La ricerca di una vita migliore ha portato alla "Great Resignation"​ anche in Italia. E'​ un fenomeno transitorio post-Covid oppure è strutturale?
La "GREAT RESIGNATION" Italiana

La ricerca di una vita migliore ha portato alla "Great Resignation" anche in Italia. E' un fenomeno transitorio post-Covid oppure è strutturale?

Sicuramente non Vi sarà sfuggita la notizia ripresa da molte testate giornalistiche (molto più carta stampata e meno da TV e radio) dell'ondata di dimissioni nel 2° trimestre 2021 in Italia che ha un'onda lunga dal 2020 in pieno Covid. E' un fenomeno che non mi sarei mai aspettato nel paese di Checco Zalone che nel simpaticissimo film "Quo vado" da bambino alla domanda <<cosa vuoi fare da grande">>, rispondeva <<io da grande voglio fare il posto fisso>>.

Eppure stando ai dati rilasciati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulle cessazioni di lavoro nel secondo trimestre del 2021, in Italia la crescita tendenziale è del +43,7%. Tra aprile e giugno, ci sono state 2 milioni 587mila chiusure di rapporti lavorativi. Il +37%, pari a +768.000 unità rispetto al 2020. Di queste, ben 484.000 sono state dimissioni volontarie dei lavoratori che, per la prima volta, superano il 2% sul totale della quota degli occupati. Ad essere interessato al fenomeno soprattutto il settore sanità/sociale, con un +44% di dimissioni volontarie. Conseguenza diretta degli sforzi fisici e psicologici richiesti agli operatori dalla pandemia.

Le moltissime persone che si sono dimesse dal lavoro negli ultimi mesi sembrerebbero alla ricerca di impieghi con salari più alti e maggiore flessibilità.

Cos’è la Great Resignation

Negli Stati Uniti il fenomeno è ormai consolidato, tanto che gli hanno dato anche un nome "Great Resignation", ossia lo straordinario aumento di dimissioni volontarie da parte dei lavoratori statunitensi, che sembra si stia replicando anche in Italia.

Con la pandemia, moltissime persone hanno avuto un momento di riflessione che le ha spinte ad uscire dalla retorica del “workism”, l’idea che per valorizzarsi sia necessario dedicare l’intera vita al lavoro. Per questo motivo, hanno deciso di lasciare il proprio impiego per trovarne uno migliore: più appagante, meglio retribuito e con maggiore flessibilità. Il fenomeno della "Great Resignation" è già emerso dai dati ufficiali, con l’indice delle dimissioni negli Stati Uniti che ad agosto 2021 era del 19 per cento superiore rispetto allo stesso mese del 2019. Dopo il primo anno della pandemia, le dimissioni hanno iniziato a crescere in forma esponenziale.

Che fine fanno i dimissionari ?

Molti di coloro che abbandonano il lavoro non sono intenzionati a trovarne subito uno nuovo. Tra chi è alla ricerca di un nuovo impiego, invece, si registrano tendenze ben precise. Il nuovo lavoro dei sogni è un impiego intellettuale, che richiede un alto livello di competenze e creatività, offre un certo grado di flessibilità – e di smartworking o addirittura south working – e garantisce salari elevati.

Le statistiche delle diverse piattaforme di ricerca lavoro indicano che il settore con il più significativo aumento di ricerche è quello dell’ingegneria civile. Seguono l’informaticamedia/comunicazione e sviluppo software. In stallo l’interesse per posizione di lavoro nell’ambito di ospitalità e turismo, mentre scendono nettamente le ricerche per posizioni di magazzinieri e mestieri di cura, dai bambini alla persona alla casa.

E' certo che con la pandemia, moltissime persone hanno avuto un momento di riflessione che le ha spinte a uscire dalla retorica del “workism”, l’idea che per valorizzarsi sia necessario dedicare l’intera vita al lavoro. Per questo motivo, hanno deciso di lasciare il proprio impiego per trovarne uno migliore: più appagante, meglio retribuito e con maggiore flessibilità. 

Le motivazioni

Anthony Klotz, docente della Texas A&M University ne ha individuati quattro:

1. Le dimissioni per così dire in arretrato, cioè quelle rimandate nei mesi dell’emergenza pandemica.

2. L’esaurimento da lavoro, il cosiddetto burnout, che ha interessato soprattutto, ma non solo, i lavoratori che non si sono mai fermati, fra cui medici e infermieri, ma anche gli addetti dei supermercati.

3. L’avversione a ritornare a un lavoro completamente in presenza, in ufficio, dopo aver provato i benefici del lavoro da remoto (o la formula mista verso cui molte aziende si stanno dirigendo).

4. Infine, forse la più interessante, ci sono quelle che il docente universitario chiama le «epifanie da pandemia». Un’epifania non in senso religioso, comprensibilmente, anche se c’entra in qualche modo un’apparizione, o meglio una rivelazione. Molti lavoratori hanno cioè realizzato improvvisamente che le modalità con cui veniva svolto il loro lavoro non erano più accettabili; hanno così deciso di cambiare strada professionale iniziando una nuova carriera o avviando un’attività in proprio.

Trascorrere otto ore chiusi in una stanza davanti a un pc, essere maltrattati dai clienti oppure dover rinunciare al riposo nel weekend ripetutamente, magari senza il «lusso» degli straordinari pagati (perché le ore si possono recuperare). Ecco, questi sono tutti fenomeni a cui ci siamo ingiustamente assuefatti. Ci siamo abituati in alcuni contesti a vivere per lavorare e sembra che questa impostazione sia diventata socialmente accettata come dimostra anche la diffusione del cosiddetto "workhaolism". I datori di lavoro spesso hanno fatto finta di niente e i dipendenti ne hanno pagato il prezzo con il proprio equilibrio psicofisico. Si arriva a casi estremi come quello del presenteismo (diverso dal presenzialismo): si sta a lavoro anche se ci si dovrebbe assentare per prendersi cura della propria salute fisica o mentale.

Ecco, la pandemia forse un dono ce l’ha fatto a questo proposito: ci ha obbligati a fermarci e guardare un po’ in prospettiva tutto ciò. E in questa riflessione imposta, se il fenomeno delle "Grandi Dimissioni" dovesse consolidarsi, assumerebbe un significato preciso e potrebbero portare le aziende a confrontarsi con i propri dipendenti che a primo sguardo potrebbero essere etichettati come "choosy", schizzinosi, ma che in realtà hanno compreso che un cambio di rotta non è più rimandabile.

Un popolo di ambiziosi ?

Guardando ai dati, sembra quindi che la pandemia abbia spinto moltissime persone verso lavori più impegnativi in termini di iniziativa e di competenze, lasciando da parte quelli più ripetitivi e a basso valore aggiunto. La situazione di alta disoccupazione e alta richiesta di lavoratori è sicuramente in parte legata alla presenza di molti strumenti di sostegno al reddito introdotti o potenziati con la pandemia, ma è possibile che la nuova ondata di ambizione e di ricerca di impieghi più soddisfacenti rimanga, almeno in parte, anche in futuro. La presenza di sussidi, infatti, non può spiegare del tutto il fenomeno: in estate, Reuters aveva mostrato che negli Stati Uniti l’occupazione negli stati federali che avevano rimosso i sussidi non cresceva a ritmi diversi rispetto agli stati che non lo avevano fatto.

Alla luce dei dati sull’aumento del tasso di dimissioni anche in Italia, confermati anche nel terzo trimestre dai dati di "Veneto Lavoro", viene da chiedersi se il fenomeno della "Great Resignation" negli Stati Uniti sia applicabile al contesto italiano. È ancora presto per dirlo, sia perché non esistono ancora studi di questo tipo sul nostro paese, sia perché l’ondata di dimissioni è iniziata molto più tardi in Italia. Ma un eventuale aumento dell’interesse verso le posizioni che richiedono alte competenze nelle materie tecniche sarebbe un’ottima notizia per il nostro paese. Ancora oggi, infatti, nonostante le lamentele sui sussidi che impedirebbero ai ristoratori di trovare camerieri o agli imprenditori agricoli di trovare lavoranti, gli impieghi per cui la domanda di lavoro insoddisfatta è cresciuta di più durante la pandemia riguardano le attività professionali scientifiche e tecniche, come mostrano i dati istat. Un aumento dell’interesse verso queste professioni sarebbe dunque auspicabile, ma in quel caso bisognerebbe seguire l’esempio degli Stati Uniti: maggiori competenze, maggiori salari.


Rodrigo Di Lauro

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3 anni

Ad un certo punto negli ultimi 2 anni in tanti si sono chiesti “corro,corro,corro…. Ma per cosa poi?” Stiamo iniziando a capire che la vera ricchezza non è quella economica… e quando devi solo fatturare l’amore è spesso una distrazione troppo cara.

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