LA CONTESSA BARBERA (5 - continua)

LA CONTESSA BARBERA (5 - continua)

Una tazzina di tè con 2 biscotti secchi. La colazione per quella mattina così speciale. Si era persino fatto la barba, col Prep, come d'abitudine prima dei grandi convegni domenicali all'ippodromo. La lama del rasoio era molto affilata e la Rocca d'allume aveva tamponato il sangue di un taglietto sotto l'orecchio destro. Le campane di Giardinetto suonavano il secondo dei 7 rintocchi, quando Meo Berazzani entrava nell'allevamento Semper Fidelis dalla porticina secondaria. Un'abitudine che aveva preso quando, rientrando la sera nella stalla dove dormiva, aveva vergogna di farsi vedere dai custodi col passo incerto per i fumi dell'alcool. Abitudine che aveva deciso di mantenere all'inizio di questa seconda vita che chissà dove l'avrebbe condotto, forse fuori dall'inferno, forse solo un'illusione passeggera.

IL RUDERE "Ricordati che contro l'alcool dovrai combattere tutti i giorni": aveva ben chiare in testa, pesanti come macigni, le parole dell'Adele, che il vino lo vendeva all'osteria là fuori ma che di sicuro gli voleva bene. A vederlo così lindo e fresco, persino elegante negli stivali lucidi, i pantaloni bianchi da cavallerizzo, il gilet blu sopra una camicia bianca, i capelli lucidi di brillantina, e il profumo dell'Aqua Velva, mai avresti pensato al rudere che quell'uomo era qualche mese prima. Borbottando qualcosa tra sé e sé, forse per le parole della Luisa che gli pesavano sempre gozzo, Meo svoltò l'angolo del corridoio B, quello che conduce al tondino. Tessa era già lì, sembrava lo aspettasse.

INCONFONDIBILE Da quanto tempo non la montava anche solo in passeggiata? Da quanto non la lanciava al galoppo? Da quando non sentiva quell'inconfondibile versetto sommesso, una specie di basso nitrito soffocato in gola, con la quale lo accoglieva prima di una corsa? Che cosa era rimasto di quella cavalla dopo la maledetta parentesi americana? Meo l'accarezzò dietro l'orecchio sinistro, come lei una volta gradiva, senza però ricevere nessuna risposta. Meo decise allora di comportarsi come con qualsiasi altro cavallo, e quando ebbe finito di sellarla con un salto le fu sopra. "Aurelio, dammi quella banana e tre carote", chiese all'artiere: quella mattina sarebbero state il pranzo suo e lo spuntino di Tessa, ch di carote era golosissima. "Wanadio è pronto?" "Sì è fuori che vi aspetta, come hai chiesto lo monta Piero che l'ha già fatto sfogare un po' - rispose l'Aurelio, un omone calvo con le manone callose che sembravano badili ma capace di tenerezze infinite quando maneggiava i cavalli - Sai che ti dico? Mi sembrava che Wanadio sentisse tutta la responsabilità del suo nuovo ruolo, valli a capire sti cavalli!".

BANANA E CAROTE I due si salutarono e Meo - con la punta gialla della banana che spuntava dal taschino posteriore del gilet blu, si mise al passo con Tessa per raggiungere Wanadio e Piero, i compagni di passeggiata. Così aveva deciso Meo, dopo la carta bianche avuta sulle gestione di Tessa. Wanadio pareva incuriosito per quello che stava accadeva, e si esibì in tre o quattro esuberanti "sì sì" con il testone grigio. Strana la sua storia. Il Conte Branca lo aveva acquistato 6 anni prima a Longchamp, dove averlo visto finire secondo in rimonta in un corsa per puledri di un certo valore. Il Conte si era proprio invaghito di quel bestione enorme che prometteva così bene. Ma il destino ci aveva messo lo zampino. E per quelle misteriose vicende che rendono così affascinante e imperscrutabile il mondo dei purosangue, Wanadio prese un brutto vizio: alla mattina era un'iradiddio, peccato che le corse fossero al pomeriggio quando di galoppare proprio non ne voleva sapere.

PROGETTI Memore dell'invaghimento e confidando sotto sotto in misteriosi ravvedimenti, il Conte aveva deciso di tenere comunque Wanadio tra i propri effettivi. Meo lo aveva scelto apposta, voleva che prima o poi misurasse Tessa. Quando sarebbe accaduto, Meo avrebbe capito se la cavalla che lui conosceva c'era ancora o se era meglio mandarla in razza. Nei progetti di Meo quell'esame sarebbe dovuto venire dopo un periodo di ambientamento fatto di lunghe passeggiate e al massimo qualche leggero canter. "Vai avanti tu, prendiamo la strada bianca verso Lu" - disse Meo compiacendosi per l'assonanza - Attenzione alle biciclette perchè su quella strada a settembre passa la Monsterrato, molti vengono ad allenarsi prima".

PERCHE'? Il dado era tratto, la sfida cominciava, il gioco era molto più alto di un eventuale ritorno in pista. Quella mattina Meo si era comportato come con qualsiasi altro cavallo, gli stessi metodi, gli stessi tempi, le stesse operazioni. Ma non gli era sfuggito che Tessa non l'aveva perso di vista neppure per un attimo. Perchè lo fissava? Che cosa voleva? Cosa si aspettava? Iniziando la passeggiata, Meo sentì lontano il ritmo di un piccolo galoppo: si voltò per vedere che Roccia arrivava di gran carriera per unirsi alla compagnia. Tessa guardò Roccia, quasi sgridandolo per il ritardo; poi volse per un attimo la testa fissando Meoi negli occhi. E lui, in quello sguardo, capì finalmente quale forza tremenda, spietata e dolcissima li unisse, in quel momento, quasi in un patto di sangue: Meo e Tessa erano due sopravvissuti, due ruderi a caccia di una seconda occasione.

(5 - continua)

di Claudio Luigi Bagni

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Claudio Luigi Bagni

Altre pagine consultate