ITsAAArt: piattaforma italiana cercasi
Si è fatto un gran parlare della morte di ITsART, tipico “problema che ci riguarda tutti quanti” del quale in realtà non frega niente a nessuno: la piattaforma è affondata da sola e la sua chiusura non è una notizia perché la rotta era tracciata, anche perché non la si è mai pubblicizzata veramente, al di là della discutibile campagna di lancio, che ha saziato l’appetito di chi di dovere prima di far riporre il giocattolo nuovo su una mensola dove prender polvere.
Diciamocelo, “sexy” ITsART non lo è mai stata: era già diventata il nemico pubblico ancora prima del lancio, complici i ritardi del debutto rispetto alla crisi pandemica che l’avrebbe consacrata come risposta di welfare, ed è stata messa sotto accusa dal pubblico, dai giornalisti, dai professionisti del settore, dai fruitori di altre piattaforme; si è tirato in ballo il Canone RAI e ha sbattuto contro una proliferazione fungina dell’offerta di nuovi esuberanti cataloghi non selezionati che sembrava rispondessero al principio "lo metto in streaming così non mi occupa spazio sull'hard disk".
La sensazione che ho avuto è che per tutta la breve vita dell’iniziativa, analoga a quella del predecessore “Verybello.it”, la scusa di non voler rispondere alla pioggia di critiche le ha strozzato in gola ogni velleità di comunicazione.
Eppure ITsART una sua idea e una sua personalità ce le aveva o poteva avere: piattaforma di streaming tutta italiana, vetrina retorica dei nostri orgogli e delle nostre bellezze, seppur incomprensibilmente non delle nostre produzioni. Eccolo lì: il vero punto è stato l’assenza di una proposta italiana di cinema definita, diluita in una formula troppo “distrattogena” per entrare nelle grazie di altre piattaforme e trovare senso in una forma seriale - nuovo feticcio dello spettatore cinefilo da divano.
La “Netflix della cultura” scimmiottava solo il modello di business di Los Gatos, non il prodotto.
(Certamente con 7 milioni, ciclopico e ingiustificato costo di avviamento, si sarebbero potute produrre appena una decina di contenuti di qualità, numero troppo basso per creare un catalogo originale, ma sarebbero stati una dimostrazione di progetto editoriale, un solco di strada da percorrere, un segnale.) In ogni caso ITsART non c’è più. E non ci mancherà.
Ma restano delle domande a cui nessuno vorrà prendersi la briga di rispondere:
Perché un nome internazionale se la piattaforma non è concepita per essere fruita ovunque all'estero? Perché la forma contratta da cellulare con i tasti, che risulta illeggibile e anti-SEO, quindi poco indicizzabile? Perché il paragone con Netflix se non offre prodotti originali? Perché la contrapposizione con Netflix, sottintendendo che la sua proposta non sia culturale? (Che poi nello specifico io sono d’accordo che Netflix venda intrattenimento e multicultura, ma non cultura; ma in che modo ITsART rispondeva alle esigenze di questo fantomatico pubblico orfano?); Perché invece di dare vita a un costoso gigante con la pancia vuota non portare il grande pubblico su piattaforme perfettamnte funzionanti come quella di Rai Play e/o farli confrontare con lo smisurato archivio di Cinecittà?
Consigliati da LinkedIn
In un mondo dove ogni casa di produzione ha una piattaforma proprietaria esclusiva (anche Cecchi Gori e Minerva ne hanno una, per dire) che lo Stato condivida gli stessi sintomi della sindrome da steccati fai da te dice molto della direzione che non interessa far cambiare alla nostra Cultura. Ci sono già piattaforme che pensano alle famiglie, altre dedicate ai teenager di ogni cultura come ci sono anche piattaforme dedicate al cinema d'autore.
Forse il punto è che non c'è spazio per il made in italy e l'incastro nel mercato non era facile.
Ma sarebbe bastato molto poco, mancavano film originali italiani contemporanei, cortometraggi e nuovi formati che rappresentassero un’identità senza l’obbligo del tono istituzionale.
È il caso di NEXO+, joint venture tra Feltrinelli, Teatro Franco Parenti, Lady Sgarbi, Scuola Holden e naturalmente il catalogo di distribuzioni NEXO - riferimento per documentari su arte e artisti - una proposta di FILM dove l’arte è ovunque. Happy ending?
No, perché la diffidenza rispetto ai nuovi modelli e innovazioni fa sì che la posa snob del “vedere spettacoli o concerti così non è cosa”, l’assenza di teleobiettivi, il miraggio di una risoluzione in 4k, fa sì che il prodotto non funzioni: un problema principalmente anagrafico, perché il pubblico di prima elezione di questa piattaforma semplicemente era altrove, forse in parrocchia o al campo bocce, e la proposta è stata rispedita al mittente.
Insomma, ciao ITsART, ennesima dimostrazione plastica che il made in Italy senza artigianato, qualunque sia la disciplina di cui stiamo parlando, incredibilmente non si vende da sé, e che testimonia che finché una generazione in affanno continua a rincorrere il presente senza dialogare con chi il presente lo scrive, non ci aspettano che chiusure, polemiche e lugubri titoli di giornale.