Interrogativi pandemici
L'osservazione delle dinamiche antropologiche nelle diverse fasi della pandemia, mi hanno spinta a pormi due questioni, non del tutto slegate tra loro: che cosa significhi "ispirazionale" - e chi riesca ad esserlo davvero - e che tipo di collaboratore vuole il capo, cosa vorrebbero invece i colleghi e cosa sia il meglio per l'azienda.
Il primo interrogativo concerne l'entusiastico abuso, un po' "americano", di questa espressione corrente. Il pilota automobilistico che a causa di un incidente perde le gambe ma riprende comunque l'attività e diventa campione paralimpico è considerato ispirazionale. Lo stesso succede per l'imprenditore di successo di umili origini, che si è fatto da solo. Continuo? La vedova che in tempi in cui ciò non era comune tira su i figli da sola, lavorando, è di nuova considerata ispirazionale. E mi limito ad esempi che si possono ben considerare positivi, senza entrare nell'ambito del secondo me. Ebbene, io a questo punto mi chiedo sempre "e questo cosa ha che fare con me?". Certo, sono storie belle, colorate di speranza. Ma nel concreto, cosa sta facendo per me e per la mia crescita quella narrazione? Soprattutto cosa ci si aspetta che scatti in me, dopo averla sentita?
Quando vedo riportate queste notizie senza una riga di commento, senza una riflessione che possa proporre una chiave di lettura, resto perplessa. E quando a porre in rilievo questo tipo di notizia è chi gestisce o seleziona personale, vorrei potergli chiedere, senza malizia: quindi questo cosa significa per te? Che cosa cambia, da oggi nel tuo lavoro?
Alcuni aspetti della seconda questione è emersa anche durante la pandemia, soprattutto nei momenti di respiro dalle crisi più profonde. I collaboratori che già chiedevano da tempo il telelavoro ne postavano le meraviglie e azzardavano contestualmente la richiesta di attività ed orari smart. Di contro molte l'aziende, appena l'orizzonte si è rischiarato, si sono espresse nei termini di "bene fino a qui, ma ora tornate a lavorare."
Volendo estremizzare, si potrebbe ipotizzare che un management di un certo tipo, fatte salve gravi lacune negli skill specifici, tenda a privilegiare il candidato che non crea problemi, che si mostra disponibile ben oltre i suoi compiti o i suoi orari. Mentre il team che deve accogliere il nuovo arrivato ragionevolmente spera in qualità di competenza, correttezza e collaborazione. Quanto alle doti di leadership, a seconda di come le si definisca - interessano ad entrambi i gruppi. Resta da vedere cosa fa più comodo all'azienda, che è di più dell'insieme dei collaboratori e non è a mio avviso nemmeno identificabile tout court con i primus inter pares, ovvero la dirigenza. In una storia di 50 o 100 anni, che tipo di persone fanno il bene dell'azienda? Quali conflitti sono sani e portatori di valore e quali invece tendono a distruggerlo, a dar vita ad un avvitamento e quindi a far precipitare l'impresa?
Se avete risposte, sono tutt'orecchi.