Il tempo di perdere tempo
Nelle Marche vi era un atteggiamento collettivo, seppur generalmente inconscio, che tendeva alla “salvaguardia del tempo”, sia del tempo storico che del proprio tempo esistenziale.
Un tempo personale che dall'esterno appariva come introversione caratteriale e poca partecipazione collettiva.
E’ vero, il senso comunitario della storia marchigiana poteva sembrare limitato ma per noi era più importante la maturità e la responsabilità del singolo. Anzi vorrei dirla tutta: ciò che contava nella storia marchigiana era il valore individuale della propria esistenza piuttosto che le idee collettive.
Questa caratteristica preservava la nostra terra dall'accettare sempre e comunque le nuove idee, un passo indietro rispetto alle mode del tempo, indietro negli stili di vita che si succedono freneticamente. Nella ricerca di comunità a tutti i costi paventavamo il gregge che attira immancabilmente il lupo.
Insomma l’individuo, il tempo esistenziale individuale in stretto rapporto con le proprie caratteristiche caratteriali, con la propria tipologia psicologica che affonda le radici nel luogo in cui ci è dato vivere.
Il rapporto tra anima e terra era speculare, il mondo esteriore e quello interiore sussistevano sinergicamente nel mantenimento di una semplicità delle cose e di una vita che sentivamo più autentica.
Se dovessi scegliere un riferimento intellettuale per racchiudere simili concetti, sceglierei il nostro Leopardi con il suo “sedendo e mirando” , la semplicità assoluta di un uomo seduto che osserva il mondo circostante contemplandolo nel luogo in cui il destino ha deciso di farlo vivere.
C’era sempre un senso di rispetto per il mistero della vita, quel “mistero di vivere e di vivere qui” come scrive il poeta Gianni D’ Elia, dove quel “qui” è la riviera di confine marchigiano-romagnola, territorio inteso dallo scrittore come occasione di riflessione poetica prima e critica poi, come quando afferma “io sento l’ozio della Riviera come un laboratorio poetico in atto”.
Sedersi e mirare che altro è se non il ritornare alla poeticità della conoscenza, alla flànerie dell’ immaginazione? Contemplare è rendere la propria vita un “laboratorio poetico” se è inteso come esperienza conoscitiva e qualità del conoscere.
La filosofia ancora discute sulla fondazione della conoscenza e il concetto cardine di “teoria” (theorein = contemplare) è ancora uno dei più interessanti in campo epistemologico. Il grande pensatore Carlo Michelstaedter, in una lettera a un amico, stroncava pesantemente Aristotele che, secondo lui, aveva interpretato la conoscenza come uno speculare su qualcosa, cioè lo studio teorico, e gli contrapponeva Platone per il quale era chiaro che la conoscenza era una “manifestazione” nella quale “appare al pensiero la magnificenza e la visione di tutto il tempo e di tutto l’ essere”, dunque un contemplare.
Come promotore territoriale, il mio compito è valorizzare un dato territorio attraverso stimoli e contenuti ma vedo sempre più turisti nella mia regione convogliati in percorsi mentali, oltre che geografici, preconfezionati che imbrigliano ogni libertà immaginativa, limitano cioè l’ immaginazione in nome di nozioni e informazioni di ogni sorta, tolgono per l’ appunto la libera contemplazione insita in ogni conoscenza. Volendo introdurre un turista alle Marche, gli direi non certo di sedersi ma di attraversarle “sedendo e mirando”, ovvero di percorrerle con l’ atteggiamento di chi deve assimilarne il tempo sospeso. Le Marche offrono ogni possibilità di fruizione attiva e partecipe (arte, cultura, natura, enogastronomia, hobby…) ma è la capacità di viverle con la riflessione che fa la differenza, quel “sedendo e mirando” che è l’ inizio di un viaggio nell’ immaginazione e nel sentimento, come Leopardi ci indica.
Ma non facciamoci illusioni, la contemplazione apparirà del tutto “inutile” a chi, dopo aver adempiuto agli obblighi lavorativi e sociali, rifiuterà l’ idea di ritagliarsi il tempo di perdere tempo. Eppure questo atteggiamento interiore era il modo antico, anzi classico, di conoscere e questo non fu mai considerato una perdita di tempo e soprattutto non fu mai considerato inutile.
Come ci ricorda Platone, mentre preparavano la cicuta a Socrate, il condannato continuava a esercitarsi al flauto per imparare un motivo. E alla domanda “A cosa ti servirà?”, il filosofo impassibile rispose con infinita semplicità: “A conoscere questa musica prima di morire”.
Dunque a contemplare un’ ultima volta.
Promotore territoriale - Operatore culturale AIPTOC
4 anniIn sintesi...