Intelligenza emotiva: l’eterna lotta tra mente e cuore
“Educare la mente senza educare il cuore significa non educare affatto” - Aristotele
Ho voluto scomodare uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi per affrontare con voi un tema che mi ha sempre affascinato, ma che solo di recente ho deciso di approfondire maggiormente e l’ho fatto per potermi spingere nei meandri di quel mondo criptico noto come “intelligenza emotiva”.
Ci sono tantissimi aforismi e citazioni sulla relazione mente-cuore, ma questa frase mi ha colpito molto per ciò che si cela dietro: ovvero la possibilità di educare sia una mente che un cuore.
La nostra vita da quando nasciamo a quando moriamo è un susseguirsi di relazioni interpersonali. Dobbiamo avere a che fare con la nostra famiglia, con gli insegnanti durante la fase dell’istruzione, con gli amici, con i partner, con l’ambiente lavorativo e via discorrendo. L’essere umano è un animale sociale e su questo penso che siamo d’accordo tutti, ma ognuno si relaziona con gli altri in maniera differente.
Abbiamo tutti delle sfaccettature del carattere che rendono diverso ognuno di noi. C’è chi è estroverso, chi invece riservato, chi insicuro, chi sfacciato, ma non è detto che chi è l’uno non possa essere l’altro in circostanze differenti. Il nostro entrare in relazione con le altre persone ci rende ciò che siamo e molto volte purtroppo, soprattutto in ambito lavorativo, sembra avere un peso minore.
Non dico che non vengano presi in considerazione questi aspetti, ma solo che molte volte vengono messi in secondo piano ed ecco che l’antitesi volgarmente detta mente-cuore si ripresenta.
Quando si parla di intelligenza la prima cosa che si prende in considerazione è il Quoziente Intellettivo, ovvero ciò che comprende gli aspetti logico-matematici e linguistici dell’intelligenza umana. Si tende a considerare una persona intelligente se ha un elevato QI, ma è veramente così? O meglio le persone con un alto quoziente intellettivo sono più appagate dalla vita e riescono ad avere sempre successo?
In realtà in molti casi si è notato proprio l’opposto!
Evidentemente questo aspetto non descrive tutta l’intelligenza umana ed ecco che in aiuto entra in campo la cosiddetta intelligenza emotiva.
Viene definita per la prima volta nel 1990 da Salovey e Mayer come: “La capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni”.
Cinque anni dopo il giornalista e psicologo Daniel Goleman riprese questo concetto rendendolo popolare e portandolo all’attenzione di molti. Per Goleman l’intelligenza emotiva: “È la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali”. Alla base della sua teoria individua due tipi di competenze e a ciascuna attribuisce delle caratteristiche specifiche:
Competenza Personale, ossia il modo in cui controlliamo noi stessi, che si divide in:
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Competenza Sociale, la modalità con cui gestiamo le relazioni con le altre persone:
Ma torniamo un attimo alla frase di Aristotele e in particolare soffermiamoci sul verbo “educare”.
Come il Q.I. anche l’intelligenza emotiva si può allenare, secondo Goleman, infatti, è possibile attivarla o disattivarla a seconda dell’ambiente emotivo e sociale nel quale si cresce e si viene educati, segnalando anche la necessità di formare i bambini attraverso questo punto di vista.
Non pensate però che solo chi è nato in un contesto favorevole e propositivo sia più incline all’intelligenza emotiva, mentre chi purtroppo è cresciuto in situazioni differenti no, anche da adulti è possibile lavorare su di sé in modo da svilupparla.
Ciò che ci permette di essere “emotivamente intelligenti” non è essere sempre felici, ma accettare tutte le emozioni dentro di noi, e saperle utilizzare per vivere al meglio la nostra vita.
Arriviamo adesso al punto che più mi ha incuriosito e che mi ha dato il via per approfondire l’argomento, ovvero l’intelligenza emotiva in ambito lavorativo.
Anche sul posto di lavoro è possibile educare i dipendenti di un’azienda alla pratica dell’intelligenza emotiva perché per svolgere il proprio lavoro non contano solo le abilità pratiche ma anche la capacità di adattarsi ai cambiamenti.
Goleman, infatti, fa dell'intelligenza emotiva uno strumento fondamentale nell'ambito del successo lavorativo. Solo negli ultimi anni, però, ci si sta soffermando di più sulla questione e si sta provando ad analizzare quanto essa effettivamente incida nei luoghi di lavoro. Secondo il report di World Economic Form, l’intelligenza emotiva rientra tra le skills più richieste di questi anni.
Negli ambienti incentrati sulla persona, infatti, i collaboratori si sentono più apprezzati e connessi all’organizzazione e sono incoraggiati a esprimere e condividere le proprie emozioni. In queste realtà ci si è resi conto che il lavoratore riesce a dare il meglio al lavoro a beneficio delle persone, del team e dell’intera organizzazione.
L’intelligenza emotiva è quindi l’insieme delle soft skill necessarie per favorire un ottimo scambio comunicativo, incrementando la capacità di problem solving, stimolando il pensiero costruttivo e permettendo il raggiungimento di migliori risultati. Le persone con una buona capacità di gestione delle relazioni, infatti, hanno successo nelle attività in cui è importante saper gestire gruppi di persone o negoziare soluzioni tra parti in conflitto.
In conclusione imparare a riconoscere le proprie emozioni e saperle gestire è importante per la nostra crescita personale e per farci raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo con soddisfazione e autenticità, senza cercare di diventare qualcosa di diverso da ciò che siamo, ma solo diventando la migliore versione di noi stessi.
Alessandro Maggioni
Founder di Energy in Organization
3 anniCaro Alessandro, grazie! Mi hai emozionata perché leggere un tuo bellissimo articolo su un tema complesso che ci ha accompagnati nel nostro percorso mi ha toccata nel profondo! Grazie