Il testimonial "fluido" compromette la credibilità del brand?
In tempi fluidi, quali questi che viviamo, anche il testimonial può passare da un brand a un altro. Il che non è necessariamente un guaio: Penelope Cruz, nuova testimonial di Chanel, conferisce al brand un’immagine più calda ed empatica rispetto alle precedenti (bad) girls che hanno interpretato il marchio (e forse anche più allineata al target Chanel. Più facile accedere al brand a 45 anni che non a 17, età di Kaia Gerber). Anche se Cruz è testimonial di Lancôme da diverso tempo, e Chanel ha una sua importante linea beauty …. Kendall Jenner è stata testimonial di Tod’s e adesso è l’immagine di Longchamp, due prodotti parecchio simili. E ancora: Cara Delevigne è stata testimonial di YSL beauty e adesso è passata a Dior, fra l’altro pubblicizzando delle creme per la pelle, lei che aveva dichiarato sul suo account IG di aver avuto problemi di psoriasi (in tempi di disintermediazione occorre stare molto attenti ….). Le modelle millenials piacciono tanto perché – almeno sulla carta, anzi sui social – possono attrarre schiere di consumatori/consumatrici ma quando il brand fa parte del segmento lusso è proprio così? Spendere intorno a 80 euro per una crema viso non è un investimento allineato agli stipendi di una giovane che inizia a lavorare. Forse, i marchi dovrebbero focalizzarsi di più e meglio sul proprio DNA invece di strapparsi dalle mani le influencers più cliccate. Che poi è un attimo, in tempi di social, perdere follower, e allora addio a reputazione e clienti.