La magia del Natale che si intreccia con l’inclusione.
Sarah Rogers/The Daily Beast

La magia del Natale che si intreccia con l’inclusione.

Tra tutte le leggende, riadattate per singoli Paesi e soprattutto nei paesi, tra tutte le storie di Natale da tisana e caminetto, tra le filastrocche da pranzo del 25 dicembre, in piedi sulla sedia dopo il taglio del panettone, scelgo quella di Rudolph, la renna dal naso rosso.

Perché questa renna, nata dalla penna di Robert Lewis May nel 1939, fu una vera innovazione nel mondo della letteratura per l’infanzia. Il palcoscenico era l’America perbenista e razzista di quegli anni, ricca di propaganda omofoba che promuoveva l’uniformità a tutti i costi. Per la prima volta invece il mondo dei più piccoli si apriva al riconoscimento dei fenomeni di diversità, esclusione e inclusione, bullismo.

Come nasce la storia di Rudolph

Nei periodi di festa, i grandi magazzini erano soliti creare nuovi personaggi da favola che aiutavano a vendere libri, giocattoli, abbigliamento e gadget natalizi. Anche il settore musicale sfornava ogni anno nuove canzoni dedicate al Natale. Una strategia di marketing: creare delle mode a supporto delle vendite.

In quegli anni, inoltre, i negozi di giocattoli regalavano ai bambini dei libretti da colorare, a scopo pubblicitario, per creare desiderio nei piccoli, che avrebbero trascinato i genitori in quei negozi e da cui difficilmente sarebbero usciti a mani vuote.

Cuore di queste operazioni era la figura del copywriter, un abile creativo capace di realizzare piccoli capolavori.

Uno di questi era Bob May, chiamato dai grandi magazzini Montgomery Ward (gli antenati del Postalmarket e quelli che hanno inventato la formula “soddisfatti o rimborsati”).

L’idea era tenere testa all’austerità che si era diffusa a seguito della Grande Depressione, e tornare a far cassa con i giocattoli e il merchandising. D'altra parte, fu una delle pochissime aziende a superare illesa la crisi del ’29, quando ci fu il crollo della Borsa.

Insomma, Ward aveva voglia di investire sul futuro. Futuro uguale bambini.

Si voleva creare un personaggio buffo ma virile, che diventasse la mascotte della catena.

La storia di Rudolph fu bocciata per ben due volte: quel naso rosso lo faceva sembrare un alcolizzato e mal si abbinava a un contesto proibizionista.

Ma May riuscì a convincere tutti, assoldando un illustratore che diede vita e tenerezza alla piccola renna.

La storia venne così pubblicata e, solo a dicembre, vendette 2,4 milioni di copie. Un successo da grande classico a cui si aggiunse un cortometraggio nel 1949 e la famosa canzone “Rudolph the Red-Nosed Reindeer”.

La storia di Rudolph

La genesi di Rudolph è avvolta nella leggenda: pare che fosse l’animale preferito dalla figlia quattrenne di May, vera ispiratrice della storia, addolorata per la grave malattia della mamma.

E che le caratteristiche fisiche della renna richiamassero l’infanzia dello stesso autore, gracile e vittima di bullismo, una parola che allora non si usava e del cui significato non si discuteva.

Così anche Rudolph fu tratteggiata come una renna magra e delicata, ben diversa dagli altri paffuti personaggi a cui si era abituati.

Ma non solo. Rudolph aveva una caratteristica che lo rendeva diverso da tutti: un naso grande, rosso e luccicante.

Per tutti questi motivi, non solo veniva deriso, ma anche escluso dal branco.

Persino Babbo Natale, in versione recruiter di renne, lo aveva lasciato con un “le faremo sapere”, perché temeva che i bambini si spaventassero alla vista di quello strano animale.

Ma le cose erano destinate a cambiare: la notte della vigilia era così buia e nebbiosa che la slitta vagava a vuoto. C’era il serio rischio che i bambini non ricevessero alcun regalo.

Quando Babbo Natale scoprì un’unica luce che rischiarava il bosco e si accorse che era il naso di Rudolph, chiese alla renna di diventare la capofila e illuminare il suo giro nei cieli del mondo.

Rudolph: la forza dell’unicità

Cosa ci insegna questa storia? Almeno tre cose sulla diversità, per illuminare non solo i pensieri dei bambini, ma anche il Natale e tutta la nostra vita.

1) BULLISMO

In un clima freddo, più per il bullismo che per le temperature del Polo Nord, Rudolph è entrato a far parte della squadra che lo escludeva, Babbo Natale compreso, e ha salvato il Natale. Qualcuno ha contestato la favola perché il messaggio che sembra passare è che, se si è diversi, si può venire accettati non per come si è ma solo se si è in grado di fare qualcosa di straordinario. Nonostante la storia abbia quasi 90 anni, resta il fatto che permette ai bambini un grande esercizio di empatia, ed è un modello per chi decide di restare fedele a sé stesso, non perdere la speranza, accettare con coraggio una nuova sfida.

2) UNICITÀ

La nostra unicità è ciò che ci rende speciali. Ciò che vediamo come un difetto è la nostra ricchezza e può trasformarsi in un punto di forza.

3) NON CONFORMITÀ

Spesso sono le nostre caratteristiche così differenti da ciò che consideriamo normale a migliorare il mondo, ma anche semplicemente il nostro posto di lavoro: siamo capaci di trovare soluzioni nuove, imprevedibili, che nascono dal nostro modo unico di vedere e sentire.


PS tu li ricordi i nomi delle altre 8 renne?

Soluzione:

ollǝɹɐʇlɐS 'ǝuıɯlnɟ 'ɐıɔɔǝɹɟ 'ɐlouuop 'oʇɐuop 'opıdnɔ 'ɐʇǝɯoɔ 'ɐuıɹǝllɐq

fonte




il quiz finale, non l'ho passato! Per fortuna che c'era la soluzione e, coerentemente con il naso rosso di Rudolph, era una soluzione "diversa" e in qualche modo unica, in questo caso arricchita dalla piega del sorriso che si forma mentre ci si sforza di leggerla. Buon Natale! 🎄

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