inventare organizzazione politica

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TERZA PUNTATA

Ideologia in formazione

Ta il 1979 e il 1989 si sono succedute differenti elezioni[1]: tre europee, due politiche, due regionali e amministrative; Le fasi di voto rappresentano il momento principe dello scontro politico, non fosse altro per la grande attenzione che catalizzano da parte della pubblica opinione; per le leghe autonomiste rappresentano il primo palcoscenico sul quale manifestare la propria presenza e rendersi visibili ad un pubblico più ampio. Al di là dei risultati, che non premiano subito le nuove formazioni, le elezioni divenivano il luogo della proposizione delle leghe come opzione alternativa ai partiti tradizionali. Questi ultimi venivano percepiti, dalla stessa base iniziale leghista, su un terreno di forte conflittualità dentro il quale realizzare la propria pratica militante. Le stigmatizzazioni iniziali nei confronti del protoleghismo e le etichette ad esso impostegli di minoranza razzista avvaloravano quel sentimento oppositivo, antisistemico proprio dei movimenti che nascono fuori dalle organizzazioni tradizionalmente riconosciute (partiti politici e gruppi di interessi). Quei partiti venivano visti come incapaci di rappresentare le domande politiche e sociali settentrionali, la loro meridionalizzazione non era che l’espressione più evidente di un Nord che veniva abbandonato a se stesso, e che contava ancora qualcosa per la sua capacità contributiva.

La fase etno–nazionalista è stata in quest’ottica particolarmente importante in quanto ha fornito, non soltanto una parte consistente del sistema concettuale di riferimento (quello che Claudio Donegà chiama “uno schema interpretativo della realtà” o “un’ideologia in formazione”[2]), ma soprattutto in quanto ha creato una élìte di attivisti che realmente partecipava a quel sentimento di disaffezione nei confronti del sistema politico. Dieci lunghi anni hanno separato l’insorgere del protoleghismo dall’inizio dell’ascesa elettorale della Lega Nord, si è trattato di un percorso nel quale la sua élite in formazione ha preso coscienza delle dinamiche di interazione con la pubblica opinione, appropriandosi di una strategia di mediazione e di manipolazione sui contenuti della sua proposta politica; la tradizionale funzione interstiziale tra società civile ed istituzioni era entrata in crisi e con essa i partiti che l’avevano esplicata, aprendo la strada a nuovi percorsi alternativi di integrazione. Una nuova élite politica[3] andava rielaborando le forme comunicative per esternare la sua proposta, ricercando nuove istanze in grado di stimolare un nuovo senso di appartenenza. Una schiera di esclusi si affacciava, così, nel mondo dell’attivismo politico, un ambito fino ad allora monopolizzato dai partiti tradizionali. I luoghi stessi della militanza leghista coincidono spesso con quelli della socializzazione localistica, da un’indagine condotta tra i dirigenti periferici della Lega si evince come <<l’impegno gratuito>> e <<la dedizione>> siano i valori portanti che guidano l’operato degli attivisti leghisti, fino a diventare un tratto distintivo “rivendicato come aspetto di diversità, per accentuare il contrasto con il modello burocratico e professionale che si è affermato negli altri partiti”[4]. La loro esperienza di militanza si è articolata sul territorio e nei luoghi della vita quotidiana, dove si discute di politica nello stesso modo in cui si parla di sport o di questioni familiari. La maggior parte dei militanti leghisti dichiara di aver intrapreso quest’esperienza “nei gruppi amicali e individua tra i conoscenti del tempo libero il luogo privilegiato in cui svolgono opera di proselitismo”[5]. Fin quando l’etnia si presenta come il tratto politico dominate rivendicato da queste nuove élite è necessario interpretare l’emergere di tali formazioni nell’ambito dell’invenzione dell’etnia. Sarà lo stesso Umberto Bossi a rivendicare nel Congresso del 1989 l’efficacia e i limiti di quell’impostazione:

“Certamente l’etnofederalismo a cui miravamo concepiva l’unione dei popoli italiani come federalismo integrale, che è una dottrina federalista completa che non riguarda solo la forma dello stato e delle sue istituzioni, ma comprende anche il sociale e lo sviluppo economico. Il federalismo integrale esprimeva quello che, secondo noi, era l’unico progetto valesse la pena di realizzare. In particolare, doveva implicare non soltanto l’unione di più movimenti etnonazionalisti in un soggetto politico unitario, ma anche che tali movimenti rappresentassero popoli di aree geografiche omogenee per bisogni economici e affinità sociali ed etniche. Era evidente che in una certa fase del processo autonomista la Lega Lombarda, la Liga Veneta, il movimento autonomista piemontese (che allora si chiamava Arnassita Piemonteisa) avrebbero dovuto convergere in un unico movimento. In altre parole, avremmo dovuto dar vita a una “Lega delle Leghe”, quella che oggi è la Lega Nord. Non è però stato facile arrivarci, per anni abbiamo dovuto volare basso, ossia non dichiarare esplicitamente il nostro progetto per sfuggire all’intercettazione e alla comprensione del sistema politico romano. (…) ”[6]

[1] Il 3 e 4 di giugno del 1979 si svolgono le elezioni politiche; il 10 giugno dello stesso anno si tengono le elezioni per il primo Parlamento europeo; fra 8 e 9 giugno del 1980 hanno luogo le elezioni amministrative; il 17e il 18 maggio si svolgono i referendum (la Corte Costituzionale si era pronunciata a favore del referendum sull’aborto su richiesta dei Radicali, che chiedevano un ulteriore liberalizzazione della legislazione in materia di interruzione di gravidanza, l’ammissibilità fu inoltre concessa sulla abrogazione della legge Cossiga sull’ordine pubblico, su quella dell’ergastolo, del porto d’armi e dei tribunali militari, quest’ultimo quesito non viene sottoposto all’elettorato poiché la legge fu modificata dal Parlamennto); nel 1983, il 26 e il 27 giugno ricorrono le elezioni politiche; il 12 e il 13 maggio del 1985 hanno luogo le amministrative; nel 8 novembre del 1987 si tiene i referendum sul nucleare; il 18 giugno del 1989 ritornano le elezioni europee.

[2] Cludio Donegà, Strategie del presente. I volti della Lega, in (a cura di) G. De Luna, Figli di un benessere… op. cit. pp. 81-112.

[3] Le leghe come opportunità di partecipazione politica da parte di sezioni del sociale escluse dal monopolio dei partiti tradizionali è una prospettiva ben analizzata da Diamanti: “L’impressione che le leghe autonomiste costituiscono un canale di sbocco per una domanda di partecipazione sociale frenata dai partiti tradizionali trova un’importante conferma osservando le caratteristiche sociali degli eletti nelle amministrazioni locali nel 1990. Tra i consiglieri comunali eletti nelle liste autonomiste si rileva, infatti: a) il maggior tasso di giovani al di sotto dei trent’anni (30% circa, 6% più dei Verdi); b) il maggior tasso di persone provenienti dalla classe operaia (il 28%: quasi il 10% più del PCI). Le Leghe si propongono, quindi, come veicolo di mobilità e di accesso alla vita politica dei gruppi sociali più marginali, rispetto ai rapporti di potere. Il che rispecchia la loro natura di forza politica <<nuova>> maggiormente esposta, per questo, alle pressioni dell’ambiente sociale”. (I. Diamanti, La Lega. Geografia, storia e sociologia di un soggetto politico, Donzelli, Roma 1995, p.68).

[4] Ilvo Diamanti, La Lega…, op cit. p. 83 .

[5] ibidem.

[6] Umberto Bossi, Il mio progetto. (Federalismo per l’integrità etnica: relazione al primo Congresso nazionale della Lega Lombarda, 8 – 10 dicembre 1989), Sperling&Kupfer, Milano 1996, p. 21.

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