Jean Tinguely ovvero la poesia della meccanica
Immaginate un luogo dove la meccanica si libera dalle sue funzioni ingegneristiche per diventare racconto, spettacolo, filosofia. Qui i motori danzano non per spingere ma per incantare, e gli ingranaggi, invece di lavorare, sussurrano storie di ordine e disordine. Questo è il mondo di Jean Tinguely (1925-1991), un artista che non crea per aggiungere, ma per disvelare: per rivelare la tensione nascosta nel dialogo fra caos e struttura, tra poesia e lavoro industriale.
Fino al 2 febbraio 2025, il Pirelli HangarBicocca di Milano ospita una mostra che ci invita a ripensare il nostro rapporto con la tecnologia, non più come strumento ma come specchio. Le opere di Tinguely ci conducono in un territorio liminale, dove il confine tra arte e macchina si dissolve e ciò che emerge è il senso umano del fare, del costruire, del distruggere e del ricostruire. In una continua ecologia del divenire.
Tra le opere esposte, colpisce una Renault F1 degli anni ’80, smontata in ogni sua parte, trasformata in una scultura dinamica che fluttua nello spazio, una giostra da competizione. Non è solo un’esibizione di ingegneria, ma un invito a riflettere sulla fragilità e sulla complessità dei sistemi che costruiamo. Ogni pezzo, in movimento o in equilibrio sospeso, sembra chiedere: cosa resta di un oggetto quando lo priviamo della sua funzione?
In questa operazione, Tinguely ci mostra come ogni elemento – un ingranaggio, un bullone, un pistone – possa sfuggire al suo destino originario per acquisire un nuovo significato. Disegnati per lavorare insieme in una macchina funzionale, questi pezzi sono qui liberati dalle loro costrizioni e riassemblati in una nuova narrazione. Da meri strumenti di produttività, diventano simboli di libertà, frammenti poetici che parlano di trasformazione e di possibilità. In questo modo, Tinguely trasforma il linguaggio meccanico in un alfabeto estetico, dove ogni componente racconta qualcosa di sé e del nostro rapporto con il mondo.
Jean Tinguely incarna il ruolo dell’artista-demiurgo, colui che ordina il caos senza eliminarlo del tutto, che si fa tramite tra l’informe e il senso, tra l'universo e l'uomo. Come il platonico creatore di mondi, lo scultore svizzero non si limita a manipolare la materia: egli la anima, le infonde un’anima vibrante, un pensiero, ma lascia che sia il caso – e con esso l’imperfezione – a completare l’opera. La sua arte non è mai definitiva, mai chiusa: le sue macchine vivono nel tempo, soggette all’usura, al guasto, all’irrimediabile. E in questo, ci ricordano la condizione umana: un costante equilibrio precario tra creazione e dissoluzione.
Non è necessario essere esperti di tecnologia per lasciarsi affascinare da queste opere. I bambini, ad esempio, trovano nelle sue macchine qualcosa di magico, di ludico, quasi un’eco di giocattoli animati da un’energia anarchica e vivace. Gli adulti, invece, possono scorgere in queste opere una meditazione sull’ossessione contemporanea per il controllo, sull’accettazione dell’imprevedibile e sulla bellezza che nasce dall’assurdo.
Le sue macchine non lavorano, vivono. Tinguely le chiama alla vita per farci vedere ciò che spesso ignoriamo: il paradosso della tecnologia, che si regge sul confine sottile tra ordine e disordine. Ogni movimento meccanico è un gesto poetico, ogni rumore uno spartito che celebra l’inutile, l’effimero, il gratuito.
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Questa mostra non è solo un’occasione per osservare, ma per partecipare a un dialogo con il passato e il futuro delle nostre idee sulla tecnica e sull’arte. Tinguely non offre risposte, ma costruisce domande. E sta a noi decidere se ascoltare il ritmo imprevedibile di quegli ingranaggi o continuare a cercare il nostro equilibrio nel rumore del mondo.
Qui di seguito, tre miei filmati che mostrano alcune delle sculture di Tinguely in movimento.
Senior Editor presso DBInformation | Moderatore | Web editor
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