Urbino e Raffaello tra anima e terra
(Dal libro "Venni al tramonto" di Alfredo Bussi - Metauro Edizioni)
In questo “percorso al femminile” non posso esimermi dall’accennare alla terra madre (1) di Raffaello, una riflessione per tornare allo specifico del mio lavoro e cogliere un “inizio” esistenziale fortemente caratterizzante la personalità dell’artista. Sul rapporto di Raffaello con la propria terra non ci sono dubbi, fu un legame forte di sentimento filiale che sopravvisse nel tempo fino a poter dire che Raffaello è Urbino e Urbino è Raffaello: una compiuta corrispondenza tra le parti.
Certamente il nucleo esistenziale originario avrà attraversato, come per tutti i bambini, la reale esperienza filiale, dunque la madre (2), nucleo affettivo al quale seguirà presto l’esperienza dolorosa della perdita. Occasione questa per proiettare subito l’affettività materna dal concreto allo spirituale che, grazie all’esempio diretto del padre (3), diventerà fare artistico.
Come non pensare alle sue Madonne, mai sole, sempre in presenza dell’infante che mostrano una serie di gesti di intimità quotidiana e attenzione, di “presenza”, che per Raffaello non può che essere struggente nostalgia per qualcosa di posseduto e troppo presto perduto. Dal lato paterno vi è invece il mondo sociale, il lavoro d’artista a corte che per il giovanissimo Raffaello è scoperta della città nella sua espressione più raffinata, quella cortigiana.
La sublimazione artistica di Raffaello procede di pari passo con la sublimazione idealistica di un intero territorio fino al punto di diventare entrambi, il luogo e l’uomo, portatori dell’identico messaggio.
Nascere nel territorio giusto, sentirne l’anima, essere partecipe di questo sentimento filiale e infine ricevere da quel luogo l’ispirazione vitale, questa la loro reciproca conformità, “adaequatio” dicevano gli antichi.
Anche quando si separarono, Raffaello non dimenticò mai la sua Urbino e Urbino non dimenticò mai il suo Raffaello. Le loro storie si specchiano vicendevolmente fino a diventare due espressioni di un’unica entità, come nel rapporto che intercorre in un individuo tra il corpo e la mente, tra i sensi e l’anima (4).
Tutto ciò risalta con evidenza anche nell’animo del turista che intuisce il senso “magico” del luogo in relazione all’uomo Raffaello, reale e ideale si insinuano nel visitatore attraverso una proiezione coinvolgente e la città diventa topografia dell’anima: figure, segni e rimandi si affollano nell’esperire con i sensi il territorio fisico e, con la fantasia, il territorio psicologico.
Dunque, Urbino è la realtà fisica, Raffaello quella psicologica, la grandezza di questa unione risiede in un miracolo dell’immaginazione: la città ha la forma di un sogno, la psicologia dell’artista ha forma visibile. Ciò che normalmente è sogno diventa reale e ciò che normalmente è reale diventa sogno.
Restiamo per un momento dentro questo sogno.
Quando Raffaello nasce, “la città in forma di palazzo” (5) è già creata e quella immagine fiabesca della “facciata dei Torricini” da poco terminata gli appare, bambino, in tutto il suo formante splendore (6).
Il nucleo del sogno è sempre una immagine predominante, tutto il resto è amplificazione e associazione di elementi attorno a questo “centro di significazione”. L’ordinamento del sogno di Federico (7) è radiale, da un elemento geniale che attrae siamo indotti alla scoperta di una città intera che, nella nostra ricostruzione immaginaria, è l’irradiazione di quel centro.
La facciata fiabesca del palazzo è l’altro lato dell’immagine sociale del Duca, condottiero belligerante nella vita, assuefatto agli intrighi di corte, il palazzo è l’opposto dell’atteggiamento cosciente. È una rettifica della realtà, un paragone di un punto di vista diverso, un confronto dal quale emerge un equilibramento della stessa psicologia del sognatore Federico. Il sogno rinascimentale italiano vive di questo meccanismo psicologico, di questa doppiezza. La genialità di questo signore rinascimentale risiede nel fatto che la sua idea diventa immediatamente collettiva per aver “animato” una forma universalmente condivisa con tutta l’ammirazione di farci finalmente “vivere un racconto”, non solo ascoltarlo. Nonostante i successi dell’atteggiamento cosciente del condottiero, il segno indelebile del suo passaggio si realizzerà con la sua anima immaginatrice, ancor più vitale e adatta alle esigenze profonde dell’esistenza. Quantomeno un pareggio nella sua personalità tra conscio e inconscio.
Dunque, in un mondo imperfetto, costruito sulla base di guerre e lotte di potere, viene dato spazio all’immaginazione, agli architetti, ai letterati, agli artisti e si tenta l’impossibile, dare forma a un ideale di bellezza che fosse presente agli occhi, alla concretezza del visibile. Si dirà che nemmeno un sogno del genere riesce a superare la realtà delle cose, ma allora dobbiamo chiederci cosa diventa la vita senza la speranza. Quelle pietre, strade, palazzi hanno la forma della speranza più che dell’illusione. Idealismo normativo, non utopia.
Raffaello assimila il meglio del territorio, il suo carattere non partecipa al “doppio” di corte che vive di belligeranza e bellezza, per lui l’ideale è scelta univoca. Se la perfezione non è di questo mondo, perché un’ombra permane sempre nell’umanità, allora, a maggior ragione, avere un ideale è la cosa più importante per continuare a sperare dentro un mondo imperfetto.
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Anche oggi l’incontro con Urbino impone riflessioni sulle contraddizioni della condizione umana, la “contemplazione” di un sogno del passato trascina inevitabilmente al confronto con la contemporaneità. Urbino è un ingaggio intellettuale con l’immaginale, oggi come allora.
Il suo valore non risiede solo nella bellezza, non possiamo limitarci al solo godimento estetico, la contemplazione estetica a cui penso è uno stimolo alla riflessione, un recupero di idee con le quali confrontarsi, come una “anamnesi” platonica che ci aiuti a ritrovare le coordinate. La bellezza è una questione profondamente intellettuale, Raffaello docet.
Forse, in questo modo, coglieremmo la vera preziosità di Urbino, credendo nel valore istruttivo del territorio, una opportunità per noi contemporanei che abbiamo perso il senso idealistico dell’abitare a favore di una hybris consumistica del vivere.
Dietro a tutto ciò c’è l’esigenza primaria di recuperare armonia tra gli opposti, tra persona sociale e individuo, tra natura e cultura, tra ragione e sentimento.
Riusciremo a lavorare sulle nostre stesse priorità, esistenziali e psicologiche, riformulando una nuova visione del mondo?
Urbino e Raffaello ci ricordano quanto l’immaginazione sia determinante nel regno del possibile, concediamogli spazio, immaginiamolo questo futuro se vogliamo che il femminile e protettivo concetto di madre terra continui a significare una realtà tangibile e viva."
NOTE
(1) La promozione territoriale si occupa di valorizzazione e i valori spesso sono espressi in concetti astratti, utili a patto che vengano descritti nell’uso che se ne fa: "terra madre" è il riferimento esperienziale diretto con il luogo dove si è nati e cresciuti, mentre "madre terra" è il riferimento con una componente psicologica universale caratterizzante il rapporto con il mondo. Nel primo caso si tratta della dimensione individuale, nel secondo della dimensione collettiva.
(2) Magia Ciarla morì nel 1491 quando Raffaello aveva otto anni. Di lei non rimane una parola, un’immagine, un pensiero se non scarni riferimenti in documenti testamentari. Destino condiviso con tante altre donne del passato, vittime della cultura dell’oblio del femminile.
(3) Giovanni Santi, pittore e poeta, negli ultimi decenni oggetto di una vera e propria rivalutazione critica.
(4) “Ogni terra ha un mistero, da questo sentimento nasce un’immagine inconscia: come c’è un legame tra spirito e corpo, così c’è un legame tra quest’ultimo e la terra”, così Jung in un saggio del 1918.
(5) “Federico edificò un palazzo, secondo la opinione di molti, il più bello che in tutta Italia si ritrovi; e d'ogni opportuna cosa sì ben lo fornì, che non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva” come scriverà Baldassarre Castiglione.
(6) In un mio precedente libro ho parlato dell’esperienza territoriale come elemento fondante della comprensione di un territorio. Il vissuto esperienziale coglie le sfumature necessarie per poter raccontare compiutamente il rapporto anima-terra. Posso ben immaginare il continuo stupore di Raffaello bambino attraverso la reminiscenza della mia stessa infanzia nella casa dei miei nonni materni, una casa che si affacciava sul panorama dei Torricini. Tra ricordi di una casa antica misteriosa, vacanze estive, voci femminili avvolgenti, odore di bucato fresco, rumori di cucina, l’immagine dominante è sempre la stessa, la visione dei Torricini aprendo la finestra della camera da letto al mattino. La potenza di quella immagine, in un bambino assonnato che si stropiccia gli occhi di fronte a una “favola reale”, è diventata “engramma” del mio vissuto come credo lo sarebbe per chiunque vivesse quella esperienza. Rimando al mio libro “Come queste Marche” dove ho affrontato la tematica del rapporto anima-terra.
(7) Federico da Montefeltro (1422-1482), promotore assoluto del sogno urbinate e perfetto esempio del signore rinascimentale diviso tra l’agone del potere e l’hormè della bellezza.
Dal libro "Venni al tramonto - i sonetti di Raffaello e l'estetica al femminile" - Alfredo Bussi - Metauro edizioni (Parte terza - pag. 59...)