La felicità negata - 2^  parte

La felicità negata - 2^ parte

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In questa newsletter è sintetizzata 
la seconda parte del libro di
Domenico De Masi La felicità negata,
in cui sono messi in relazione lavoro e l'ozio in un'economia neoliberista.
Nella numero precedente
sono state messe a confronto la Scuola di Francoforte con quella di Vienna.

Non c’è progresso senza felicità e non si può essere felici in un mondo segnato dalla distribuzione iniqua della ricchezza, del lavoro, del potere, del sapere, delle opportunità e delle tutele. Questo è l’esito raggiunto da una politica economica neoliberista che ha come base l’egoismo, come metodo la concorrenza e come obiettivo l’infelicità. Nel libro La felicità negata, appena uscito, Domenico De Masi analizza due concezioni opposte dell’individuo, della società, dell’economia, la cui contesa verte proprio sul ruolo, il valore e l’organizzazione della vita attiva nelle sue espressioni del lavoro e dell’ozio. 

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Il lavoro industriale

Il Novecento si aprì con cinque diverse concezioni del lavoro: 1) la Chiesa lo considerava come un castigo divino, un dovere e un riscatto “perché aspre, dure, difficili a sopportarsi sono le ree conseguenze del peccato” come dice l’enciclica Rerum Novarum (1892); 2) il liberismo lo considerava come fattore produttivo, come merce di uso e di scambio, come metro di confronto in un mercato meritocratico e concorrenziale; 3) il marxismo lo considerava come l’essenza stessa dell’uomo, l’attività attraverso cui egli valorizza le sue capacità produttive e che, quindi, non può essere mercificata, pena l’alienazione dalla quale ci si può liberare solo con l’abolizione rivoluzionaria della proprietà privata dei mezzi di produzione; 4) il socialismo lo considerava come un’attività penosa che però, attraverso le riforme, può essere umanizzata fino a farne una fonte di gioiosa socialità; 5) il management scientifico (Taylor e Ford) lo considera un’attività da organizzare scientificamente per ottenere la massima efficienza dei lavoratori, compensati con alti salari. 

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L'avvento postindustriale

A partire dal dopoguerra, in poche generazioni, la popolazione mondiale è raddoppiata, così pure la longevità. Le emozioni e i sentimenti hanno riguadagnato terreno rispetto alla pura razionalità industriale. L’individualismo indotto dalla concezione neoliberista dell’economia e della società ha ridotto la propensione alla solidarietà e alla convivialità. Sono emersi dalla società valori nuovi come l'intellettualizzazione di ogni attività umana, la creatività, l'etica, l'estetica, la soggettività, l'affettività, la destrutturazione del tempo e dello spazio, il cosmopolitismo, la qualità della vita. Come ha auspicato Simone de Beauvoir, tutti i rami della società si sono femminilizzati e il diritto ha regolamentato la crescente parità di generi. Il tempo e lo spazio si sono destrutturati consentendo la coesistenza di stanzialità e nomadismo, fisicità e virtualità. La qualità della vita è diventata obiettivo prioritario e parola d’ordine di ogni rivendicazione.

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Siamo tutti in soprannumero

Gli effetti del neoliberismo sul lavoro si sono manifestati in termini sconquassanti di flessibilità, informalità, multiattività, discontinuità e precarietà. Il che significa insicurezza occupazionale, dequalificazione, riduzione del lavoro salariato, salari sempre più bassi, obsolescenza sempre più rapida delle conoscenze professionali e dell’esperienza, rischi sempre maggiori e sempre più scaricati dai datori di lavoro sui lavoratori, diritti contrattuali sempre più ridotti, esclusione dai livelli di benessere raggiunti, dalle reti professionali e amicali consolidate, presa d’atto che la ricchezza è a termine mentre la povertà è definitiva, consapevolezza che ormai siamo tutti in soprannumero, come dice André Gorz.

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Settimana lavorativa di 15 ore

Nel 1930 Maynard Keynes previde che, entro un secolo, cioè entro il 2030, il progresso sarebbe stato così dirompente che, per evitare la disoccupazione di massa, si sarebbe dovuto ridurre la settimana lavorativa a 15 ore. Attualmente i metallurgici tedeschi sono a 28 ore. “Visto in prospettiva – scrive Keynes – ciò significa che l'umanità sta procedendo alla soluzione del suo problema economico. […] Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo”. Aumenterà il tempo libero e “per la prima volta dalla sua creazione, l’uomo si troverà di fronte al suo vero, costante problema: come impiegare la sua libertà dalle cure economiche più pressanti, come impiegare il tempo libero che la scienza e l’interesse composto gli avranno fatto guadagnare, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza”.

L’aumento di tempo libero troverà impreparati tutti gli affetti da workaholism. I lavoratori indefessi, i grandi investitori, quelli che sanno solo fare i soldi continueranno ad accumulare ricchezza ma quando ci sarà abbondanza per tutti, sapranno goderne solo le persone capaci di sostituire la "perizia nel lavoro" con “l’arte della vita" e che rifiuteranno di svendersi in cambio dei mezzi di sopravvivenza.

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The great resignation

Se, in pieno aumento della disoccupazione aggravata dalla pandemia, milioni di lavoratori lasciano il loro posto per cercarne uno meno alienante o per non cercarne affatto, se nei sondaggi aumentano gli intervistati che preferiscono una riduzione dell’orario di lavoro a un aumento salariale, se crescono le richieste di part time e di smart working, significa che l’etica protestante del lavoro per il lavoro, del lavoro come vocazione e come professione, non fa più presa sulla popolazione attiva.

an mano che il lavoro finisce e che viene rifiutato, emergono nuove attività che ne prendono il posto: 1) l’impegno nel terzo settore e nei servizi per la comunità (Jeremy Rifkin); 2) la multiattività e la cultura, cioè tutto ciò che facciamo, qualsiasi cosa esso sia, fare la mamma, l’artista, il flaneur, il poeta, l’atleta (André Gorz); 3) il lavoro d’impegno civile, deregolamentato, flessibile, volontario, autorganizzato in cui quello che deve essere fatto e come farlo, è deciso esclusivamente da chi lo fa (Ulrick Beck); 4) “fare di più e meglio con meno” e rifiuto dell’ideologia neoliberista “con le sue parole chiave: efficienza, prestazioni, eccellenza, redditività a breve termine, riduzione dei costi, flessibilità, ritorno sull’investimento, ecc., il cui risultato è la distruzione del tessuto sociale” (Serge Latouche); 5) ozio creativo non inteso come pigrizia o inattività, col pericolo di deprimersi ma come capacità di coniugare il lavoro per produrre ricchezza, con lo studio per produrre conoscenza e con il gioco per produrre allegria (Domenico De Masi).

Beatrice Boechat D´Elia

Consultora empresarial | Professora FGV | Comunicação interpessoal, oratória, RH e Inovação| Condutora de Treinamentos | Mentora | Assessora executiva | Analista Comportamental | Design Thinker | Design | Webdesign

2 anni

Ho già cominciato ad leggerlo in italiano :-)

Paola Mirco

. Tecnico Servizi per l'impiego

2 anni

"Non c'è progresso senza felicità" se l'uomo non ritroverà un giusto equilibrio tra lavoro ed interesse al lavoro, tempo libero e tempo di ricerca ed approfondimento del lavoro, non ci può essere quel passo in avanti che determina il progresso, come sano e proficuo cambiamento e miglioramento della situazione nella quale si vive.

Arcangelo Annunziata

Director & Fractional HR Manager

2 anni

Grazie Professore, lo leggerò con avidità , Sempre con grande stima Arcangelo Annunziata

Enzo Papalia

Management Consulting

2 anni

Buongiorno professore, le ho scritto una mail per invitarla a fare una lezione presso un'azienda mia cliente. Se non l'avesse ricevuta le lascio la mia mail Vincenzo.papalia@mida.biz ... potrebbe gentilmente contattarmi? Grazie ... Enzo

Maria Grazia Strano

Membro del Consiglio Direttivo Associazione Al Confine Onlus at Al Confine Onlus

2 anni

Caro Mimmo tu sai come pochi proporre la lettura integrativa e sincretica di stimoli autorevoli, portando il lettore a trovare nuovi significati sempre vicini all'esperienza di vita. Grazie Maria Grazia

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