LA COPPA E LA SPADA: IL SACRO, LA CAVALLERIA E IL GRAAL part 1

LA COPPA E LA SPADA: IL SACRO, LA CAVALLERIA E IL GRAAL part 1

A cura di Claudio Bonvecchio        

 «Scaccia ogni atteggiamento infantile e ogni divinazione

acquista la forza della mente e dell’anima, rinvigorisci la

guerra contro ogni follia delle passioni destate dall’amore

disordinato, contro la vanagloria, le liti, la penosa gelosia,

l’intestardirsi nella collera, il desiderio del denaro. Veglia

sul vostro accampamento con le armi e le lance».

(ABBA SILVANO, L’EGIZIANO, Voi siete i miei amici)

IL SAECULUM. La nostra è, senz’ombra di dubbio, un’epoca drammaticamente segnata dalla secolarizzazione. Tale termine – specifico del diritto canonico degli ultimi decenni del cinquecento – ha, originariamente, una connotazione esclusivamente giuridica: significa, sostanzialmente, la riduzione di un religioso allo stato secolare1. Nel corso dei secoli, però, la sua sfera semantica si è progressivamente ampliata sino a diventare la metafora rappresentativa dell’intera modernità, o forse meglio della post modernità. Il che gli assegna una peculiare valenza concettuale, facendone l’indicatore prevalente sia della moderna filosofia della storia che delle scienze umane in generale (sociologia, teologia, letteratura, etc.). Si può inoltre affermare – certo approssimativamente – che, almeno a partire dal XX secolo, la secolarizzazione tende a coincidere con quel radicato atteggiamento di razionalità e disincanto che contraddistingue la visione del mondo fatta propria sia dell’uomo che della società contemporanea2.

Ora, tralasciando di entrare nel merito della storia del pensiero e della società, nonché della sua ricezione, è il caso di soffermarsi – brevemente e semplicemente – sulla corretta interpretazione del termine secolarizzazione, al fine di trarne una maggiore comprensione del suo significato e, soprattutto, del suo odierno, onnipervasivo, utilizzo.

Si può subito rilevare che la matrice latina di saeculum – differentemente da come appare – non è per nulla neutrale dal punto di vista interpretativo e neppure è risolvibile, letteralmente, in generazione, epoca, tempo, lungo tempo, cent’anni: secolo, come vogliono i dizionari e i compendi. Infatti, saeculum – termine dal quale appunto deriva l’italiano secolarizzazione – non equivale, brutalmente e direttamente, a tempo (seppur organizzato in un raggruppamento d’anni, come usualmente s’intende) o ancor più vagamente a generazioni che si susseguono progressivamente. Saeculum – nell’esegesi teologica3 che si sofferma specificatamente sul (continua più in basso dopo rif. a fondo pagina)

1 Cfr. G. Marramao, Cielo e terra. Genealogie della secolarizzazione, Laterza, Roma – Bari, 1994, p. 16. In merito alla secolarizzazione cfr. ancora – a titolo esclusivamente indicativo, considerata la sterminata bibliografia sussistente – H. Lübbe, La secolarizzazione: storia e analisi di un concetto, trad. it., Il Mulino, Bologna, 1970; A. Del Noce, L’epoca della secolarizzazione, Giuffré, Milano, 1970; F. Gogarten, Destino e speranza nell’epoca moderna. La secolarizzazione come problema teologico, trad. it., Morcelliana, Brescia, 1972; La secolarizzazione, a cura di S. Acquaviva e G. Guizzardi, Il Mulino, Bologna, 1973; G. Marramao, Potere e secolarizzazione, Editori Riuniti, Roma, 1985; R. Koselleck, Accelerazione e secolarizzazione, Istituto Suor Orsola Benincasa – ESI, Napoli, 1989; W. Pannenberg, Cristianesimo in un mondo secolarizzato, trad. it., Morcelliana, Brescia, 1991; H. Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, trad. it., Marietti, Genova, 1992; C. Bonvecchio, Secolarizzazione, Logos, Nomos: alcune riflessioni in Esperienza giuridica e secolarizzazione, a cura di D. Castellano e G. Cordini, Giuffé, Milano, 1994, pp. 237–241.

2 Cfr. G. Marramao, Cielo e terra, op. cit., p. 59 ss.

3 Cfr. Saeculares ludi – Saeculum in M. E. Saglio – Ch. Daremberg, Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines, Paris, tom. IV, deuxiéme partie (R–S) pp. 987–997; Saeculares ludi – Saeculum in Pauly – Wissowa, Real Encyclopaedie der classischen Altertumwissenschaft, Stuttgart, 1920, zweite Reihe (R–Z), col. 1696–1719; Saeculum in Ch. Du Cange, Glossarium mediae et infimae Latinitatis, tomus VII, Sala Bolognese, 1981 (ristampa anastatica), p. 264 e anche Sécularisation in Dictionnaire de Spiritualité, Beauchesne, Paris, 1990, tomo XIV, pp. 494–508.

 carattere dominante del termine (almeno nella direzione che ci sta cuore) – assume il connotato metaforico, o forse più precisamente simbolico, di “regno della materia” letto in opposizione a “regno dello spirito”. Usando del linguaggio agostiniano lo si potrebbe assimilare, per analogia, alla Gerusalemme terrena, contrapposta alla Gerusalemme celeste.  Ma saeculum si connota per un ulteriore aspetto di dichiarata negatività: simboleggia le potenze che si radicano in questo mondo e in questo tempo. Sono quei poteri autoreferenziali che, non sorretti dall’autorità temporale, tendono a prevaricare, piegando al proprio arbitrario volere l’individuo e la comunità. Per questo, l’apostolo Paolo – nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi – si riferisce a colui «qui tenet [ il katechon, nella versione greca]»1 come alla figura carismatica ed sicuramente reale che si contrappone al saeculum e alle sue potestà, evitando con la sua presenza e la sua azione protettiva l’avvento del negativo: dell’Anticristo. Il katechon si oppone, insomma, al sempre incombente pericolo apocatastatico, almeno sino a quando si scateneranno le forze infere, per la decisiva battaglia, la battaglia dell’ultimo giorno: «Dies irae, dies illa: volvet saeculum in favilla, teste David cum Sibylla»2.

La figura del katechon, di colui «qui tenet» richiama, dunque, ad una forza virile e autorevole che si contrappone alla Signoria del male: quella che secondo la tradizione gnostica – in questo senso perfettamente allineata con la più severa riflessione agostiniana – è espressa dagli Arconti di questo mondo3. Sono le forze mondane, le forze del saeculum, che operano nel saeculum in favore del tenebroso mondo della materia, in favore del Kenoma e contro la superiore Luce del Pleroma4. A loro opposte, si dispiegano le potenze della Luce che, pur non appartenendo al mondo, lavorano nel mondo – nel saeculum – per qualcosa che lo trascende: per qualcosa che, pur essendo nel saeculum, non gli appartiene e neppure è sotto il suo dominio.

Non è un caso che, tradizionalmente, colui «qui tenet», colui che tiene a freno il saeculum, sia simbolicamente associato alla figura di Cristo che a sua volta – in una miniatura della fine del XII

1  «Vi è chi lo trattiene» (II Tess., 2, 7).

2 Tommaso da Celano (attribuito a), Dies irae, in Le origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco–italiani, a cura di A. Viscardi, B. e T. Nardi, G. Vidossi, F. Arese, Ricciardi, Milano–Napoli, 1956, pp. 934–935.

3 Cfr. Gli Arconti di questo mondo. Gnosi: politica e diritto, a cura di C. Bonvecchio e T. Tonchia, Casa Editrice dell’Università di Trieste, Trieste, 2000, passim.

4 Il termine greco “Pleroma” – proprio della teologia gnostica – significa «pienezza dell’universo divino» (L. Moraldi, La gnosi e il mondo. Raccolta di testi gnostici, TEA, Milano, 1988, p. XII), mentre “Kenoma”significa “vuoto”, “privazione” (cfr. H. Stephano, Thesaurus Grecae Linguae, Paris, 1841, vol. IV, col 1442 e H. G. Liddel – R. Scott, Greek–English Lexicon, Oxford, 1940, p. 939).

 secolo – pesca con un amo il Leviatano, il mostro biblico che impersona mondo1, impedendogli di operare rovina e distruzioni. Ma il Cristo, a sua volta, è assimilabile alla figura imperiale – il Christus domini – che ne è il vicario in temporalibus. Il suo compito terreno è – unitamente al Sovrano Pontefice – quello di fungere da guida, nel saeculum, al popolo di Dio peregrinante nella civitas terrena, proteggendolo dall’Anticristo: dal negativo del mondo. «Unus Deus, unus Papa, unus Imperator» così recita un’antica e significativa acclamazione imperiale2. Ed in questo senso – nella linea della rivalutazione dell’impero voluta da Agostino3 e soprattutto da Orosio4 – è interpretata la Seconda Lettera ai Tessalonicesi dai Padri della Chiesa, come emerge dai commenti di Tertulliano, Melitone, Giovanni Crisostomo, Prudenzio, Ambrogio, Girolamo, Firmiano Lattanzio, solo per citarne alcuni tra i più importanti. Perfettamente allineati sulla stessa posizione interpretativa – tendente a sacralizzare la tradizione imperiale e l’imperatore come katechon – si collocano pure i teologi altomedioevali tedeschi, sia franchi, che ottoniani come attestano, tra gli altri, i celebri scritti di Aimone di Halberstadt5, di Ottone di Frisinga6 o di Adso. Adso, in particolare, rivolgendosi alla regina Gerberga. – dopo aver riaffermato la positiva continuità con la tradizione romana dei re franchi – proclama: «quod unus ex regibus Francorum Romanum imperium ex integro tenebit, qui in novissimo tempore erit. Et ipse erit maximus et omnium regum ultimus»7. Sarà l’ultimo imperatore – il sovrano dei tempi apocalittici – a combattere la lotta definitiva contro le malefiche forze del saeculum, aprendo la strada alla venuta di Cristo: il vero sommo Signore di tutti i secoli dei secoli.

1 Cfr. Hortus Deliciarum della badessa Herrade von Landsberg in C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, a cura di C. Galli, Giuffré, Milano, 1986, tavola 3.

2 Cfr. C. Bonvecchio, Imago imperii imago mundi. Sovranità simbolica e figura imperiale, CEDAM, Padova, 1997, p. 71.

3 Cfr. Aurelio Agostino, La città di Dio, libro V, 21, a cura di L. Alici, Rusconi, Milano, 19902, p. 299 ss.

4 Pauli Orosii, Historiarum adversum Paganos Libri VII, II, 2, 10 ss., hrsg C. Zangemeister, Leipzig, 1889, p. 37 ss. . Cfr. in merito anche E. Petersen, Il monoteismo come problema politico, trad. it., Queriniana, Brescia, 1983.

5 «Christus interpretatur unctus. Antiquitus enim in populo Judaeorum, quemadmodum apud Romanos diadema, faciebant et regem.. [Cristo significa unto. Anticamente, infatti, presso il popolo ebraico così consacravano il re, come i romani facevano per il diadema]» (Aimone di Halberstadt, Commentarium in Isaiam, c. 45 in Patrologia Latina Cursus Completus, CXVI, 942. D)

6 Per Ottone di Frisinga il sovrano è typus Christi o più precisamente il Christus Domini (cfr. Ottonis et Rahewini, Gesta Friderici I Imperatoris, in Monumenta Germania Historica. Scriptores rerum Germanicarum in usum scolarum recusi, editio III, (hrsg. G. Waitz), Hannoverae et Lipsiae, 1912, p. 105, 14–15.)

7 Adso scrive «che uno dei re dei Franchi, tra brevissimo tempo, reggerà di nuovo l’impero Romano. Ed egli sara il più grande e l’ultimo di tutti i re» (Adso, Epistola ad Gerbergam reginam de ortu et tempore Antichristi in E. Sackur, Sibyllinische Texte und Forschungen, Bottega d’Erasmo, Torino, 1963, p. 110).

(prosegue)  secolo – pesca con un amo il Leviatano, il mostro biblico che impersona mondo1, impedendogli di operare rovina e distruzioni. Ma il Cristo, a sua volta, è assimilabile alla figura imperiale – il Christus domini – che ne è il vicario in temporalibus. Il suo compito terreno è – unitamente al Sovrano Pontefice – quello di fungere da guida, nel saeculum, al popolo di Dio peregrinante nella civitas terrena, proteggendolo dall’Anticristo: dal negativo del mondo. «Unus Deus, unus Papa, unus Imperator» così recita un’antica e significativa acclamazione imperiale2. Ed in questo senso – nella linea della rivalutazione dell’impero voluta da Agostino3 e soprattutto da Orosio4 – è interpretata la Seconda Lettera ai Tessalonicesi dai Padri della Chiesa, come emerge dai commenti di Tertulliano, Melitone, Giovanni Crisostomo, Prudenzio, Ambrogio, Girolamo, Firmiano Lattanzio, solo per citarne alcuni tra i più importanti. Perfettamente allineati sulla stessa posizione interpretativa – tendente a sacralizzare la tradizione imperiale e l’imperatore come katechon – si collocano pure i teologi altomedioevali tedeschi, sia franchi, che ottoniani come attestano, tra gli altri, i celebri scritti di Aimone di Halberstadt5, di Ottone di Frisinga6 o di Adso. Adso, in particolare, rivolgendosi alla regina Gerberga. – dopo aver riaffermato la positiva continuità con la tradizione romana dei re franchi – proclama: «quod unus ex regibus Francorum Romanum imperium ex integro tenebit, qui in novissimo tempore erit. Et ipse erit maximus et omnium regum ultimus»7. Sarà l’ultimo imperatore – il sovrano dei tempi apocalittici – a combattere la lotta definitiva contro le malefiche forze del saeculum, aprendo la strada alla venuta di Cristo: il vero sommo Signore di tutti i secoli dei secoli.

1 Cfr. Hortus Deliciarum della badessa Herrade von Landsberg in C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, a cura di C. Galli, Giuffré, Milano, 1986, tavola 3.

2 Cfr. C. Bonvecchio, Imago imperii imago mundi. Sovranità simbolica e figura imperiale, CEDAM, Padova, 1997, p. 71.

3 Cfr. Aurelio Agostino, La città di Dio, libro V, 21, a cura di L. Alici, Rusconi, Milano, 19902, p. 299 ss.

4 Pauli Orosii, Historiarum adversum Paganos Libri VII, II, 2, 10 ss., hrsg C. Zangemeister, Leipzig, 1889, p. 37 ss. . Cfr. in merito anche E. Petersen, Il monoteismo come problema politico, trad. it., Queriniana, Brescia, 1983.

5 «Christus interpretatur unctus. Antiquitus enim in populo Judaeorum, quemadmodum apud Romanos diadema, faciebant et regem.. [Cristo significa unto. Anticamente, infatti, presso il popolo ebraico così consacravano il re, come i romani facevano per il diadema]» (Aimone di Halberstadt, Commentarium in Isaiam, c. 45 in Patrologia Latina Cursus Completus, CXVI, 942. D)

6 Per Ottone di Frisinga il sovrano è typus Christi o più precisamente il Christus Domini (cfr. Ottonis et Rahewini, Gesta Friderici I Imperatoris, in Monumenta Germania Historica. Scriptores rerum Germanicarum in usum scolarum recusi, editio III, (hrsg. G. Waitz), Hannoverae et Lipsiae, 1912, p. 105, 14–15.)

7 Adso scrive «che uno dei re dei Franchi, tra brevissimo tempo, reggerà di nuovo l’impero Romano. Ed egli sara il più grande e l’ultimo di tutti i re» (Adso, Epistola ad Gerbergam reginam de ortu et tempore Antichristi in E. Sackur, Sibyllinische Texte und Forschungen, Bottega d’Erasmo, Torino, 1963, p. 110).

 La figura imperiale è, pertanto, la garanzia della sacralità dell’esistere e dell’opposizione al saeculum e coincide con l’immagine del rex iustus, pacificus et christianus, come riteneva di essere Carlo Magno1: il primo Sacro Romano Imperatore della Nazione tedesca. D’altronde, l’imperatore – in quanto Christus Domini sulla terra – impersona il vicario di Cristo: è l’ipostasi vivente del divino sulla terra. Almeno sino a quando il Sommo Pontefice, nello specifico Innocenzo IV, non usurperà questa prerogativa avocando a sé, con la plenitudo potestatis, l’impero mondiale2 e non solo il potere sacerdotale. Sino a questo sciagurato ed arbitrario pronunciamento, è l’imperatore colui cui tocca il difficile compito di mantenere la forza del Sacro in un mondo, per definizione dominato dalle forze diaboliche: il saeculum per l’appunto. È ciò che consegue dall’interpretazione del Salmo 90 – «Mio rifugio sei tu e mia Rocca, mio Dio in cui confido»3 – che riponendo la salvezza del popolo cristiano in Dio, l’affida concretamente a chi ne è il vicario terreno: l’imperatore, coadiuvato in spiritualibus dal papa in questo compito ciclopico. D’altronde, potere temporale e potere spirituale – la Sacra Diarchia medioevale – dovrebbero concorrere, strettamente congiunti, al governo della civitas terrena, secondo il saggio precetto di Papa Gelasio: «Due quippe sunt imperator Auguste, quibus principaliter mundus hic regitur, auctoritas sacra pontificum et regalis potestas4. È la famosa teoria delle due spade – quella temporale e quella spirituale – enunciata ben prima del Monarchia5 di Dante dal monaco Alcuino, praeceptor di

1 Cfr. A. Dempf, Sacrum Imperium. La filosofia della storia e dello stato nel medioevo e nella rinascenza politica, trad. it., Ponte alle Grazie, Firenze, 1988 (ristampa anastatica), p. 65. Sulla Sacra Regalità cfr. anche Per me reges regnant. La regalità sacra nell’Europa medioevale, a cura di F. Cardini e M. Saltarelli, Il Cerchio – Edizioni Cantagalli, Rimini–Siena, 2002.

2 «Sed bene tamen credimus quod papa, qui est vicarius Iesu Christi, potestatem habet non tam super Christianos, sed etiam super omnes infideles, cum enim Christus habuerit super omnes potestatem» [Crediamo tuttavia rettamente che il papa che è il vicario di Cristo abbia potestà non soltanto sopra i Cristiani, ma anche sopra tutti gli infedeli, così come Cristo detiene il potere sopra tutti ] (Innocenzo IV, In Quinque Libros Decretalium Commentaria, liber III, rubrica 34, cap. 8, 3, b, Venetiis, 1578, f. 176 v.).

3 Sal., 90, 2.

4 «Due sono o Augusto Imperatore coloro che principalmente reggono questo mondo, la sacra autorità dei pontefici e la potestà regale» (Gelasio I Papa, Ad Anastasium Imperatorem – Epistula VIII in Patrologiae cursus completus. Series Latina, tomus LIX, col. 42, A–B).

5 Cfr. Dante Alighieri, Monarchia, libro III, IX, a cura di F. Sanguineti, Garzanti, Milano, 1985, pp. 119–123.

 Carlo Magno e, in seguito, da Bernardo di Chiaravalle, praeceptor militum1: il precettore della Sacra Cavalleria.

Nel mondo moderno – nel nostro mondo – di tutta questa perfetta ed armonica costruzione terreno–cosmica si è perduta completamente la traccia. Il saeculum – nella sua forma più insinuante ed insidiosa – prevale, con tutte le sue irresistibili seduzioni. Seduzioni che non sono certo le bonarie (e quasi salutari) tentazioni della carne, del denaro o del potere: quelle che inquietano i primi cristiani e i Padri della Chiesa. Sono piuttosto le tremende seduzioni dello spirito che assalgono un organismo malato che, essendo eccentrico – cioè privo di un centro, di un riferimento, di un’unità – non è più in grado non solo di vivere in sintonia con il cosmo (dove è immerso), ma neppure di vivere in armonia con se stesso. «L’uomo» scrive significativamente Jung «si sente isolato nel cosmo, poiché non è più inserito nella natura e ha perduto la sua “identità inconscia” emotiva con i fenomeni naturali…Nessuna voce giunge più all’uomo da pietre, piante o animali, né l’uomo si rivolge a essi sicuro di venire ascoltato. Il suo contatto con la natura è perduto, e con esso è venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava»2. Privo di ogni sinergia vitale con il mondo, l’uomo sperimenta direttamente quello che con efficace espressione, Spengler ha definito come “il tramonto dell’Occidente”3 e che, in senso ampliativo, si può interpretare come il tramonto del Sacro: il tramonto dell’uomo. Uomo che prova su di sé la tremenda condizione di “landa desolata”4: lo status che qualifica il paese che, nella leggenda del Graal, coincide con il regno del Re Vulnerato, il re malato incapace di svolgere il proprio compito imperiale.

Il mondo moderno si presenta come il compimento del saeculum: è un’immane “landa desolata”, una terra senza centro, priva del simbolico Graal e, di conseguenza, senza Signoria. È

1 La celebre teoria dei due poteri – nota per l’appunto come la teoria delle due spade – è stata enunciata, in epoca carolingia, da Alcuino che la ricava dall’esegesi biblica (cfr. A. Dempf, Sacrum imperium, op. cit., p. 87). In seguito è stata ripresa da Bernardo nel IV libro del De Consideratione. In esso Bernardo affida al papa entrambe le spade che, a sua volta, demanda – per il bene della Chiesa – all’imperatore quella temporale (cfr. H. X. Arquilliere, Origines de la théorie des deux glaives in “Studi Gregoriani”, 1947, 1, pp. 501–521; C. Giacon, Le due spade in “Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto”, 1959, 36, pp. 682–688; P. Zerbi, Mentalità, ideali e miti del Medioevo, Vita e Pensiero, Milano, 1975, pp. 50–59; A. Di Bello, Rapporti tra potere religioso e potere secolare nell’operato e negli scritti di Bernardo di Clairvaux negli anni dal 1128 al 1138 in “Rivista cistercense”, 1994, XI, n. 2, pp. 89–136).

2 C. G. Jung, Introduzione all’inconscio in L’uomo e i suoi simboli, trad. it., Longanesi, Milano, 1980, p. 77.

3 Il riferimento è alla celebre opera di O. Spengler, Il tramonto dell’Occidente, trad. it., Longanesi, Milano, 19814.

4 Cfr. W. von Eschenbach, Parzifal, libro V, 225, trad. it., TEA, Milano, 1989, vol. I, p. 154. Analogo riferimento – la terra desolata – lo troviamo in Chretien de Troyes in Perceval o il racconto del Graal, trad. it. in La leggenda del Sacro Graal, a cura di G. Agrati e M. L. Magini, Mondadori, Milano, vol. I, p. 50.

 un “paese guasto”, per servirsi dell’affascinante metafora dantesca1, nella quale gli uomini – al pari della ciurma ammutinata descritta da Donoso Cortès – scendono «per la torbida corrente del gran fiume, con un terribile e furente clamore»2. E, infatti, l mondo conosce soltanto il saeculum. Conosce solo la potestà degli Arconti che impongono loro effimere verità, mentre gli idoli (in senso baconiano) che venera non sono che le misere ed impotenti proiezioni che nascono dalla mancanza di un centro: la negazione di una superiore realtà. Il mondo moderno venera la tecnica – il nulla spirituale, come la definisce Carl Schmitt3 – vive del consumo e per il consumo, costruisce la sua coerenza sul transeunte. Combatte tutte le sue battaglie in nome e per conto di ciò che è fugace, mentre abbandona come superfluo ciò che, invece, è fondamentale e costitutivo: mentre abbandona il Sacro. Privilegia, in ultima istanza, le infinite piccole quotidiane cause della vita invece di dedicarsi all’unica causa per la quale vale la pena vivere, come vuole l’antico adagio di Tertulliano4. Parteggia insomma per l’avere in luogo dell’essere, per usare di una celebre espressione di Erich Fromm.

Coincide con l’esito estremo ed estraniante della secolarizzazione che in vece del Dio unico – che era la superiore trascrizione della pienezza dell’uomo in Dio e viceversa – ha posto in trono molti, piccoli dei, voraci come termiti, che svuotano l’uomo dall’interno, rendendolo cavo come un elfo. Che lo svuotano facendone una cavità dall’apparenza umana: facendone un nulla, una mancanza d’essere.

Di questa mancanza di essere l’uomo moderno tende ad essere prigioniero e servitore essendone, heideggerianamente, gettato, come in un “gorgo”5. Ma il nulla – che è l’esatto contrario del Sacro – coincide con il caos iniziale, con quella malata e tenebrosa abissalità, il già citato Kenoma, da cui la Gnosi ha fatto derivare il mostruoso Jaldabaoth6: il Signore degli Arconti, il padrone del saeculum. Di questo nulla, l’uomo moderno è un grumo informe. La sua

1 «In mezzo mar siede un paese guasto» (Dante Alighieri, Inferno, canto XIV, V. 94, a cura di N. Sapegno, La Nuova Italia, Firenze, 196212, p. 165.

2 J. Doloso Cortés, Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo, trad. it., Rusconi, Milano, 1972, p. 164.

3 Cfr. C. Schmitt, Il concetto di ‘politico’, trad. it. in Le categorie del ‘politico, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 180.

4 «Propter causas vitae, noli vitae perdere causam» (Tertulliano). Tale celebre adagio, a sua volta è tratto da Giovenale (Satira VIII, vv. 83–84): «Summum crede nefas animam praeferre pudori/ Et propter vitam vivendi perdere causas (Per turpissima cosa avrai l’anteporre la vita all’onore, e pur di salvare la vita, perdere ogni ragione di vivere).

5 Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, parte prima, sez. prima, cap. quinto, § 38, trad. it., Longanesi, Milano, 197011, p. 273 ss.

6 Cfr. Apocrifo di Giovanni, 10 in Testi gnostici, a cura di L. Moraldi, UTET, Torino, 1997, p. 137 ss.

 sostanza è ilica – ossia materiale – e la sua distanza con l’uomo psichico e con quello pneumatico1, dove quest’ultimo è l’essere spirituale per eccellenza, è incommensurabile. Prigioniero delle seduzioni del saeculum, orbato di un centro e privo di una guida, l’uomo moderno disprezza tutto ciò che ha a che fare con la sfera del Sacro o lo cerca, vanamente, nelle sue futili e consumistiche trascrizioni. In tal modo, nega la divina scintilla che arde nel suo cuore e che è il simbolo di una totalità cui l’uomo sua ipsa natura, costitutivamente appartiene in quanto figlio dell’Anthropos originario2, in quanto “figlio di Re” come canta l’Inno della perla3.


1 «L’umanità è, infatti, divisa in tre specie in base alla natura (di ognuna), cioè la pneumatica, la psichica, e la ilica, mantenendo il tipo della triplice disposizione del Logos dalla quale furono prodotti gli ilici, gli psichici, e i pneumatici» (Trattato Tripartito, 118, 10–20, in Testi gnostici, op. cit., pp. 408–409.

2 Cfr. G. Filoramo, L’attesa della fine. Storia della Gnosi, Laterza, Roma – Bari, 1987, p. 83.

3 Cfr. L. Moraldi, Atti di Tomaso in Apocrifi del Nuovo Testamento, UTET, Torino, 1971, vol. II, p. 1311 ss. (prosegue con la parte 2 ossia IL SACRO


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