Jobsact: dieci risposte

Jobsact: dieci risposte

Tento alcune risposte ad alcune osservazioni ricevute al mio articolo “Il Jobs Act non serve”.

1. La tecnologie e la globalizzazione consentono di produrre sempre più beni e servizi con sempre meno impiego di lavoro umano. Ciò rappresenta il lato positivo del progresso perché, da che mondo è mondo, gli esseri umani hanno inventato nuove macchine e nuovi istemi organizzativi solo per faticare di meno e creare di più.

2. Poiché il monte di lavoro necessario per produrre tutto ciò che ci serve (domanda) aumenta molto meno del numero di persone che intendono lavorare (offerta), se si continuerà a usare l’attuale distribuzione del lavoro, si continuerà ad avere alcuni lavoratori (genitori adulti) impegnati almeno otto ore al giorno e altri (figli giovani) completamente disoccupati. Il problema, dunque, è come superare questa discriminazione, eliminando tutta la disoccupazione.

3. E’ affrettato dare un giudizio negativo del Jobs Act? Nel migliore dei casi, secondo i suoi stessi estensori, esso creerebbe un milione di posti di lavoro in tre anni. I disoccupati sono più del triplo. Occorre dunque un intervento che sia mirato in partenza all’eliminazione di tutta la disoccupazione. Le teorie neo-liberali partono dal presupposto che la povertà e la disoccupazione non possono essere eliminate per motivi dipendenti dalla natura umana. Stessa cosa sostiene la Rerum Novarum ritenendo però che disoccupazione, povertà e dolori sono “tristi e ree conseguenze del peccato originale”. Altre teorie (che io condivido) partono invece dal presupposto che la povertà possa essere eliminata perché non dipende sia dalla creazione di ricchezza che dalla sua distribuzione. Purtroppo finora l'evoluzione economica è rimasta distante da quella sociale ma non è detto che debba continuare così. (Gianluca Galli, Giovanni Galluccio, Paolo Pozzani, Davide Michele Di Stefano).



4. Esiste la possibilità oggettiva di eliminare qui e ora tutta la disoccupazione (3.400.000 disoccupati) e non solo una minima parte (come vorrebbe fare il Jobs act). Oggi 23 milioni di occupati, lavorando 8 ore al giorno per 220 giorni l’anno, accumulano un monte complessivo di lavoro pari a 40 miliardi e 480 milioni di ore lavorate. Lo stesso monte ore, se si lavorasse 6.48 ore al giorno, consentirebbe l’occupazione di 27 milioni di persone. In altri termini, azzererebbe tutta la disoccupazione. (Costante Coppola)

5. Sono consapevole che questa soluzione è semplicistica e che richiede una maggiore articolazione. Infatti non tutti i lavori sono uguali. Il 33% delle mansioni, essendo di tipo creativo, occupano la mente del lavoratore 24 ore su 24. In questi casi, quindi, non è possibile aumentare l’occupazione con la riduzione dell’orario, ma bisogna ricorrere ad altri strumenti. Nel 67% dei casi, invece, si tratta di mansioni esecutive (come la catena di montaggio o lo sportello bancario) e quindi la riduzione dell’orario è perfettamente praticabile. (Nino Marchegiano – Mirella Brasili)

6. Se le aziende non assumono ciò dipende solo in parte dal fatto che la pressione fiscale è elevata (ora il Jobs act defiscalizza); che manca la libera concorrenza (dove stanno i monopoli nella piccola e media impresa, cioè nel 95% del nostro mercato del lavoro?); che non si investe nell’innovazione (siamo il nono paese al mondo per numero annuo di brevetti). Le imprese ricominceranno ad assumere solo se ci sarà bisogno di aumentare la produzione e se non sarà possibile sostituire la manodopera con i robot. Ci sarà bisogno di aumentare la produzione solo se aumenteranno i potenziali compratori. I compratori aumenteranno se crescerà il loro potere d’acquisto e se essi riterranno necessari i prodotti che gli vengono proposti. I compratori saranno più numerosi e più ricchi se la ricchezza smetterà di confluire in pochissime tasche, lasciando vuote tutte le altre. Oggi, in Italia, i dieci più ricchi posseggono una ricchezza pari a quella posseduta da sei milioni di poveri. Queste dieci persone, per quante ville e Ferrari possano comprare, non compreranno mai sei milioni di scarpe o di orologi.
(Marcello Murabito, Andrea Spensieri)

7. Gran parte delle materie prime, ormai, è costituita dalle informazioni e dai microprocessori. In entrambi i casi, l’embargo è sconsigliabile.
(Massimo Biondi)

8. Ovviamente l’ambiente di lavoro deve diventare più confortevole; formando, motivando e creando un clima ottimale si ottiene di più; spazio alle nuove idee; innovazione di prodotto e servizio; facilitazione delle startup; ricerca, alta formazione; product solving e service solving. Ma tutto questo vale per quel 33% di lavoratori che svolge attività creative. Vale molto meno per quel 77% che svolge mansioni esecutive, dove il ritmo del lavoro e la qualità del prodotto dipendono più dalla catena di montaggio che dall’operatore. (Chiara Milanesi, Domenico Di Lauro)

9. Ovviamente, il Golem della burocrazia succhia risorse alle imprese e alle famiglie, ai lavoratori, ai non lavoratori, ai giovani. Ma questo non ha un’influenza diretta sull’occupazione. Non è tanto la complessità burocratica che scoraggia gli imprenditori ad assumere quanto piuttosto la mancanza di acquirenti e la possibilità di sostituire gli operai con i robot e gli impiegati con i computer. E poi le attuali tasse non sarebbero alte se ad esse corrispondessero ottimi servizi. (Domenico Di Lauro)



10. Il Jobs Act non trasforma i rapporti precari in rapporti più stabili. Ogni datore di lavoro potrà licenziare uno o più dei suoi dipendenti in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione. (Andrea Spensieri, Alberyo Koffi, Gaetano Gallipò)

ROBERTO CELI

Amministrazione del Personale-Docente Formatore-Senior Payroll Consultant-Paghe e Contributi

9 anni

È conseguenza del progresso tecnologico......l'uomo saprà controllarlo e dominarlo....?

Fabio Vuolo

Direttore Risorse Umane presso Kimbo S.p.A.

9 anni

Purtroppo è così. Amara verità.

Simone GODOI

Indepent Consultant at SFDG

9 anni

Concordo plenamente, mas primeiro urge a mudança de mentalidade! O mais difícil!

Marco Lisi Turriziani, IZ0FNO FRIN, FBIS, SMIEEE, SMAIAA

Special Envoy for Space of the Italian Ministry of Foreign Affairs - Board Member at ASI (Agenzia Spaziale Italiana) - Independent Consultant

9 anni

Sono per lo più d'accordo con il prof. De Masi. Ritengo che il vero problema sociale non sia quello di tre milioni di persone senza un impiego stabile e remunerato (vecchia maniera), quanto quello di tre milioni di persone che non occupino la loro vita in qualcosa di utile e che le dia senso. Se non fosse per la bacata mentalità italiana che ci fa rifuggire lavori considerati infamanti e per i vincoli imposti al nostro bilancio dall'Europa, la soluzione sarebbe molto semplice: creare non un reddito di cittadinanza, ma piuttosto un servizio sociale di cittadinanza (remunerato), che impegni tutti in attività di pubblica utilità: dalla manutenzione e pulizia delle strade, all'assistenza agli anziani ed ai disabili, al sostegno ad attività educative ee al migliore sfruttamento delle nostre risorse turistiche. Il risultato sarebbe una popolazione, soprattutto giovanile, motivata, uno stimolo all'economia di consumo, una società con migliori servizi, quindi anche più favorevole alle imprese ed una molto migliore qualità della vita. Come dicevo, la soluzione potrebbe essere semplice, ma richiederebbe un enorme coraggio (ed un'enorme creatività) da parte dei nostri politici, nonchè un radicale cambio di mentalità da parte di noi tutti

Gianluca Galli

Il Tempo per Sé Sas

9 anni

Grazie per la sue risposte esaustive e convincenti

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