"IT'S A STARTUP WORLD"​, la rubrica dedicata al mondo delle startup e ai suoi protagonisti. Oggi incontriamo Luca Giraldi, CEO e co-fondatore di Emoj

"IT'S A STARTUP WORLD", la rubrica dedicata al mondo delle startup e ai suoi protagonisti. Oggi incontriamo Luca Giraldi, CEO e co-fondatore di Emoj

EMOJ è una startup innovativa fondata nel 2017 come spin-off dell’Università Politecnica delle Marche. Propone soluzioni tecnologiche hardware e software avanzate nel campo della user experience sfruttando i più recenti risultati nel deep learning, nella visione 3D, nella video analysis e nel Machine Learning. In particolare, è specializzata su software brevettati basati sul riconoscimento delle espressioni facciali da immagini e video per creare esperienze digitali e fisiche che si adattano allo stato emotivo delle persone. Grazie alla flessibilità delle sue soluzioni, EMOJ opera nei settori dello smart retail (food, fashion, automotive), del travel & hospitality e dei musei. Nel settore dei sistemi di codifica delle espressioni facciali è una delle 10 aziende al mondo a possedere una tecnologia proprietaria e prima tra le startup Italiane secondo Bocconi e Unicredit. Inoltre è una realtà di eccellenza nella Regione Marche per il settore della ricerca e sviluppo, in quanto studia e sviluppa tecnologie “intelligenti” in grado di creare una connessione avanzata (emotiva, empatica, reattiva) tra uomo e macchina. Da marzo 2020 EMOJ ha aperto una sede operativa fuori dai locali universitari, per permettere la crescita e lo sviluppo della startup, l’autonomia del personale (oggi 3 dipendenti) e il passaggio dalla fase di “growth”, in cui oggi si trova, a quella di “exit”, per diventare nell’arco dei prossimi 2 anni, una PMI strutturata.

Luca Giraldi è esperto in Customer Experience con un dottorato in ingegneria industriale. Nel corso della sua attività lavorativa, ha acquisito una forte esperienza e conoscenza della gestione amministrativa e finanziaria di società e progetti di ricerca, grazie anche al suo percorso formativo concentrato in indirizzi politico-economici (Laurea in Comunicazione di Impresa e Laurea Magistrale in Scienze Politiche) e corsi di master quali Master in Marketing e Direzione Aziendale e Master in Knowledge Management per le PMI. È stato amministratore della PMI innovativa Cherry Merry Lab (Customer Marketing), di Antrox (LED Lighting) e gestisce l’azienda Flowing, esperta di software development. È inoltre consulente aziendale per alcune grandi imprese nel settore fashion e del retail. Oggi Luca è appunto CEO e co-fondatore di EMOJ, società che rispecchia il suo animo visionario e nella quale crede fermamente. Siamo andati ad intervistarlo per sapere qualcosa su di lui, sull’azienda e su questa sua nuova avventura:

Ciao Luca, bentrovato. Innanzitutto volevo chiederti da dove è partita l’idea di creare una startup?

L’idea nasce da un’esigenza che ho riscontrato nel corso della mia attività di Customer Experience Manager svolta per una grande azienda italiana che opera nel Fast Fashion Retail. Ho compreso l’importanza di poter misurare in modo oggettivo e non invasivo l’esperienza dei clienti durante il loro percorso in scenari fisici e digitali e la quasi totale assenza di strumenti dedicati. Ho iniziato ad immaginare gli effetti dell’uso di tecnologie di Emotional Analytics nel campo del Retail. L’idea è poi diventata realtà grazie all’incontro con Maura Mengoni, l’altra cofondatrice di EMOJ, docente alla Facoltà di Ingegneria dell’Università Politecnica delle Marche, che con un team di ricercatori mi ha aiutato a sviluppare un sistema di Face Coding capace di riconoscere dalle espressioni facciali delle persone riprese dalle videocamere la loro età, il genere, le emozioni provate, il livello di soddisfazione e quello di interesse. Insieme ad un gruppo di ricercatori, abbiamo fondato dopo due anni di intensa ricerca uno spin-off universitario, appunto EMOJ, oggi startup innovativa, che ha superato la fase di incubazione ed è in piena crescita.

 Ci sono state delle criticità o delle resistenze che hai / avete dovuto affrontare nella creazione e gestione della startup?

Sicuramente inizialmente abbiamo incontrato difficoltà nello sviluppo della tecnologia, perché volevamo fare un passo avanti rispetto allo stato dell’arte internazionale. Non abbiamo voluto adottare strumenti offerti da nostri competitor per il riconoscimento delle emozioni, ma realizzare algoritmi di Deep Learning completamente nuovi, di cui siamo proprietari, capaci di apprendere con un training set che cresce di giorno in giorno. Inoltre, non ci limitiamo a riconoscere le emozioni dalle espressioni facciali, ma anche l’orientamento della testa, l’apertura e chiusura degli occhi, le aree di osservazione su cui si focalizzano gli occhi ed usiamo queste informazioni per comprendere il grado di soddisfazione delle persone, il livello di interesse e le loro preferenze ed attivare reazioni adattative e personalizzate che creano un’esperienza unica sia digitale sia fisica. L’altra grande criticità ha riguardato l’assetto societario, che è variato nel tempo fino a trovare un perfetto equilibrio tra la componente universitaria e quella imprenditoriale. I cambiamenti però sono continui, perché ci adattiamo alle esigenze dei singoli soci e cerchiamo di rispondere in modo proattivo agli investitori, il cui interesse è sempre stato vivo negli ultimi due anni di attività. Siamo usciti dall’incubatore dell’Università per crescere come impresa autonoma e quindi abbiamo dovuto affrontare le criticità legate alla formazione del team e al cambiamento di passo da spin-off accademico a startup in crescita.

Perché una persona dovrebbe lasciare la sicurezza del cosiddetto “posto fisso” all’interno di un’azienda e rischiare tutto per una sua idea, per una sua “creatura”?

La risposta è semplice: per amore, per passione ed imprudenza. Bisogna essere un po’ visionari ed avere quella capacità di intravedere in un’idea il seme di qualcosa che un giorno, forse lontano, porterà i suoi frutti. Essere uno startupper significa non aver paura di dedicarsi anima e corpo al proprio lavoro, così da far germogliare quel seme e non avere sabato o domenica liberi. Si è però ripagati dalla soddisfazione di provare che l’idea funziona, che il team è in sincronia ed entusiasta, che i clienti ti cercano e le opportunità si generano. Inoltre, oggi non esiste sicurezza del “posto fisso”, forse neanche quello pubblico è così certo. Chi ci assicura che l’azienda per cui si lavora non fallirà o non vedrà calare il proprio fatturato tale da dover rinunciare a delle risorse? A volte questa sicurezza, tanto anelata da una cultura basata sulla ricerca del “posto fisso”, può essere trovata proprio in sé stessi e nelle proprie capacità di realizzare “creature” capaci di sostenersi.

Quale percorso di studio suggeriresti ad uno studente che intenda buttarsi nel mondo delle startup e creare un prodotto/ un servizio suo?

Non c’è una risposta unica, perché molto dipende dall’idea che si ha in mente e dai propri interessi. Sicuramente è fondamentale avere sia conoscenze tecniche-tecnologiche, sia conoscenze di carattere più economico e manageriale. Oggi multidisciplinarietà e “cross-fertilization” sono chiavi importanti di svolta per creare nuovi business. Considerando il mio percorso, che da discipline economiche e politiche è approdato all’ingegneria, posso affermare che una fase importante è stata quella del corso di dottorato che ho frequentato presso l’Università Politecnica delle Marche. Consiglio ai giovani neolaureati e non, che hanno aspirazioni imprenditoriali e hanno idee nuove, di riuscire a fare e non solo provare.

Cosa possono fare le Università italiane per aiutare a formare giovani imprenditori?

Alcune Università italiane stanno già attuando percorsi di formazione per i giovani imprenditori, che vanno dalle Business School, dove intervengono esperti nazionali ed internazionali del mondo della ricerca, dell’accademia e dell’impresa, ai Contamination Lab, veri e propri laboratori in cui si sviluppano nuovi prodotti e servizi accompagnati dagli esperti sopra citati. Dal mio punto di vista però ci sono ancora tante iniziative che potrebbero essere messe in campo per facilitare la formazione di una cultura delle startup. In primis, penso all’introduzione di corsi di management e marketing digitale in facoltà diverse da economia, da quelle di ingegneria e quelle di natura umanistica, ma corsi non come spot isolati, ma davvero integrati nel corso degli studi magistrali. Inoltre, solleciterei la creazione di laboratori annuali per lo sviluppo di prodotti e servizi, come parte del corso di studi, dove dovrebbero convergere più discipline e più docenti di materie diverse, sollecitati magari da input provenienti dalle imprese. In ultimo, suggerirei dei percorsi meritocratici di scelta di sugli spin-off da finanziare, per portarle ad essere delle vere e proprie imprese. Per la mia esperienza oggi le Università danno una sorta di gettone iniziale per la fondazione dello spin-off, ma non selezionano, o comunque non lo fanno in modo così spinto, quelle idee che davvero possono avere un riscontro sul mercato. La conseguenza è che si creano molti spin-off e le Università non fungono da veri acceleratori del business come invece io auspicherei. Noi spin-off saremmo disposti a condividere i profitti con l’Università dove siamo nati, ma vorremmo avere un contributo vero e maggiore, in termini sia economici sia di risorse umane a disposizione, per affrontare tematiche che vanno dagli aspetti finanziari e amministrativi, a quelli legali o tecnici.

Quali sono secondo te le evoluzioni che potrà avere il mondo delle startup nel contesto italiano?

In base ai report di Startup Europe 2019, il numero di startup in Europa cresce a ritmi sostenuti, ma con pochissimi “unicorni” che riescono a penetrare il mercato mondiale. Nel 2019 sono state registrate in Italia 10.164 startup, con una maggiore concentrazione in Lombardia, Emilia Romagna e Lazio. Molte puntano su IT e software e solamente 1000 all’incirca sono concentrate sulla ricerca e sviluppo, ma hanno una redditività bassissima (oltre 4.000 dichiarano un capitale annuo che oscilla tra 5.000 e 10.000 euro) che indubbiamente non permette loro di sostenere una crescita delle risorse umane e quindi espandersi. Un dato che ogni volta mi stupisce è quello relativo al fatto che solo 453 startup italiane sono guidate da donne. EMOJ in questo è in controtendenza, perché il nostro Presidente è donna ed ingegnere. Quindi per rispondere alla vostra domanda, direi che più che altro io auspico un’evoluzione “di genere” delle startup, perché le donne possono contribuire in pari misura alla crescita delle idee, e noi ne siamo la prova, ed ad uno sviluppo del sud Italia, dove ci sono ottime professionalità e un mercato con un alto potenziale. Anche se in controtendenza al pensiero comune e al tema della sicurezza di cui si parlava prima, io mi auguro anche che molte startup falliscano prima di protrarsi per anni in situazioni di stallo. Meglio fallire, riconoscere gli errori e ripartire magari con nuove idee, che rimanere in una compagine societaria stagnante, con un prodotto che non riesce a penetrare sul mercato, e quindi così favorire la nascita degli unicorni.

Cosa ti riserva il futuro? Quali sono le tue prossime mosse e i tuoi sogni?

Il futuro di EMOJ lo ha in parte tracciato il Covid-19. L’improvviso arresto delle attività da parte di molti nostri clienti e la conseguente priorità data ad attività primarie, ci hanno posto di fronte ad una domanda: come possiamo sfruttare la nostra tecnologia e adeguare quindi il business? Abbiamo quindi cercato di intercettare due esigenze del mercato a cui saremmo stati in grado di rispondere in modo proattivo grazie alla nostra tecnologia di Face Coding e Artificial Intelligence. Il primo bisogno è quello della formazione a distanza (FAD) del personale aziendale su temi come salute e sicurezza dei lavoratori e metodi di smartworking, imperativi in un periodo di distanziamento sociale e uso di piattaforme digitali. Il secondo, più tecnologico, riguarda l’assenza di piattaforme di e-learning realmente interattive e capaci di verificare che i corsisti effettivamente seguano i corsi ed apprendano i concetti trasmessi. Da questi due stimoli, abbiamo ideato e sviluppato un’innovativa piattaforma di didattica a distanza per studi professionali, aziende piccole e medie e liberi professionisti, per erogare corsi di formazione su salute e sicurezza sul lavoro e sviluppo di prodotti e servizi con modalità smartworking. La piattaforma è dotata di funzionalità assolutamente innovative rispetto all'attuale stato dell'arte nazionale ed internazionale, perché è capace di monitorare in tempo reale l’effettiva presenza dei corsisti (face recognition), il loro livello di attenzione (gaze detection), il grado di frustrazione che provano (emotion recognition) e allo stesso tempo di inviare contenuti digitali interattivi ed empatici che permettono di superare il modello di “autoapprendimento passivo” realizzato dalla maggior parte degli strumenti FAD. La piattaforma è dotata di una dashboard web che permette ai manager di dimostrare agli enti preposti i corsi fatti, le effettive ore seguite, ma anche il livello di apprendimento del proprio personale. Grazie alla nuova piattaforma, EMOJ vuole contribuire ad introdurre le emozioni in relazioni umane sempre più “digitali” e sensibilizzare le imprese verso tematiche di sicurezza e salute e smartworking. Sicuramente ripongo grandi aspettative verso questo nuovo progetto per la formazione a distanza, poi se devo pensare ai miei sogni, desidero poter ripartire per i miei lunghi viaggi. Ogni anno sono all’estero per circa un mese, perché voglio vivere i luoghi e fare nuove esperienze che mi arricchiscono e che magari mi ispirano per progetti futuri.

Una lettura / un libro / una rivista che consiglieresti, ti ha ispirato e ti ispira nel tuo lavoro.

Il libro che mi ha inizialmente ispirato è stato “Il cliente al centro. Reinventare il business nell’era della Customer Experience” di Bodine e Manning, ma sono numerosi i libri che leggo e che mi tengono aggiornato sulle trasformazioni digitali in atto e future. Grazie al dottorato di ricerca e all’attività di studio che sto svolgendo all’Università degli Studi di Macerata, ho conosciuto anche l’universo delle riviste scientifiche di respiro internazionale, tra cui Journals of Retail e Marketing Research, ma anche Computer in Industry e Technovation, che mi aiutano molto nell’adottare un approccio multidisciplinare e orientato al trasferimento di saperi (cross-fertilization).

Per l'emergenza Coronavirus abbiamo assistito al passaggio repentino allo smartworking, ad un incremento delle lezioni a distanza, abbiamo iniziato in massa a fare la spesa on line, ecc… Possiamo dire che si è scoperto un altro modo di lavorare, ma anche di vivere?

Possiamo dire che questa modalità “digitale” di vivere e lavorare si è più ampiamente diffusa in fasce di età e in settori dove permanevano metodi e strumenti più tradizionali. Ci ha permesso di scoprire il valore dello spazio domestico e delle interazioni digitali, ma la scoperta è un’altra cosa. La scoperta ha un fascino che questa modalità per me non ha. Rappresenta un’opportunità di sviluppo per le startup e di interazioni sociali che superano il tradizionale concetto di spazio tempo.

Cosa desideri aggiungere al termine di questa intervista? Qual è il tuo motto?

“Gli imprenditori che hanno successo sono quelli che partono da un’idea ma sono pronti a cambiarla con il minimo preavviso”. Vi lascio con questa frase di Jerey Stoppelman, co-fondatore di Yelp, che dovrebbe essere di incoraggiamento per tutti quegli startupper che hanno paura di fallire, ma per arrivare ad un risultato realmente innovativo bisogna assumersi i rischi del fallimento, che però non è una sconfitta, ma è un’opportunità di cambiamento e di successo futuro.



Paolo Longobardi - MBA

Senior Partner - Member of the Board at PRAXI - Managing Partner @ PRAXI Bologna

4 anni

Un tema importante, ben posto da Manuel Angelucci 🔍 e con un contributo di grande interesse di Luca Giraldi . Suggerisco la lettura.

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