parte della creazione di una cultura di feedback capovolto, dal basso verso l’alto. I questionari di clima, sembrano banali, ma servono. Fanno venire fuori il non detto delle persone.

2) Rivedere l’ottica nella gestione dei collaboratori. Questi ultimi sono più acuti di quanto spesso molti capi possano immaginare. Tutto quello che accade in una dinamica va comunicato con onestà e reale trasparenza. Le persone apprezzano maggiormente di essere messi a conoscenza di una cosa negativa dal proprio capo che apprenderlo da altri o dal repentino accadere dei fatti.

3) Il feedback come riferimento riferimento. Dare feedback e ricevere feedback fanno parte di una positiva tensione che genera engagement. Le modalità di feedback sono molteplici, e vanno dal rapporto costante e giornaliero capo collaboratore agli strumenti evoluti di feedback tra cui la valutazione 360° che consente al manager di ricevere feedback sulla base delle percezioni di collaboratori, capi, colleghi.

Il 360° è uno strumento formidabile per orientare comportamenti e attitudini dei manager e per generare miglioramento in genere.

4) Managers attori “umani”. Se l’azienda resta un palcoscenico gli attori devono comunque ricordarsi di essere umani tra umani. Il salto logico per i manager è proprio considerare, al di là del sistema dei ruoli, ed al di là del contratto di scambio, un collaboratore o un collega prima di tutto come un essere umano, con una sua psicologia, una sua storia, le sue aspettative, i suoi limiti. E quindi è facile comprendere che nel rapporto tra umani, la menzogna e il silenzio non possono che allontanare gli uni dagli altri.

5) Ricerca del vero nei micro-ambiti organizzativi: l’azienda di oggi è diventata il regno della menzogna ma se sei un capo funzione in un’azienda dove albergano molte incoerenze, incongruenze, falsità, comincia a costruire un contesto dove la verità fluisce. Dove le persone si danno feedback. C’è una buona chance che il contagio del vero si espanda…

Prova a discostarti dall’arte di mentire.

Diventa un trust builder.

Forse questo nuovo ruolo si imporrà nella tempesta.


Tommaso Raimondi (2012)

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