Il vino italiano costa troppo poco! Questione di posizionamento...
Il mio focus, dacché ho iniziato a girovagar per vigne e cantine, è sempre stato quello della qualità, indipendentemente dalle dimensioni ma con un occhio di riguardo nei confronti di quelle realtà capaci di manifestare con sincerità e determinazione il proprio virtuoso lavoro.
Eppure, mi rendo sempre più conto di quanto il problema dell'Italia del vino non sia relativo alla qualità in senso stretto e in senso lato, bensì del posizionamento e della fiducia che ogni produttore ha nei propri vini.
Sento spesso parlare di vini dall'"ottimo rapporto qualità-prezzo" e reputo questa accezione una contraddizione in termini, un ossimoro là dove per qualità di intenda alta qualità e per prezzo si intenda basso prezzo. Sono dinamiche, queste, proprie della GDO e di processi ed approccio prettamente industriali e commerciali, nei quali, grazie all'imponente massa critica, si riesce ad ammortizzare molte della spese che i piccoli e i virtuosi produttori hanno e ad orientare la propria sfida enoica solo sul prezzo a discapito dell'unicità, dell'identità e della qualità stessa, dando per assunto che l'omologazione e l'abuso dell'addizione non possano, oggi, essere contemplati tra i viatici alla qualità. Ricordiamo che in inglese quando vogliamo tradurre "conveniente" in termini di prezzo usiamo la parola "cheap" e credo non esista aggettivo più svilente di questo per un prodotto come il vino. Se un vino è di qualità di conseguenza quel vino avrà un rapporto "Qualità (Alta) - Prezzo (Alto)".
Quindi, la vera sfida per i produttori italiani è il posizionamento non solo per meri fini economici, ma soprattutto per conseguire una gratificazione tale da potersi permettere maggior sicurezza e una crescita graduale: migliorie di cantina, macchinari "nuovi" per la vigna, piccoli investimenti per il rinnovo di locali o del parco vigna ecc...
Avere maggior marginalità permette di poter evolvere e di poter raggiungere quella stabilità indispensabile per produrre grandi vini con costanza e per non smettere mai di migliorare.
Questo processo non è facile, ma non è neanche impossibile! Ciò che percepisco, girando quotidianamente per l'Italia del vino, è una sfiducia generale nei propri mezzi e un timore soffuso riguardo quello che è percepito come un azzardo, ovvero l'innalzamento dei prezzi dei propri vini.
Dato per assunto che è impensabile ritoccare verso l'alto in maniera imponente i prezzi di vini ormai presenti sul mercato in una determinata fascia da anni, è pur vero che ogni cantina italiana - dalla più piccola alla più "grande" - può rivedere la propria prospettiva di posizionamento continuando a produrre una linea "classica" (mai chiamarla entry level o "base") e una o più selezioni che possono essere rappresentate da MGA (là dove possibile), Cru o singola vigna, menzioni Riserva, selezioni da vigne vecchie o da particolari condizioni (es.: sistema di allevamento ad alberello, viti prefillossera, vigneti in eroici ecc...) singole vasche o botti capaci di esprimere al meglio in quella determinata annata il valore di quel determinato vitigno, vino o micro-areale e, addirittura, dei clos o della particelle di vigneto identificate dal vignaiolo/produttore come più meritevoli in termini di vocazione. Questi vini, in virtù dell'uscita ritardata sul mercato e del lavoro infuso nelle selezione delle zone e delle uva e dell'accuratezza con i quali verranno vinificati da chi li produce dovranno necessariamente avere costi molto più alti, andando a posizionarsi in quelle che io chiamo "fasce a bassa competitività", ovvero quei segmenti in cui si possono ottenere 3 risultati fondamentali anche solo dichiarando il prezzo della bottiglia:
- Minor competizione che nelle fasce medio-basse in cui è possibile trovare gran parte del vino italiano e nelle quali a parità di qualità il parametro principale di scelta è il prezzo e le discriminanti sono spesso ben più superficiali di quelle che il produttore stesso percepisce. Questo fatto è dovuto al target più basso al quale ci si rivolge;
- Maggior appeal nei confronti di un target maggiormente interessato ed esperto e, quindi, un'azione di "branding" indiretta che porterà la singola azienda ad elevare il proprio valore percepito e, nel tempo, a poter alzare gradualmente anche i prezzi dei vini della linea "classica". Posizionando il proprio vino in una fascia più alta tra i Premium e i Ultra Premium (alcuni potranno aspirare anche a fasce superiori) si dichiara pubblicamente la fiducia nei propri mezzi in maniera diretta e comprensibile da tutti. Purtroppo le bottiglie di vino non vengono tutte raccontate, vendute e servite dal produttore e il prezzo, ancor più del packaging, rappresenta il messaggio primario che si da al "pubblico";
- Maggior gratificazione emotiva ed economica grazie ad una marginalità importante che permetterà una miglior sostenibilità aziendale e una crescita qualitativa continua, nonché un aumento graduale della consapevolezza nei propri mezzi.
Quando nei miei corsi e nei miei incontri suggerisco ai produttori di valutare attentamente la possibilità di posizionarsi su fasce più alte con almeno uno dei propri vini non lo faccio in maniera sprovveduta e sono pronto a dimostrare con dati analitici e case history quanto il "rischio" sia fondamentalmente calcolato. Per questo i 3 fattori precedentemente indicati non devono prescindere dalla produzione di vini che possano dare rotazione e liquidità all'azienda. Ogni realtà italiana può produrre un vino di qualità superiore, frutto di un "progetto" che miri all'esaltazione delle proprie peculiarità territoriali, varietali e interpretative con numeri e investimenti ponderati e proporzionati in base alle dimensioni aziendali e alle proprie possibilità.
Per questo ci saranno piccole aziende che inizieranno col produrre una piccola botte della propria selezione e realtà più strutturate che ne produrranno 3000 mila bottiglie. I numeri contano relativamente in queste fasce e le prime annate - è dimostrabile - daranno otterranno maggior visibilità e desteranno maggior curiosità nei confronti di media, buyers e appassionati. Quest'azione, se operata in maniera congiunta da più produttori dello stesso areale, porterà ad una conseguente valorizzazione del territorio con benefici condivisi.
Inoltre, è risaputo che in alcuni contesti è più difficile entrare con vini a "basso costo" o che con i vini di fascia alta e molto alta.
Lungi da me voler fare i conti in tasca a chi investe già tanto in termini di tempo e denaro per produrre i propri vini, ma credo che proprio per far fronte a questo dispendio energetico ed economico sia fondamentale raggiungere quella stabilità che (per chi fa solo questo per vivere) permetta un approccio al lavoro più sereno e fiducioso, con prospettive non più a breve termine ma a lungo termine.
Quando un piccolo produttore mi dice "ho la cantina vuota! Ho venduto tutto in un attimo!" inizio a preoccuparmi perché nel 90% la facilità di vendita coincide con un prezzo troppo basso e con politiche commerciali (scontistica) molto aggressiva.
Se mi permetto di condividere queste considerazioni pubblicamente (chi ha avuto modo di incontrarmi negli ultimi anni non avrà letto nulla di nuovo) è perché a distanza di anni ho appurato che quei produttori che hanno recepito questi consigli e li hanno messi in atto oggi possono raccogliere i frutti di scelte oculate e coraggiose.
Tutti sappiamo quanto sia difficile, una volta posizionato un vino in una fascia troppo bassa, riuscire ad innalzare quella referenza in maniera importante e nessuno dovrebbe sentirsi appagato nel ricevere un complimento come quello che ha dato inizio a questa riflessione "fai dei vini dall'ottimo rapporto qualità-prezzo!".
Ovviamente per posizionare un vino in una fascia di pregio non basta decidere dall'oggi al domani di alzare il prezzo, ma è necessario conferire a quella bottiglia dei valori aggiunti quali:
- Privilegio: la tiratura limitata darà una sensazione di privilegio a chi andrà ad acquistare e a stappare quel determinato vino. Inoltre, permetterà al produttore di mantenere il rischio e i costi di produzione entro certi range.
- Packaging: può sembrare limitativo e superficiale, ma è fondamentale che si seguano alcuni criteri per la "vestizione" di una bottiglia di pregio partendo dal fatto che dovrà distaccarsi da eventuali altre bottiglie della linea "classica". Questo non significa caricare di orpelli barocchi o pacchiani la bottiglia, bensì di ricercare un'eleganza minimale che trasmetta, però, la ricerca e l'attenzione al dettaglio che ritroveremo nel contenuto. Un esempio può essere rappresentato dalla percezione che oggi da la bottiglia borgognotta, capace da sola di indurre nella mente del compratore appassionato e del buyer esperto una percezione di eleganza e importanza. Ovviamente, ogni scelta in termini "estetici" e di testo per nome e retro-etichetta andrà tarata e ponderata in base alle peculiarità della singola realtà: il piccolo artigiano dovrà comunicare la propria identità in maniera differente dal produttore più tecnico e "moderno".
- Sostenibilità: è indiscutibile che negli ultimi 15 anni la sostenibilità sia divenuto uno dei principi che di più incidono sulla valorizzazione del lavoro di un'azienda vitivinicola. Attenzione, però! Non sempre i bollini delle certificazioni "biologiche o biodinamiche" possono rappresentare un plus nelle etichette dei vini di alta fascia.
- Qualità, unicità e longevità: sembra scontato, ma non lo è affatto! E' fondamentale che il vino in questione sia frutto di un percorso cognitivo e di selezione molto accurato e che determini all'assaggio sensazioni superiori a quelle espresse dagli altri vini prodotti dall'azienda. Questo lo si può avere con una selezione ancora più accurata delle uve ma anche e soprattutto andando ad enfatizzare la singolarità territoriale e l'identità di un determinato cru o clos. L'uscita ritardata sul mercato può rappresentare un ulteriore indicatore di qualità nella percezione comune.
Non voglio contaminare questo articolo con nomi di singoli produttori, anche se potrei portare ad esempio decine di case history a sostegno delle mie tesi, ma vi chiedo di pensare a dei produttori molto virtuosi che, oggi, vendono almeno uno dei propri vini a prezzi importanti e di riflettere su quanto quegli stessi produttori verrebbero da voi percepiti come "validi e meritevoli" se il prezzo dei loro vini fosse decisamente più basso.
Lo stesso vale per le singole etichette e vi chiedo quante delle etichette più importanti al mondo vengono percepite in maniera ben più importante di quello che realmente possono esprimere nel calice e quanta curiosità siano in grado di destare senza spendere un euro in marketing.
Sia chiaro, la qualità di certi vini non si discute e io non voglio far scadere questo ragionamento in affermazioni superficiali e riduttive come quelle che vorrebbero e vedrebbero i vini sopra al di sopra di un certo prezzo come privi di senso e dal valore intrinseco nettamente inferiore a quello reale del contenuto (in quanto se andassimo a valutare il vino in tal senso tutte le referenze dovrebbero costare solo in base ai costi di produzione), ma certi vini sono grandi e quindi hanno un grande costo o sono grandi anche perché hanno un costo importante? E certi produttori devono la propria fama solo alla qualità del proprio lavoro o hanno anche grazie al coraggio dimostrato nel posizionamento di loro vini?
Ci sono realtà che non inviano vini alle guide, che non investono un solo euro in marketing, che lesinano visite in cantina e partecipazione ad eventi, eppure i loro vini sono altamente percepiti e considerati. Lungi da me invitare i produttori ad emulare questo modus operandi, in quanto le variabili in gioco sono molteplici e non si può "costruire" la fama di un vino o di un produttore a tavolino (restano ancora fondamentali le dinamiche legate alla critica, all'incoming e alla promozione in prima persona della propria figura e della propria realtà), ma questi estremi devono far riflettere su quanto conti puntare in alto oggi. Lo ha dimostrato anche il recente "stop" dei mercati a causa del Covid19, mettendo in crisi la fascia media e vedendo un aumento delle vendite dei due segmenti estremi, ovvero quello relativo alla GDO da basso costo e il segmento di fascia alta.
Anche in questo caso la Francia ci insegna ma anche territori importanti in Italia e nel resto del mondo hanno fatto "cartello" innalzando il costo delle uve, dei vini e di conseguenza dei terreni non curandosi di ciò che fanno imbottigliatori che, anzi, si ritrovano essi stessi a godere della crescita del valore percepito di determinati territori e vini.
E' solo credendo fortemente nei propri vini e unendosi in un posizionamento gradualmente più alto che territori attualmente meno noti possono crescere in termini di appeal, notorietà e qualità.
Ci sono centinaia di grandi vini in giro per l'Italia che, purtroppo, solo chi ha la fortuna e l'ardire di girare in lungo e in largo alla loro ricerca può incontrare nel proprio calice, ma è davvero un peccato pensare che quegli stessi vini non possano ricevere l'attenzione e la gratificazione che meritano solo perché posizionati in fasce di prezzo in cui rischiano di "perdersi" e di perdere la propria opportunità di emergere. Credo che l'Italia sia stata per troppi anni il paese delle fresi fatte del tipo "con 10€ in Italia bevi già bene!", "l'Italia fa dei vini dall'ottimo rapporto qualità-prezzo". Sono considerazioni che ormai sono appurate e che, ora, devono essere superate in quanto la qualità è diffusa ovunque nel nostro paese e all'estero e nelle eventuali "guerre fra poveri" ci sono e ci saranno paesi ben più forti di noi nella possibilità di produrre vino a basso costo (meno spese di gestione, meno tasse, manodopera a basso costo ecc...). L'invidia che proviamo nei confronti dei francesi dovrebbe smettere di coincidere con un complesso di inferiorità o addirittura di essere un alibi per non tentare di dare piccole svolte alla percezione che il mondo ha dei nostri vini. Oggi c'è voglia di scoprire grandi vini anche e soprattutto in Italia, terra in cui tutti i valori aggiunti che ho citato poc'anzi sono possibili e conferibili al vino, a partire dalla sostenibilità. Chi ha provato ha dato dimostrazione di poter fare la differenza, credendo fortemente nei propri mezzi e nel proprio terroir e posizionandosi di conseguenza. Ora sta ad ogni singolo produttore ma anche agli addetti ai lavori crescere nella fiducia nei nostri vini e nella possibilità di elevare la loro percezione in Italia e nel mondo.
Concludo chiedendo ai produttori di ragionare sul lavoro, sugli investimenti, sul tempo e sull'incertezza che produrre vino implica loro e di porsi un semplice quesito: "Il mio vino costa abbastanza?".
F.S.R.
#WineIsSharing
Responsabile vendita e marketing, sommelier , 2 level wset
4 anniVero, rispetto ai francesi ad esempio
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4 anniAnalisi perfetta ! Complimenti
Direttore Commerciale e Consulente
4 anniGent. Sig.Russo, Ho letto con interesse il suo articolo. Pur condividendo buona parte dello stesso, mi permetto di aggiungere qualche spunto per ulteriori ragionamenti. Mi occupo di vino da quasi 40 anni, prima nel Marketing e poi in area commerciale. Negli anni '80 il consumo medio pro capite era di 126 litri/anno. Ora siamo intorno ai 27, se i dati non sono cambiati negli ultimi 2 anni. Le ragioni sono molteplici. Moda, salute, patente e chi più ne ha più ne metta. Rimane il fatto che i prodotti eccellenti ( e costosi ) sono considerati di nicchia. La nicchia, per definizione, è piccola sia in Italia, sia all'estero. Quindi, per tenere aperte le aziende, è toccato a molti il compito di soddisfare le richieste della massa, notoriamente non ricca. Anch'io sarei contento di vedere più eccellenze italiane alla ribalta ma, con un prezzo elevato, si venderebbero forse le 3000 bottiglie che lei auspica, ma non di tutte le cantine che lo meriterebbero. Molti, per mancanza di strutture commerciali o di comunicazione adeguata, farebbero un bagno di sangue. Da lì, la necessità di mediare con le richieste di mercato, a volte poco gratificanti moralmente, ma più facilmente remunerative.
Partner at Tenuta Santa Maria Valverde Commitmented by @ilarianidini
4 anniCaro Francesco, Condivido ogni frase e sottolineo anche il paragrafo “sostenibilità”: la vera sostenibilità di un territorio coincide anche con un alto valore della bottiglia. Vogliamo mettere i costi di produzione e di impatto sul territorio di una bottiglia che vale 50 euro, verso 5 bottiglie da 10 euro?