LA COPPA E LA SPADA: IL SACRO, LA CAVALLERIA E IL GRAAL part III
a cura di Claudio Bonvecchio

LA COPPA E LA SPADA: IL SACRO, LA CAVALLERIA E IL GRAAL part III

LA COPPA E LA SPADA: IL SACRO, LA CAVALLERIA E IL GRAAL part III

3. LA CAVALLERIA. La salvezza è – indubitabilmente – lo scopo primario del cavaliere. Certamente si tratta della salvezza dal peccato, dove il peccato è visto in senso prettamente religioso e penitenziale. Tuttavia, peccato è anche e soprattutto che inficia la grandezza e la divinità dell’uomo: in una parola, la sua sacralità. Perseguire la salvezza dal peccato è dunque – in positivo – perseguire le caratteristiche primarie dell’uomo che, accanto alla forza materiale, annoverano anche quella spirituale. Specificità dell’istituzione cavalleresca è raggiungere questa unione perfetta in cui l’uomo può riconoscere se stesso come tale. E’ una specificità che mai prima è stata conosciuta in questa forma: forma che è all’origine della cultura stessa dell’Occidente, nonché del suo modo di esprimere l’amore, la vita, la forza e il sentimento1. «Il valore» nota Walter Scott «è stimato in ogni età e paese, e quanto più rudi sono il periodo e il luogo, tanto più vengono rispettati l’audacia dell’impresa e il successo in battaglia. Ma mescolare il valore militare con le più forti passioni che muovono la mente umana, con i sentimenti di devozione e quelli d’amore, questo fu peculiare dell’istituzione della cavalleria»2. Dalle parole di Scott traspare, senza dubbio idealizzata, l’immagine di una potente istituzione (la Cavalleria) che si presenta – contro ogni stereotipo di parzialità, aggressività e violenza – come l’esempio di un voluto equilibrio: di una totalità in cui l’uomo appare, più che mai espressione della divina armonia. Non si differenzia da quanto – secoli prima – aveva sostenuto Raimondo Lullo: «Se la cavalleria poggiasse più sulla forza del corpo che non su quella d’animo ne deriverebbe che l’Ordine avrebbe a concordare con il corpo, e non con l’animo»3. Tutto ciò proietta una luce diversa sulla Cavalleria che perde la connotazione di maniera (quando non ovvia e scontata) che le viene dai romanzi e dai films d’avventura, per assumere un carattere di assoluta serietà e di inaspettata profondità. La Cavalleria si presenta così come un complesso ed articolato continente, dai mille percorsi, dalle più varie prospettive paesaggistiche, dai più inimmaginabili orizzonti. D’altronde, basta scorrere le pagine del saggio di Franco Cardini sull’origine delle Cavalleria – che rappresenta un riferimento obbligato – per rendersene conto4. E su questa origine è il caso di soffermarsi, seppur brevemente, per una migliore comprensione della sua evoluzione storica e spirituale.

Innanzitutto, è il caso – utilizzando le categorie delle quali si serve Cardini – di isolare una sorta di percorso concettuale che conduce all’Ordine Cavalleresco medioevale e che ha il suo momento iniziale nelle sperdute steppe danubiano–asiatiche, dove dimorano i Reitervölker, i popoli dei soldati a cavallo: gli antenati dei cavalieri medioevali5.

A. Il cavaliere e il cavallo. I soldati a cavallo – nell’immaginario popolare – hanno tratti che li diversificano, completamente, dai consueti combattenti appiedati. La loro prima caratteristica è che sono un tutt’uno con l’animale, il cavallo, sul quale vivono e combattono e cui spesso – nelle chansons de geste – viene dato un nome: come Tencedor, il cavallo di Carlo Magno, Veillantif, il cavallo di Orlando, Baucent quello di Guglielmo d’Orange e così via6. Non basterebbe, d’altronde, un’intera biblioteca per render conto di tutti i riferimenti nei quali si allude al legame, indissolubile e intimo, sussistente tra l’uomo e il suo cavallo. Come rileva – da un punto di vista esclusivamente tecnico, ma con una particolare attenzione simbolica – Maurice Keen: «Il cavallo, il cavaliere e l’asta costituivano così un tutto compatto»7. Questi antichi cavalieri appaiono, di conseguenza, come un curioso esemplare di semidio: quello espresso dalla figura mitica del centauro, mezzo uomo e mezzo cavallo, considerato come l’icona del desiderio e della sfrenata passionalità, presente nell’ancipite natura umana8. Il centauro – assimilabile proprio per gli aspetti inferiori – al cavallo, è stato visto come la rappresentazione dell’inconscio collettivo dell’uomo9, nel suo aspetto libidico e materno10: in una parola ctonio e primordiale. Ed il cavaliere delle origini, a ben vedere, si presenta come una sorta di centauro che incarna simbolicamente, nella sua forma più piena e completa, il mondo primordiale numinoso e materno–uroborico11, dominato dall’inconscio e dalle pulsioni più incontrollabili. Memorabili sono, infatti, le crudeltà degli antichi sarmati e di quelli che i romani definivano “barbari”: non a caso tutti montanti il cavallo, da sempre simbolo di vita, forza, di abilità, di destrezza, di valore e coraggio, ma anche del desiderio, della sfrenatezza, della passione sessuale 12.

Non si può poi dimenticare che, nella mitologia nordica – ma i valori simbolici del cavallo sono trasversali alle mitologie, alle culture e alle religioni e tali e tanti che è impossibile darne un catalogo esaustivo – il cavallo è associato al sole: uranico portatore di virtù spirituali e guerriere, contraddistinte dalla luminosità. Ad esempio, il cavallo di Dagr (il giorno) si chiama, in antico norreno, Skinfaxi (criniera splendente) o anche Glaor (luminoso), così come i cavalli degli dei Asi hanno nomi nei quali la ricorrenza dell’attributo aureo ne esalta la splendente solarità: come Gullfaxi (criniera d’oro), Gulltoppor (ciuffo d’oro) e così via13. Il che fa del cavallo un animale sacro, per eccellenza, come è esemplificato dal leggendario cavallo di Odino chiamato Sleipnir (quello che scivola velocemente), i cui denti portano incise incise le rune e che può cavalcare sia nel regno dei vivi che in quello dei morti, ribadendo con ciò le qualità iniziatiche nonché profetanti associate al cavallo14. È in nome di questa sacralità che è aggiogato all’apollineo carro solare; che è considerato in India l’espressione della capacità penetrativa della Luce15; che è l’emblema del Bodhisattva Avalokiteshvara16 e che nel Bar do t’os sgrol (Il libro tibetano dei morti) forma con altri cavalli il trono sul quale siede Rin c’en abyun Idan, il Buddha luminoso della Luce gialla che purifica dalle sensazioni17. Senza ulteriormente dilungarsi sulla simbolica ippomorfica e sulla sue interpretazioni, si possono evidenziare ancora le qualità che fanno del cavallo il simbolo sia della forza fecondante che di quella sacrificale a carattere mortifero18. In virtù di questa forza – in quanto abitante del mondo infero e di quello supero – possiede una rilevante valenza sciamanica19. Così, cavalcare un cavallo – che sia il bianco cavallo uranico che il nero e demoniaco cavallo della morte – equivale a possedere, al pari degli sciamani, uno statuto speciale e distintivo che rende chi li cavalca una creatura eccezionale e al limite tra l’umano e il divino. Al pari della sua cavalcatura e in relazione ad essa, il cavaliere assume il carattere dell’iniziato che percorre i mondi terresti, pur appartenendo a quelli superi e viceversa. Su tale base, il cavallo bianco è attributo proprio e distintivo sia del grande cavaliere e del sovrano che della figura dell’eroe e del Salvatore: poco importa che sia Maometto, il Kalki Avatara della tradizione indiana o il Cristo stesso che, nell’Apocalisse, compare a cavallo in tutta la sua pantocratica maestà: «Poi vidi il cielo aperto ed ecco apparve un cavallo bianco, e Colui che lo cavalcava è chiamato Fedele e Verace..[..].. e il suo Nome è: La Parola d’Iddio»20.

B. Il cavaliere e la spada. La sostanza iniziatica del cavaliere, oltre che dal cavallo, è confermata e accresciuta dalla spada – strumento terribile, cruciforme21, simbolo di totalità, perennità e di forza – e che, al pari del cavallo, è una sorta di sua appendice. La spada, non differentemente dal cavallo, è uno dei simboli più importanti del patrimonio simbolico dell’umanità in generale e di quello del cavaliere in particolare22, anche se non è il più antico, visto che le prime spade datano dall’età del bronzo. Essa, infatti, è sempre stata associata coniugata alle capacità virili e guerriere dell’uomo. Non a caso contraddistingue i grandi guerrieri della tradizione, delle saghe, dei miti: Teseo, Achille, Beowulf, Sigfrido, Rolando, Saladino, Artù, Shotoku Taishi, Lancillotto, El Cid, Oliviero, Aragorn, Ganilone, Parzifal, Galvano, Galahad il Perfetto Cavaliere (solo per citarne alcuni), nonché gli eroi–santi (più o meno leggendari) quali Carlo Magno, San Giorgio, San Venceslao di Boemia, Santo Stefano d’Ungheria e a molti altri ancora. La loro spada – solitamente a loro consegnata da una divinità, da un santo o da Dio e che per lo più coincide con la spada dalla forma cosiddetta “carolingia”– possiede un nome, per sottolinearne la personalità, la forza e l’appartenenza. È il caso di ricordare i nomi di Joyeuse, Balmung, Durlindana, Shichisei (Sette Stelle), Hautclaire, Bantraine, Tizona, Anduril, Ame–no–murakumo–no–tsuru–gi (la spada mitica, tuttora venerato simbolo del potere imperiale giapponese) o la celeberrima Excalibur o Caliburn (derivata dal latino chalybis, acciaio o dall’ebraico excalibor, taglia ferro e acciaio) che nella tradizione celtica è chiamata Caledfwlch (da Caladholg, spada che emette luce)23. La spada – connessa oltre che alle attività guerriere a quelle della caccia – possiede molteplici valenze sacrali: è l’emblema fallico ed assiale del coraggio24 nonché contrassegno regale25. Come axis mundi collega – non diversamente dal cavallo – i due mondi: quello terreno e quello celeste, rappresentando il perno superiore attorno al quale ruota ordinatamente il mondo, con ciò riproducendo lo sciamanico albero del mondo26. È assimilabile al vajra (il fulmine, in sanscrito, a sua volta riconducibile sia al diamante, inalterabile ed immutabile come l’axis mundi27), che al lingam (fallo, in sanscrito, simbolo supremo di forza, di generazione, di coraggio e di sovranità28), mostrandosi così portatrice di una straordinaria valenza iniziatica29. Ma è anche paragonabile – come spada spirituale e interiore – al corpo umano, la cui la testa è rappresentata dal pomo, il collo dal manico, il trapezio dal paracolpi, il corpo materiale dal fodero, l’anima dalla lama30. Essa è, inoltre, sempre foriera di trasformazione e ciò la rende simile ad un’operazione alchemico–trasmutatoria. Come ricorda Jung – rifacendosi al simbolismo alchemico – la spada non diversamente dall’acqua «permanens sive mercurialis» (dal Mercurio alchemico, spirito penetrante, mediatore ed icona macrocosmica del Salvatore) «occidit et vivificat»31. Il che la rende simile al fuoco (come la spada dell’angelo posto a guardia dell’ Eden32) , alla luce (come la spada a doppio taglio che esce dalla bocca del vecchio maestoso nell’Apocalisse giovannea33) o alla conoscenza pura che dissolve l’oscurità dell’ignoranza (come la spada di Vishnu34). La spada è, dunque, indice di chiarezza, di saggezza e giustizia oltre che di suprema conoscenza35: è il motivo per il quale è considerata come l’attributo del Bodhisattva36, ma anche di Odino la cui arma Gungnir non cessa di colpire37. Saggezza, giustizia e chiarezza sono, dal canto loro, anche gli attributi perspicui del Logos come principio sommo della razionalità celeste nonché del potere tremendo della forza divina il cui simbolo per eccellenza è il sole: il sol invictus nel quale si rispecchia il Cristo Cosmocratore38. «La spada fiammeggiante» scrive Filone d’Alessandria «è simbolo del sole»39 e continua «è simbolo del Logos»40. Come arma “logica”, divina e solare – simile a quella del dio nordico Freyr – «è in realtà essa stessa un raggio di sole cui è dato il potere di distruggere le forze dell’oscurità e del caos»41.

La spada possiede dunque una sacralità che la rende pegno di giuramento – non a caso nell’elsa (talora adorna di decorazioni a carattere sacro42) sono spesso racchiuse reliquie43 – e investe il cavaliere non soltanto della già citata valenza iniziatica, ma anche della testimonianza del Sacro, di cui è il custode e l’icona vivente. Ne consegue che la scelta radicale di vita – che rende il cavaliere molto simile ad un sacerdote – non è solo propria alla tradizione cristiana della Sacra Cavalleria, ma anche ad altre tradizioni cavalleresche tra le quali, di particolare rilievo, è quella del mondo islamico. Basta ricordare quanto scrive lo Sheikh Abu ‘Abd–er–Rahman es–Sulami (vissuto a cavallo dell’anno mille): «È proprio della cavalleria avere come compagni Allah, il suo Inviato e i suoi intimi..[..]..Chi prende l’Inviato di Allah, S. A. ‘a. w. s., come compagno, segue il suo comportamento, il suo esempio, il suo atteggiamento, le sue caratteristiche e assume il suo esempio come guida per ciò che deve praticare e abbandonare»44.

C. Il “tipo umano” del cavaliere. Non meraviglia, allora, che il cavaliere – colui che cavalca e impugna la spada – si presenti come una personalità compiuta e realizzata, al di là di ogni ceto sociale e di ogni distinzione di casta45. Essa coincide con il compimento di un lungo percorso i cui prodromi sono nel primitivo uomo a cavallo. È questo un “tipo umano” – cifra ctonia dell’indistinto e del materno – che non si differenzia da quella dal branco ancestrale che si esprime nella figura dei Berserkir (i guerrieri dalla pelle d’orso – serkr46) o ulfhedhnar (uomini dalla pelle di lupo – ulf47) i selvaggi e belluini guerrieri devoti a Wotan–Odino, di cui si ha una suggestiva descrizione nel capitolo VI dell’Ynglinga Saga o nel capitolo XXXI della Germania di Tacito48. Questi Berserkir che – come rileva Durand – umanizzeranno i proprii costumi militari e sessuali in quella sorta di “Cavalleria” rappresentata dai Vikings 49– si trasformeranno lentamente nella schiera ordinata dei cavalieri cantati dai cicli cavallereschi. Schiera dove il singolo – superato ma non rifiutato lo stato belluino, nel quale domina la dimensione inconscia, pulsionale, uroborica e simpatetica – sperimenta la tensione verso un universo spirituale, armonico, logico ed equilibrato: l’universo della coscienza, l’universo del maschile (ovviamente in senso psicologico). Per questo, secondo Raimondo Lullo, il cavaliere come compiuto tipo umano «possiede più ragione e più intelletto»50. Sarebbe “più maschile” (naturalmente in senso psicologico). Passa dalla furia insensata ed incontrollata, dove la forza è sinonimo dello scatenamento passionale alla forza indirizzata secondo un ben preciso e finalizzato progetto51. Scrive San Bernardo: «Se la causa per la quale si combatte è buona, l’esito della battaglia non potrà essere cattivo, allo stesso modo non sarà stimata buona conclusione quella che non sia stata preceduta da una buona causa e da una retta intenzione»52. Come si può notare, la distanza dalla furia dei Berserkir è massima, senza per questo dimenticare o negare che la forza è parte ineliminabile dell’essere e dell’esistere umano. Sulla base del pensiero teologico–mistico di Guglielmo di Saint–Thierry e sul suo concetto di “opposizione dei contrari”53, il cavaliere incarna una complexio oppositorum e, quindi, è sinonimo di totalità.

Se si vuole, è proprio dall’incontro del Wut (furore) ctonio e barbarico del Berserkir con l’uranico cristianesimo che nasce – nella figura del Cristo, Rex tremendae majestatis – la complexio che si realizza pienamente nel cavaliere. Anzi, è il Cristo, l’eroe uranico per eccellenza, che vince le tentazioni e sfida il mondo assurgendo a prototipo del cavaliere54. Come tale è traslato nelle grandi figure eroiche e sante di cavalieri dei quali è intriso l’immaginario medioevale e di cui sono meravigliosa testimonianza i racconti della Leggenda Aurea: dal cavaliere Martino a San Giorgio che affronta e vince il drago55. Entrambi sono i primi di una lunga schiera di Santi Militari56, endiadi curiosa e all’apparenza (almeno per la moderna sensibilità) contraddittoria, ma che ribadisce il carattere della complexio oppositorum. Complexio che nel cavaliere – devoto e combattente, spirituale e materiale, monaco e soldato – è indubbiamente massima. D’altra parte, il capo gerarchico per eccellenza di questi Santi Militari – oltre ai Grandi Arcangeli, come ad esempio Michele – è lo stesso Cristo, Signore delle Vittorie che i Porfirogeniti Imperatori bizantini portano in campo sotto le simboliche sembianze del Mandylion, lo stendardo–icona del Cristo: il vero condottiero delle truppe cristiane57. Un pallido, depotenziato e secolarizzato eco di questa identificazione tra Cristo, il cavaliere e il combattente è dato – in tempi recentissimi – dalla figura del Milite Ignoto che assurge a icona laica dell’eroismo, del valore, dell’abnegazione ma anche dell’estremo sacrificio, compiuto per una causa giusta58.

D. Il cavaliere e il combattimento. In stretta sintonia con il significato sacrale del cavaliere muta anche la valenza estetico–eroica del combattere. Così, la lotta del cavaliere non è più il libero sfogo di inconfessabili e sanguinose pulsioni come accadeva per i selvaggi Berserkir, ma la metafora di scontri interiori che sono combattute nei deserti dell’animo e nei paesaggi dello spirito. Come nota Huizinga: «La concezione cavalleresca ha una sua caratteristica singolarità. È un ideale estetico nella sua essenza, composto di variopinta fantasia e di emozione eroica. Però, vuole essere anche un’ideale etico: il pensiero del Medioevo poteva rendere omaggio a un ideale di vita soltanto se lo poneva in relazione con la pietà e la virtù»59. In questa accezione, la distanza tra il monaco e il cavaliere si riduce sino a venir meno, mentre le tentazioni si presentano e vengono vissute da entrambi come veri e proprii combattimenti o duelli: «È davvero impavido e protetto da ogni lato quel cavaliere che come si riveste il corpo di ferro, così riveste la sua anima con l’armatura della fede (I, Thess. 5,8)60. La guerra sacra o santa insomma – quella che per la futuwwa o Cavalleria islamica è la jihâd, il combattere per aprire la strada a Dio) – è quella combattuta sia contro il demonio (l’antico avversario e tentatore) sia contro i detrattori della fede, per definizione fautori dell’ingiustizia, della violenza e della menzogna. In quest’ottica, l’apostolo Paolo fa riferimento al “gladio dello spirito”61 il che spiega il motivo per cui le armi sono consacrate dal “soffio divino”62, indipendentemente dalla forma della consacrazione cavalleresca. Consacrazione che si presenta con i crismi di una classica iniziazione.

E. Il cavaliere e l’Ordine Cavalleresco. Va da sé che la pratica iniziatica dell’ordinazione cavalleresca, per il desacralizzato mondo moderno, è un rito incomprensibile (quando non vagamente teatrale), in quanto la forza (caratteristica del cavaliere) – anche se esercitata a buon diritto – è oggi considerato estranea allo spirito, se non il suo opposto polare. Per la sacralità medioevale – fondata sulla complexio oppositorum – non ci può essere forza se non simbolicamente congiunta all’onore63 sotto gli auspici dello spirito, tramite un rito che incorpora in essa il Sacro. Se il Sacro non viene incorporato simbolicamente e ritualmente, la forza è sempre contraddistinta dalla negatività: coincide con la violenza demonica esercitata nel nome del Cavaliere Nero, il Signore del Male64. È il motivo per cui San Bernardo elogiando i Cavalieri Templari li presenta come l’esempio dei veri Cavalieri, sorti «per confondere i nostri cavalieri secolari che certamente non militano per Dio, ma per il diavolo»65. È altresì il motivo per cui la Cavalleria – la militia Christi – viene contrapposta alla militia seculi, dove la prima è guidata direttamente da Cristo, miles inter milites e la seconda è capitanata da Satana, secondo il modello delle gerarchie opposte e speculari fornito dello Pseudo Dionigi66. Milizia e gerarchia i cui adepti sono quelli che si potrebbero – forse impropriamente, ma certo efficacemente – chiamare “contro iniziati”67. In questa linea e ad ulteriore conferma dell’essere i cavalieri i viventi rappresentanti della totalità, la traditio gladii viene effettuata liturgicamente secondo modalità in passato prerogativa esclusivamente sovrana68, ma che a partire dal X secolo, viene progressivamente, estesa a tutti i cavalieri, ordinati da un ministro di Dio di alto rango69. Il vescovo, insomma, si sostituisce al del sovrano o al cavaliere consacrante70, anche se non lo sostituirà mai completamente71. Il rito –la Benedictio Novi Militis – diventa a sua volta sempre più parte integrante del Pontificale Romano, ad ulteriore conferma della sacralità dell’Ordine cavalleresco72 che quasi assume il rango di “ottavo sacramento”73. Il Sire che nel Perceval di Chrétien de Troyes investe cavaliere il giovane Perceval «Gli dice che con quella spada gli conferisce l’ordine più alto che Dio abbia creato al mondo: l’Ordine della Cavalleria, che non ammette bassezze»74. Con il che, l’ordinazione cavalleresca si conferma come un sacramento che ha il potere alchemico–iniziatico di trasformare l’uomo ed è per questo che si può considerare la Sacra Cavalleria come l’espressione simbolica dell’Arte Regia, dove, secondo l’interpretazione esoterica di Victor Michelet «Il cavaliere è il sale [in senso alchemico, nota mia] della terra»75.

Ne deriva che, nella prospettiva sacrale della Cavalleria, la guerra, sempre osteggiata dal cristianesimo sin dalle origini – «Mihi non licet militare quia christianus sum»76 – assurge a testimonianza del proprio e personale impegno in una battaglia terrena e cosmica tra le forze del bene e quelle del male, per le quali combattere è doveroso. Il cavaliere è ovviamente collocato tra quelle forze del bene nelle quali Agostino scorge la possibilità di riparare torti e ingiustizie, nonché di ripristinare una situazione corrotta dal male: il soldato in generale e, nello specifico, il cavaliere diventa un combattente della fede. Se la guerra è una sorta di “judicium Dei”, come afferma Agostino77, il cavaliere ne è certamente il principale strumento. Prende corpo l’immagine – che è quella che si dispiega nei cicli cavallereschi e, specificatamente, in quelli della Tavola Rotonda e che, in seguito sarà romanticizzata da Walter Scott – del cavaliere che, nella guerra e fuori dalla guerra, ripara i torti, difende l’innocenza e la debolezza,. È l’immagine – senza dubbio solidificatasi nell’immaginario occidentale – come il modello per eccellenza sul quale plasmare un tipo d’uomo forte ed incorrotto: «Dovere del Cavaliere» scrive Lullo «è di aiutare le vedove, gli orfani, gli invalidi»78. Il cavaliere rappresenta, insomma, la figura eroica che s’incarna via via nei grandi personaggi storici della Cavalleria, indipendentemente dalla loro fede, professione, nazionalità79 sino a diventare, nella società moderna – seppure a livello residuale – il prototipo della nuova ed eroica generazione del lavoro: quella che Jünger definisce come un Ordine Cavalleresco80. Un Ordine81 sopranazionale i cui milites assomigliano, in tutto e per tutto al superuomo nietzscheano82, in grado di operare una positiva trasvalutazione dei valori riduttivi della società borghese: un uomo indomito e coraggioso «dallo sguardo di bronzo, duro, che sa prendere il suo cammino terribile, imperturbato dai suoi orrendi compagni, e tuttavia privo di speranza, solo col destriero e il cane»83. Si tratta del cavaliere düreriano che affronta la morte e il diavolo84 e la cui immagine accompagnerà Nietzsche in tutto il suo cammino umano e di pensiero quale icona aristocratica del dovere e della lotta contro se stessi e il mondo: quale icona cavalleresca. Senso del dovere, coraggio, abnegazione, carità e lealtà sono, pertanto, i tratti distintivi del nobile cavaliere, come traspare dalle condizioni richieste da Lullo per l’ammissione nell’Ordine della Cavalleria: «Scudiero senza nobiltà non può ricevere Cavalleria» e continua poco più oltre «Se vuoi trovare nobiltà d’animo chiedilo alla fede, alla speranza, alla carità, alla giustizia, alla fortezza, alla lealtà e alle altre virtù, poiché in esse consiste la vera nobiltà di cuore e con esse il Cavaliere si difende dal male, dall’inganno e dai nemici delle sua Milizia»85.

F. Il Novus Miles. Va da sé che questo miles praeclarus che abita le vette dello spirito, ma frequenta le caverne del saeculum si qualifica – al pari dell’arcangelo Michele86 suo celeste protettore insieme alla Beata Vergine Maria87 – come una compiuta icona della complexio oppositorum. In questo senso, il novus miles si presenta come una rappresentazione archetipica, ossia come «un contenuto inconscio che viene modificato attraverso la presa di coscienza e per il fatto di essere percepito, e ciò a seconda della consapevolezza individuale nella quale si manifesta»88. Pertanto, in quanto “modello ipotetico” – ovviamente non mai oggettivabile né percepibile in sé89 – si presenta come la forma fondamentale dell’uomo. È la forma che trova la sua massima espressione simbolico–storica in quella che banalmente è considerata l’età della superstizione ma che, in realtà, si è vista essere l’età del Sacro. È quel momento storico nel quale fortissima, appunto, è la tensione verso la complexio oppositorum, verso la totalità.

Di questa età – il medioevo – mistica e terrena, spirituale e materiale, ma sempre e comunque illuminata dalla totalità, il novus miles è la più alta espressione. Lo è molto più del pio e contemplativo monaco perché in lui è presente anche la componente virile e guerriera. Lo è molto più del rude guerriero perché in lui è presente anche l’ispirazione mistico–estatico del monaco. È insomma un’equilibrata sintesi di entrambi e per questo costituisce, sostanzialmente, una sfida – l’ultima e forse per questo destinata a permanere nell’immaginario e nell’immaginazione collettiva – dello spirito e della cultura occidentale. Spirito e cultura condannati, come nota Oswald Spengler, a diventare – nel proseguo storico – la trascrizione della vana ambizione e dell’illusoria potenza di Faust: la descrizione della decadenza90. Emblematicamente, Lullo si riferisce alla Cavalleria proprio come ad un antidoto alla decadenza. «Quando cominciò nel mondo» scrive «il dispregio per ogni giustizia e per ogni verità, si convenne che queste venissero restaurate per mezzo del timore; perciò ogni popolo venne diviso in migliaia di uomini e, fra ogni mille di essi, uno ne fu scelto che, per bontà, saggezza, lealtà, valore, nobiltà, bellezza e devozione, su tutti gli altri prevalesse»91. Se Faust simboleggia il tramonto dell’Occidente, il cavaliere ne è la perenne aurora.

Il cavaliere – immagine archetipa dell’Uomo armonico ed equilibrato – non ha ambizione alcuna, esteriore o interiore. Nulla pretende che non sia il perseguire quell’antico motto – «diventa ciò che sei» – che è, in sostanza, l’unica divisa araldica92 della quale idealmente si fregia. E infatti, il diventare se stesso è il sottile filo conduttore che unifica temi e personaggi dei cicli cavallereschi, tutti tesi, quasi ossessivamente, ad una ricerca che è ricerca del centro: il centro di quel simbolico mandala in cui siede il Cakravartin: il volgitore di ruota, il Signore Universale, l’Uomo Illuminato che coincide con il cavaliere93. Ma questo altro non è che il messaggio, dirompente e sconvolgente, della Sacra Cavalleria, come viene ufficializzata da Bernardo di Chiaravalle che ne pronunzia l’elogio, auspicando, per i Cavalieri, la trasmutazione di tutti i valori e facendone alchimisti dello spirito e nietzscheani ante litteram.

Gli archetipici cavalieri di Bernardo sono i novi milites delle eterne battaglie guerreggiate in nome del Cristo – l’uomo totale – per la vittoria della totalità ed in radicale dispregio sia della morte reale che di quella metaforica: «I Cavalieri di Cristo…combattono sicuri la guerra del loro Signore, non temendo in alcun modo né peccato per l’uccisione dei nemici né pericolo se cadono in combattimento. La morte per Cristo, infatti, che sia subita o che sia data, non ha nulla di peccaminoso»94. Essi non lottano per i valori secolari, come vuole la cavalleria del saeculum, parodia della Sacra Cavalleria, ma per l’eterna battaglia che si combatte – sia all’interno che all’esterno dell’uomo, in tutte le saghe, in tutti i miti e in tutte le religioni – nel dharmaksetre, il campo della giustizia come insegna il Bhagavad Gita95. Per questo, il loro combattere – il loro stesso essere cavalieri – possiede una rilevanza cosmica, come adombra Lullo nel suo incipit al Libro dell’Ordine della Cavalleria: «a somiglianza di Dio, il potentissimo Principe, che regna sui sette pianeti (che sono corpi celesti ed hanno potere e signoria nel governo e nell’ordine delle cose terrene: così i Re e i principi devono esercitare potere e dominio sui Cavalieri e questi, similmente sui popoli, per ordinarli e difenderli»96.

In questa vera e propria manifestazione ierofanica che si cala nell’esperienza quotidiana – nella vita concreta – nulla più è rimasto dell’antico Berserkir. In luogo delle sue selvagge usanze è subentrata la sobrietà dei costumi, il bando all’ozio, la frugalità nel vivere, l’essenzialità nel vestire cui però si unisce – nel momento della lotta – l’antico vigore, l’esercizio della forza sino al limite estremo e lo sprezzo del pericolo. Parallelamente, la furia erotica del Berserkir si muta nell’ideale monastico della castità97 – fatto proprio da molti Ordini di monaci–cavalieri – anche se permane un erotismo della lotta, divinamente trasfigurato nello sforzo corporeo considerato, gnosticamente, come lo strumento materiale dell’affermazione dello spirituale. «Ma al momento dello scontro» scrive Bernardo «, e allora forse soltanto, smessa la dolcezza di prima…fanno impeto contro i propri avversari, reputano i propri nemici branchi di pecore e mai, pur essendo pochissimi, temono la crudele barbarie e la schiacciante moltitudine»98.

Nella lotta il cavaliere compie un tragitto ideale e penitenziale: percorso che avviene nel Sacro e che coincide con il farsi tempio del cavaliere, ossia con la sua cristificazione, a sua volta sinonimo di totalità, come totalità è il Cristo. Il cammino del cavaliere è un cammino verso la totalità. È questo, d’altra parte, il significato simbolico dell’ordinazione cavalleresca che Lullo, magistralmente, rappresenta come una Sacra Cerimonia scandita dalla confessione, dall’eucarestia, dal digiuno, dalla veglia d’armi: in una parola dalla solenne offerta di sé al Signore feudale dello Spirito. È quella Sacra Cerimonia nella quale l’ordinante, il ministro, in ultima analisi è lo stesso virtuoso cavaliere che – adempiendo ad atti cerimoniali densi di significato simbolico quali la cinzione della spada simbolo di castità e giustizia, il bacio99 simbolo di carità, lo schiaffo simbolo del ricordo della promessa fatta, la formula sacramentale100 – si muta in un vaso di elezione che racchiude la totalità. Si comprende allora come il Salmo 113, 1 (Vulgata) «Non a noi, Signore, non a noi, ma al Nome Tuo dà gloria» possa essere stato preso come divisa dell’Ordine del Tempio e, estensivamente, possa essere considerato la divisa dell’intera Sacra Cavalleria.

1 Per de Rougemont la Cavalleria – e soprattutto quella che si fonde con i fermenti cataro–Albigesi – è «il grande modello occidentale del linguaggio dell’amore–passione» (D. de Rougemont, L’amore e l’Occidente, trad. it., Rizzoli, Milano, 1977, p. 155).

2 W. Scott, Cavalleria, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p. 11. È interessante notare che uno dei più grandi laudatores romantici dell’epopea cavalleresca (ed iniziatore del suo moderno revival) ne sia, contemporaneamente, anche un acuto studioso (il suo saggio costituisce la voce Chivalery pubblicata in Supplement to the Fourth, Fifth and Sixth Editions of the Encyclopaedia Britannica, Edinburgh, 1824, vol. 3, pp. 115–144). Va da sé che, per Scott, il modello cavalleresco storicamente estinto è giocato contro la modernità che non ha saputo esserne la naturale erede.

3 R. Lullo, Libro dell’Ordine della Cavalleria, parte II, 16, op. cit, pp. 144–145.

4 Cfr. F. Cardini, Alle radici della cavalleria medioevale, La Nuova Italia, Firenze, 1997.

5 Cfr. op. cit., p. 9 ss. Altri invece identificano – più istituzionalmente – le origini della Cavalleria con gli eupatridi ateniesi o con gli equites romani. È il caso, ad esempio, di A Saentz, La Cavalleria, trad. it., Il Cerchio, Rimini, 2000, p. 5.

6 Cfr. M. Pastoureau, La vita quotidiana ai tempi dei Cavalieri della Tavola Rotonda, op. cit., p. 129.

7 M. Keen, La Cavalleria, trad. it., Guida, Napoli, 1986, p. 59. Sulla Cavalleria come un insieme di combattenti a cavallo, cfr. L. White, Tecnica e società nel medioevo, trad. it., Il Saggiatore, Milano, 1976.

8 Cfr. oltre al celebre G. Dumezil, Le Probléme des centaures, P. Geuthner, Paris, 1929 la voce Centauro in H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, trad. it., Garzanti, Milano, 1991, pp. 106–107; J. Chevalier – A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, trad. it., Rizzoli, Milano, 19895, vol. I, pp. 241–242. Sui caratteri perspicui dei centauri, cfr. J. C. Cooper, Dizionario degli animali mitologici e simbolici, trad. it., Neri Pozza, Vicenza, 1997, pp. 90–91. Sui loro aspetti più squisitamente mitologici, cfr. – seppur brevemente – G. Sechi Mestica, Dizionario universale di mitologia, Rusconi, Milano, 1994, p. 36. È infine rilevante notare come al centauro verrà giustapposto – come suo contrario – proprio la figura del cavaliere (cfr. Simboli, trad. it., PIEMME, Casale Monferrato, 19974, p. 58).

9 Cfr. C. G. Jung, Simboli della trasformazione in Opere, vol. 5, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 273 ss.

10 Cfr. op. cit., p. 271.

11 Sul collegamento tra l’inconscio ed il materno – oltre alle opere fondamentali di Freud e Jung – cfr. particolarmente, nell’ottica della psicologia del profondo, i già citati E. Neumann sia Storia delle origini della coscienza, op. cit.che La Grande Madre, op. cit..

12 Cfr. Cavallo in J. Chevalier – A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, op. cit., vol. II, p. 223 ss.

13 G. Chiesa Isnardi, I miti nordici, Milano, 1991, p. 559 ss. e anche B. Branston, Gli Dei del Nord, trad. it., Mondadori, Milano, 1991, p. 77 ss.

14 Cfr.G. Chiesa Isnardi, I miti nordici, op. cit., p. 560.

15 Il cavallo – che si dice anticamente aver le ali – è aggiogato al carro celeste (cfr. H. Zimmer, Miti e simboli dell’India, trad. it., Adelphi, Milano, 1993, p. 100).

16 Cfr. Cavallo, in J. Chevalier – A.Gheerbrant, Dizionario dei simboli, vol. I, op. cit., p. 231.

17 Cfr. Il libro tibetano dei morti, a cura di G. Tucci, trad. it., TEA, Milano, 1988, p. 94 ss.

18 Cfr. G. Chiesa Isnardi, I miti nordici, op. cit., p. 562 e anche G. Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, trad. it., Dedalo, Bari, 19915, p. 69.

19 Cfr. M. Eliade, Sciamanesimo, trad. it., Mediterranee, Roma, 1995, passim.

20 Ap. , 19, 11–13.

21 Sul simbolismo – importantissimo – della croce, cfr. R. Guénon, Il simbolismo della croce, trad. it., Rusconi, Milano, 1973, mentre sul rapporto croce–spada, cfr. G. de Turris – S. Fusco, Il simbolismo della spada, Il Cerchio, Rimini, 1990, p. 32 ss. e anche L. Bessi, La spada sacra, L’archivio, Roma, 1998, pp. 40–41.

22 Cfr. L. Bessi, La spada sacra, op. cit., p. 26 ss.

23 Cfr. Excalibur in Atlante del Graal, a cura di G. Ferrari e M. Zatterin, Il Minotauro, Milano, 1997, p. 77 e anche G. Fino, La spada giapponese, Sannô–Kai, Padova, 1998, p. 11 e p. 28.

24 Cfr. Spada in Simboli, op. cit., p. 230.

25 Cfr. E. E. Clerici, La regalità. Miti, simboli e riti, Arktos, Carmagnola, 1998, p. 54 ss.

26 Cfr. M.Eliade, Trattato di Storia delle Religioni, op. cit., p. 310–311.

27 Cfr. R. Guénon, Le armi simboliche in Simboli della Scienza Sacra, op. cit., p. 162 ss.

28 Cfr. A. Danielou, Siva e Dioniso, trad. it., Ubaldini, Roma, 1980, p. 58.

29 Cfr. – tra gli altri – C. G.Jung, Il simbolo della trasformazione nella messa in Opere, vol. 11, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 226–230; G. de Turris – S. Fusco, Il simbolismo della spada, op. cit. e M. Riemschneider, La spada nell’acqua in Miti Pagani e miti cristiani, trad. it., Rusconi, Milano, 1997, pp. 109–128.

30 Cfr. L. Bessi, La spada sacra, op. cit., p. 34.

31 C. G.Jung, Il simbolo della trasformazione nella messa, op. cit., pp.226–227.

32 «Pose dei Cherubini a oriente del giardino di Eden e la fiamma della spada rutilante, per custodire l’accesso all’albero della vita» (Gen., 3, 24).

33 «Dalla sua bocca usciva un’acuta spada a due tagli» (Ap., 1, 16).

34 «La spada senza difetti [Nandaka, fonte di gioia] che l’Infallibile tiene nella sua mano è la conoscenza pura [jnana] fatta di sapere [vidya] » (Vishnu Purana, I, 22, 4 in A. Danielou, Miti e Dei dell’India, trad. it., RED, Como, 1996, p. 187).

35 A livello simbolico–esoterico, la spada è interpretata come il simbolo della perfetta conoscenza dove – il riferimento è la classica spada carolingia – il pomo dell’elsa rappresenta la complexio oppositorum dell’universo, il manico, che non ha ancora la forma della spada, è il caos, il paracolpi è la materia, mentre la lama è “l’universo della linearità”: anima della materia, espressione della spiritualità e dell’interiorità (cfr. L. Bessi, La spada sacra, op. cit., p.37 ss.). Un utilizzo – in senso esoterico-iniziatico e con molti agganci al rituale cavalleresco – si trova nel l’antico cerimoniale d’intronizzazione del Sultano, a Costantinopoli. Qui, lo Shaykh dell’Ordine Mevlevi [un Ordine mistico-iniziatico], dopo aver preso al Topkapi la spada che si riteneva essere appartenuta a Maometto, Abu Bakr, Omar e Maometto II iniziava con questa il Sultano, mentre veniva recitata la Sura della Vittoria del Corano. In seguito, dopo aver ordinato a tutti i mussulmani di prestargli obbedienza, lo Shaykh consegnava al Sultano la spada, facendo il gesto di baciargli, in segno di sottomissione, l’anello. Il Sultano rifiutava tale atto e, presolo per le spalle, lo avrebbe baciato tre volte (cfr. M. Dolcetta, Nazionalsocialismo esoterico. Studi iniziatici e misticismo messianico nel regime hitleriano, Cooper & Castelvecchio, Roma, 2003, pp. 112-113).

36 Cfr. A. Danielou, Miti e dei dell’India, op. cit., p. 413. Un’antica tradizione racconta che aprendo la sepoltura di un saggio, si vide che al posto del corpo o dello scheletro si trovava una spada: segno distintivo della piena trasformazione in pura conoscenza e saggezza, avvenuta con la morte

37 Cfr. B. Branston, Gli dei del Nord, op. cit., p. 129. È il caso di ricordare che nell’Antico Testamento è scritto: «farò venire sopra di voi una spada, che farà vendetta del patto»(Lev., 26, 25).

38 Cfr. M. M. Davy, Il simbolismo medioevale, trad. it., Mediterranee, Roma, 1988, p. 221.

39 Filone d’Alessandria, I Cherubini, 25 in Le origini del mondo, trad. it., Rusconi, Milano, 1984, p. 90.

40 Op. cit., 28, p. 91.

41 G. Chiesa Isnardi , I miti nordici, op. cit., p. 649.

42 Cfr. L. Bessi, La spada sacra, op. cit., p. 18.

43 Cfr. A. Saentz, La Cavalleria, op. cit., p. 64. L’elsa della spada poteva, ad esempio, contenere capelli o frammenti di abiti di Santi. In questo caso, l’antica abitudine guerriera – giunta sino ai nostri giorni – di conservare sulle o nelle proprie armi una reliquia del valoroso nemico ucciso per ereditarne il valore si cangia nella forza spirituale, oltre che in quella materiale, che proviene dalla prossimità con un individuo particolare e sacralizzato quale può essere un Santo o un eroe.

44 Sulami, La Cavalleria Spirituale, I, 39, trad. it., Luni, Milano–Trento, 1998, p. 29 e anche P. Ponsoye, L’Islam e il Graal, trad. it., SE, Milano, 1998, p. 101 ss.

45 Sulla transitabilità sociale da un ceto all’altro in età feudale cfr. M. Pastourau, La via quotidiana ai tempi dei Cavalieri della Tavola Rotonda, op. cit., pp. 38–39 e pp. 47–48)

46 L’immagine di un uomo preso da una rabbia senza fine è espressa dal termine inglese going berserk che significa «andare in guerra portando una camicia fatta con la pelle dell’orso». Ciò simboleggiava la forza straordinaria che il guerriero prendeva dall’orso, suo animale totemico ( e personificato nel culto della dea Artio o Arpiona) a cui si aggiungeva una particolare tecnica di concentrazione e di combattimento che li rendeva coraggiosi e insensibili al freddo. I Berserkir ottenevano il potere dell’orso nel corso di una cerimonia rituale in cui uccideva l’animale e ne bevevo il sangue, acquistando anche il (presunto) potere di trasformarsi in orsi (cfr. M. Dolcetta, Nazionalsocialismo esoterico. Studi iniziatici e misticismo messianico nel regime hitleriano, Cooper & Castelvecchi, Roma, 2003, p. 69 ss.).

47 Sulla tradizione dei guerrieri-lupo o Ulfhednars (molto simile a quella dei Berserkir) nonché su quella dei Boor-warriors o guerrieri-cinghiale, sul loro modo di combattere e sulle loro gesta, cfr. op. cit., p. 70 ss.

48 In M.Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. II, trad. it., Sansoni, Firenze, 1996, p. 165. È ipotizzabile che una delle prime forme rituale di iniziazione cavalleresca – in uso presso i Germani, come riferisce Tacito (Germania, cap. XIII) – fosse quello, semplicissimo, della. consegna pubblica, da parte del padre o di un adulto consanguineo, al giovane guerriero della lancia e dello scudo. È quello che, sostanzialmente, viene descritto nell’antico poema Beowulf (a cura di L. Koch, Einaudi, Torino, 1992, vv. 2864 ss. pp. 242–243) e a cui fa riferimento Paolo Diacono quando racconta (Storia dei Longobardi, I, 23, a cura di F. Roncoroni, Rusconi, Milano, 1974, p. 23 ss.) che il figlio di un re deve ricevere le sue armi dal re di un popolo straniero. Lo conferma, in tempi posteriori, la documentazione storica della consegna solenne della spada da parte di un sovrano al proprio figlio: è il caso di Lodovico re d’Aquitania, figlio di Carlo (F. Cardini, Alle origini della cavalleria medioevale, op. cit., p. 310).

49 Cfr. G. Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, op. cit., p. 161.

50 R. Lullo, Libro dell’Ordine della Cavalleria, parte I, 6, op. cit., pp. 124–125. È interessante notare come esiste anche una tradizione di donne che hanno avuto l’ordinazione cavalleresca, dalla leggendaria Clorinda alla storica Elisabetta d’Inghilterra, così come ci sono stati Ordini Cavallereschi femminili come quello delle Cavaliere dell’Ascia o quello delle Cavaliere della Cordicella (cfr. V. Michelet, Il segreto della cavalleria, op. cit., p. 18).

51 Un interessante momento di passaggio può essere considerato lo stadio in cui il cavaliere viene armato secondo un rituale esclusivamente militare in cui è assente ogni accenno religioso, mentre viene sottolineato l’aspetto del coraggio, del valore, della lealtà e della forza, espressi dalla probabile formula conclusiva dell’ordinazione «sii veramente cavaliere e valoroso contro tutti i nemici» oppure e più semplicemente «sii valoroso» (cfr, A. Saentz, La Cavalleria, op. cit., pp. 60–61). In questo caso, sicuramente, l’antico e quasi spontaneo riconoscimento iniziatico della figura del cavaliere viene spiritualizzato da una complessità cerimoniale – una sorta di sacramentario laico – data dal bagno rituale, dalla vestizione, dalla consegna degli speroni (considerati un segno distintivo dell’essere cavaliere e spezzati in caso di fellonia, come rileva M. Pastoureau in La vita quotidiana ai tempi dei Cavalieri della Tavola Rotonda, op. cit., p. 130), dall’accinzione della spada e dall’accolade, anche se manca quel compiuto intervento sacralizzante che sarà dato dal contatto del cavaliere, delle vesti e della spada con il Sacro, rappresentato dalla veglia, dalla benedizione sacerdotale, messa, etc. Con l’intervento del Sacro istituzionalizzato il passaggio allo stadio superiore e definitivamente compiuto. Ovviamente non è facile stabilire la data precisa di tale passaggio.

52 Bernardo di Chiaravalle, L’elogio della Nuova Cavalleria, op. cit., p. 17.

53 Cfr. M. Lot–Borodine, I grandi segreti del Santo Graal nella Queste dello Pseudo–Map in AA. VV., Luce del Graal, trad. it., Mediterranee, Roma, 2001, p. 152 ss.

54 Cfr. op. cit., p. 155.

55 Cfr. San Martino in Jacopo da Varagine, Leggenda Aurea, trad. it., Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1990, vol. II, p. 753 ss. e San Giorgio in op. cit., vol. I, p. 265 ss.

56 Cfr. F.Cardini, Alle radici della cavalleria medioevale, op. cit., p. 227 ss.

57 Cfr. op. cit., p. 229.

58 Cfr. G. L. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti., trad. it., Laterza, Roma–Bari, p. 85 ss. nonché C. Bonvecchio, Bellum omnium contra omnes. Il simbolico e la guerra post moderna in Il nuovo volto di Ares o il simbolico nella guerra post moderna, a cura di C. Bonvecchio, CEDAM, Padova, 1999, p. 91 ss.

59 J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, trad. it., Sansoni, Firenze, 1966, p. 88.

60 Bernardo di Chiaravalle, L’elogio della Nuova Cavalleria, op. cit., p. 16.

61 Cit. in F. Cardini, Alle radici della cavalleria medioevale, op. cit., p. 143.

62 Questo avviene anche quando la consacrazione del nuovo cavaliere è operata da un laico: un altro cavaliere. La solenne cerimonia dell’investitura – preceduta dal bagno simbolico, dalla vestizione di un’alba candida, dalla veglia d’armi – si svolge in Chiesa e culmina nella Messa. Prima di questa è benedetta la spada: «Ti preghiamo, Signore, di ascoltare le nostre preghiere e di degnarti di benedire con la destra della Tua maestà questa spada con cui questo Tuo servo desidera cingersi per essere difensore delle chiese, delle vedove, degli orfani e di tutti i servi di Dio, contro la crudeltà dei pagani, ed essere allo stesso tempo terrore e spavento di quanti lo assalgono, comunicandogli Tu la forza e il potere nell’attacco rispondente a giustizia e nella giusta difesa. Per Cristo Nostro Signore. Amen» (cit. in A. Saentz, La Cavalleria, op. cit., p. 65). A questo segue poi una serie di domande tese a valutare l’impegno cavalleresco e cristiano dello scudiero, la cinzione della spada da parte da parte del padrino, accompagnata dalla formula: «Che il vero Dio ti dia coraggio» oppure «Ti consegno questa spada con la condizione che sii campione del Signore» (ivi). Preceduta da un’ulteriore vestizione – viene calzato lo sperone sinistro, il destro, la cotta di maglia, etc. – si ha la vera e propria cerimonia che consiste nel battere tre volte la spada sulla spalla destra da parte del cavaliere consacratore (a volte si tratta di uno schiaffo sulla guancia) che pronuncia le parole rituali: «Nel nome di Dio, di San Michele e di San Giorgio (in Spagna si aggiungeva di San Giacomo) ti faccio cavaliere: sii generoso, coraggioso e leale» (op. cit., p. 66). Dopo aver posto sul capo al novello cavaliere l’elmo, consegnata la lancia e lo scudo, si procedeva, infine, alla Messa con la Comunione, seguita poi dalla sfilata a cavallo dei cavalieri presenti e, eventualmente, da un torneo.

63 Un poeta germanico del dodicesimo secolo – Milo von Sevelingen – afferma: «das Wurde werdens wirdet mir – Il valore dei valorosi mi rende valoroso» (cit. in M. Keen, La Cavalleria, op. cit., p. 124).

64 Va da sé che il Signore del Male può tranquillamente essere il Capo degli Arconti di questo mondo nell’ambito di un ipotetico universo cavalleresco che si rifà alla tradizione gnostica

65 Bernardo di Chiaravalle, L’elogio della Nuova Cavalleria, IV, 7, op. cit., p. 21.

66 Cfr. Dionigi (o Pseudo) Areopagita, Gerarchia celeste in Tutte le opere, trad. it. di P. Scazzoso, Rusconi, Milano, 19994, pp. 69–135.

67 Il termine – concettualmente improprio, ma realisticamente appropriato – è di ascendenza guénoniana.

68 Un’antichissima Benedictio ad ordinandum imperatorem recita alla consegna della spada: «Cingiti della spada, o potentissimo, affinché in ciò per mezzo di essa tu possa esercitare la forza della giustizia etc.» (cit. in F.Cardini, Alle radici della cavalleria, op. cit., p. 225, nota 43).

69 Cfr., op. cit., p. 226.

70 Sul rapporto tra sovranità e cavalleria, per ciò che soprattutto riguarda i rispettivi rituali di ordinazione, cfr. M. Keen, La Cavalleria, op. cit., p. 128 ss.

71 «Si deve comunque sottolineare che la chiesa non raggiunse il suo scopo e non ottenne il monopolio sull’investitura dei cavalieri, come invece era avvenuto per la consacrazione dei re» (op. cit., p. 132).

72 Questo nuovo modo di concepire il rituale ha al suo interno ulteriori cospicue differenze tendenti ad accentuare l’aspetto religioso della cerimonia. In questa linea di particolare importanza è la consultazione dei Rituali Canonici. Tra questi uno dei più importanti è sicuramente il Pontificale di Guillaume Durand del tardo tredicesimo secolo, poi trascritto nel Pontificale Romano. In esso – durante la messa pontificale, dopo l’Alleluja – si procede alla benedizione della spada posta sull’altare. In nome di Cristo – la vera armatura del futuro cavaliere – s’invoca per lo scudiero ordinando la possibilità di «calpestare sotto i tuoi piedi tutti i suoi [di Cristo, n.d.a.] nemici visibili» (A. Saentz, La Cavalleria, op. cit., p. 69). Dopo una appropriata invocazione – in cui si mescolano passi vetero testamentari all’aperta affermazione della divina istituzione della Cavalleria da parte di Cristo – il vescovo celebrante, ispirandosi ad un pontificale di Magonza della meta del X secolo (cfr. C. Erdmann, Die Entstheung des Kreuzzugsgedankens, Kohlhammer, Stuttgart, 1953, p. 330) pone la spada nella destra dell’iniziando dicendogli: «Ricevi la spada nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ed usala per difesa tua e della Santa Chiesa di Dio, per confondere i nemici della croce di Cristo e della fede cristiana e della corona del regno di…» terminando poi con la chiusa canonica ÇSi degni di concedertelo colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen» (op. cit., pp. 70–71). Il seguito – l’accinzione della spada seguita da un’ulteriore invocazione a Cristo, il bacio della pace, la carezza e la benedizione dello stendardo – mostrano come la laicità antica sia del tutto scomparsa. Ancor più sacralizzato è l’Ordo Romanus che inizia con la benedizione del vessillo e della lancia e poi continua con le invocazioni a San Michele e a tutte le milizie celesti. La benedizione della spada e la sua cinzione non si diversifica sostanzialmente dalla precedente, mentre nuova è la benedizione dello scudo in cui, unitamente a San Maurizio, San Sebastiano e San Giorgio, si invoca Dio per il nuovo cavaliere «affinché protetto per l’aiuto dall’alto non abbi a temere la moltitudine che ti circonda»(op. cit., p. 72). Ad ulteriore conforto e protezione, il coro canta un appropriato versetto del Salmo 90. Non diverso se non per la solennità del luogo e per alcuni dettagli – il bagno in acqua di rose, il riposo senza abiti e la veglia notturna – è l’Ordo per essere armati cavalieri in San Pietro a Roma che data dall’inizio del quattordicesimo secolo (per più ampie notizie, cfr. M. Andrieu, Le Pontifical Roman, Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma, 1938–1940, II pp. 579–581).

73 Cfr. L. Gautier, La Chevalerie, Victor Palme, Paris, 1884, p. 286 ss. Gautier – uno dei più importanti studiosi della Cavalleria – riconduce la Cavalleria all’ispirazione cristiana, basandosi per il suo lavoro su fonti letterarie (partic. dell’XI sec.), senza però soffermarsi sulle avventure favolose e leggendarie.

74 Chretien de Troyes, Perceval, a cura di G. Agrati e M. L. Magini, Mondadori, Milano, 19892, p. 25

75 Cfr. V. Michelet, Il segreto della Cavalleria, op. cit., p. 21. Va in questa direzione anche l’interpretazione che associa la ricerca della perfezione – propria del cavaliere – ad un colore: il cavaliere bianco, quello verde e quello rosso, dove il bianco è il male, l’espiazione, il sacrificio, il verde lo stato del neofita, il rosso è la conquista (basta pensare al celebre romanzo Galvano e il cavaliere verde, a cura di A. Guidi, Fussi, Firenze, 1957, mentre sul tema, cfr. Cavaliere in J. C. Cooper, Dizionario dei simboli, trad. it., Franco Muzzio, Padova, 19882, p. 64). Va da sé che sia il bianco, che il verde che il rosso appartengono, in senso stretto, alla simbologia alchemica (cfr. E. J. Holmyard, Storia dell’alchimia, trad. it., Sansoni, Firenze, 1959, p. 178 ss.).

76 Cit. in F. Cardini, Alle origini della Cavalleria, op. cit., p. 197 ss.

77 Aurelio Agostino, La città di Dio, a cura di L. Alici, V, 17, Rusconi, Milano, 19902, p.289 e V, 22, p. 300, mentre sull’argomento, cfr. F. Cardini, Alle origini della Cavalleria, op. cit., p. 205.

78 R Lullo, Libro dell’Ordine della Cavalleria, parte II, 19, op. cit., pp. 146–147.

79 Cfr. il classico Th. Carlyle, Gli eroi e il culto degli eroi, trad. it., TEA, Milano, 1990. È interessante ricordare come nel poema l’Ordene de Chevalerie, un cavaliere prigioniero arma cavaliere l’eroico Saladino secondo il rito della Cavalleria occidentale, in virtù del suo straordinario valore ed eroismo e a significare l’universalità della figura eroica e virtuosa del cavaliere (cit. in A. Saentz, La Cavalleria, op. cit., p. 66 ss.).

80 Cfr. E. Jünger, L’Operaio. Dominio e forma, a cura di Q. Principe, Longanesi, Milano, 1984, p. 103.

81 Numerosi sono gli Ordini Cavallereschi che storicamente sono sorti, facendo propri gli ideali religiosi e morali della Cavalleria e aggiungendovi – come conseguenza – l’impegno a lottare per la Cristianità e per la riconquista del Santo Sepolcro, unitamente al soccorso materiale e spirituale per i pellegrini e i credenti. Inizialmente, il carattere religioso di tali Ordini era dato dai voti pronunciati dai cavalieri professi: ossia i voti di castità, povertà e obbedienza. Primo fra tutti – in ordine cronologico e a livello sovranazionale – è il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta o dei Cavalieri Ospitalieri che sorge come Ordine Militare nel 1137 da un primario nucleo ospitaliere del 1048 e da cui discende l’attuale Sovrano Militare Ordine di Malta: l’unico che ha mantenuto l’originale impianto religioso Troviamo poi l’Ordine dei Poveri Cavalieri del Tempio di Salomone – i famosi Cavalieri Templari – costituito in Ordine Militare nel 1119 e la cui regola sarà data da Bernardo di Chiaravalle ( e approvata con la bolla Omne datum optimum da Innocenzo III nel 1139) e l’Ordine Teutonico, il cui storico antecedente nel centro–Europa sono i Cavalieri del Cristo delle due spade di Livonia comunemente chiamati i “porta gladio” che con i teutonici si fondono nel 1236 (cfr in merito K. Gorski, L’ordine teutonico, trad. it., Einaudi, Torino, 1971). Si hanno poi i numerossimi Ordini Cavallereschi nazionali tra cui primeggiano certamente quelli spagnoli – l’Ordine di Calatrava, i Cavalieri di Alcantara, i Cavalieri di Santiago de la Espada – ma in cui si trovano anche Ordini come quello dei Serafini costituito in Svezia da Magnus IV o quello dell’Aquila Bianca istituito dal re di Polonia: che datano tutti tra la fine del millecento e la prima metà del trecento (cfr. A. Saentz, La Cavalleria, op. cit., p. 16 ss.). A partire dalla seconda metà del trecento, nascono invece i cosiddetti Ordini di collana in cui l’originale afflato religioso-militare si fonde – mondanamente – con l’esigenza di «rinsaldare il rapporto che intercorre tra il Signore e la classe dei suoi milites, che è poi anche classe dirigente» (L. G. De Anna, La vocazione imperiale del Toson d’oro in AA. VV., L’Impero. L’anima profonda dell’Europa, Il Cerchio, Rimini, 2004, p. 58). I più famosi sono: l’ Ordine della Banda fondato da Alfonso XI di Castiglia nel 1330, l’Ordine della Giarrettiera fondato da Enrico III nel 1348, l'Ordine della Stella di re Giovanni di Francia nel 1351, l’Ordine del Nodo di Luigi di Napoli nel 1352, l’Ordine della Fibbia d’Oro dell’Imperatore Carlo IV nel 1355, l’Ordine della Spada di Pietro re di Cipro nel 1359, l’Ordine Supremo della SS. Annunziata istituito da Amedeo VI di Savoia (detto il Conte Verde) nel 1362. E poi ancora troviamo: l’Ordine del Dragone dell’Imperatore Sigismondo nel 1413, l’Ordine del Toson d’Oro di Filippo il Buono nel 1431, l’Ordine del Cigno di Alberto di Brandeburgo del 1444, l’Ordine della Mezzaluna di Renato d’Angiò del 1448, l’Ordine dell’Elefante ricostituito da Cristiano I di Danimarca nel 1464, l’Ordine di San Michele di Luigi XI di Francia del 1469, l’Ordine dello Spirito Santo di Enrico III di Francia nel 1579, l’Insigne Reale Ordine di San Gennaro di Carlo III di Borbone nel 1738 (cfr. anche Die Geistliches Ritterorden Europas, hrsg von J. Fleckenstein und M. Hellmann, Thorbecke, Sigmaringen, 1980, mentre per la bibliografia sugli ordini, anche quelli meno noti, cfr. M. Keen, La Cavalleria, op. cit., p. 282 e p. 283 nota 1).

82 È evidente che la figura del superuomo non è concepibile – come fu arbitrariamente interpretata dal nazismo – in chiave superficialmente razziale, bensì è intesa, in senso iniziatici, come “l’oltre uomo”: ossia l’uomo che va al di là degli scadenti valori di una società materiale. In questo quadro, la sua similitudine con l’adepto della Cavalleria intesa in senso sacrale è massima e, in tale accezione, la si può accostare anche all’immagine jüngeriana dell’operaio (cfr. E. Jünger, L’Operaio. Dominio e forma, op. cit.).

83 F. Nitzsche, La nascita della tragedia, trad. it., Adelphi, Milano, 1979, p. 136.

84 Il riferimento è alla famosa incisione di Albrecth Dürer del 1513 che raffigura un uomo a cavallo che, nell’orizzonte di una landa desolata e spoglia, cavalca indomito – accompagnato dalla morte e dal diavolo – verso il futuro.

85 R. Lullo, Libro dell’Ordine della Cavalleria, parte III, 3 e 4, op. cit., pp. 164–167. Va ricordato che almeno agli inizi – l’accesso alla Cavalleria non era legato né al censo né all’origine nobile, bensì esclusivamente al valore. È richiesta, certamente una condizione di non povertà, vuoi per il decorum del rango, vuoi per la possibilità di compiere atti caritatevoli. Vengono esclusi – sul modello ecclesiastico – sia gli invalidi che i deformi (cfr. op. cit., pp. 174–175 e anche Alfonso X El Sabio, Las Siete Partidas, II Partida, tìtulo XXI, ley 12). Sul problema nobiltà e cavalleria, cfr., G. Tabacco, Su nobiltà e cavalleria nel medioevo. Un ritorno a Marc Bloch, in AA. VV. Studi di storia medioevale e moderna perErnesto Sestan, I, , Firenze, 1980, pp. 31–55.

86 L’arcangelo Michele – uno dei più famosi numi tutelari della Cavalleria – si presenta in molte tradizioni accoppiato a o con i caratteri di Mithra, di Hermes e di Wotan (cfr. F.Cardini, Alle radici della cavalleria medioevale, op. cit., p. 231 ss.). Il che lo rende, per un aspetto associato al mondo pagano e alle sue potenze ctonie (e quindi indirettamente all’inconscio) ma per l’altro aspetto è certamente collegato alle forze uraniche e, quindi, al mondo supero (e perciò al conscio), facendone appunto una complexio. Tale aspetto trova la sua manifestazione proprio nella associazione con Hermes, il dio traghettatore che comprende in sé gli aspetti polari dei due mondi: quello terreno–infero e quello celeste–supero.

87 Cfr. K. Schreiner, Vergine, Madre, Regina. I volti di Maria nell’universo cristiano, trad. it., Donzelli, Roma, 1995, pp. 167–169.

88 C. G.Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo in Opere, vol. 9, tomo primo, trad. it., Boringhieri, Torino, 19883, p. 5.

89 Cfr. C. G. Jung, Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche in Opere, vol. 8, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, p. 217 ss. e partic. p. 230.

90 Cfr. O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, a cura di F. Jesi, Longanesi, Milano, 19814, passim e partic. p. 51.

91 R.Lullo, Libro dell’Ordine della Cavalleria, parte I, 2, op. cit., pp. 122–123.

92 A proposito delle insegne araldiche, conviene ricordare che derivano prevalentemente dall’uso di dipingere sugli scudi segni di riconoscimento, in principio di vario tipo e in seguito stabili (cfr. M. Pastourau, La vita quotidiana ai tempi dei Cavalieri della Tavola Rotonda, op. cit., p. 106 ss. e anche C. A. von Volborth, Usi, regole e stili in araldica, trad. it., Fratelli Melita, Città di Castello, 1994, pp. 2–5).

93 Cfr. G. Tucci, Teoria e pratica del mandala, Ubaldini, Roma, 1969, p. 59 e anche P. Filippani – Ronconi, Il Buddhismo, Newton Compton, Roma, 19942, p. 12.

94 Bernardo di Chiaravalle, Elogio della Nuova Cavalleria, op. cit., p. 18.

95 Cfr. Bhagavad Gita, 1, a cura di I. Vecchiotti, Ubaldini, Roma, 1964, p. 97..

96 R.Lullo, Il Libro dell’Ordine della Cavalleria, prologo, op. cit., pp. 108–109.

97 «Si vive in comune, con un genere di vita sobrio e lieto senza spose e figli» (Bernardo di Chiaravalle, L’elogio della Nuova Cavalleria, IV, 7, op. cit., p. 21).

98 Op. cit., IV, 8, p. 22.

99 Il bacio sulla bocca o bacio di fedeltà è anche l’atto simbolico – unitamente a quello che stringe le loro mani – che conclude il rituale del giuramento di fedeltà prestato dal Vassallo al suo Signore (cfr. E. Muir, Riti e rituali nell’Europa moderna, trad. it., La Nuova Italia, Firenze, 2000, p. 40).

100 Cfr. R. Lullo, Libro dell’Ordine della Cavalleria, parte IV, 11, op. cit., pp. 190–191.

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Claudio Bonvecchio

Altre pagine consultate