La sostenibilità nel settore tessile passa (anche) dalla comunicazione
L’industria tessile ad oggi è responsabile di circa l’8% delle emissioni globali di gas serra e rappresenta una delle principali cause di inquinamento delle acque in tutto il mondo. Negli ultimi 15 anni la produzione di abbigliamento è raddoppiata, mentre il tasso di riutilizzo e riciclaggio nell’industria è sempre molto basso, rendendo caldo anche il tema dello spreco: ogni secondo nel mondo, un camion di rifiuti tessili viene bruciato o smaltito in discarica. Ad oggi è chiaro che il modello di produzione proposto dal fast fashion è insostenibile, producendo a ritmi vertiginosi capi che hanno una scarsa durata, di bassa qualità e difficilmente riciclabili.
Lo scorso 23 Novembre un’inchiesta di Greenpeace ha portato alla luce quello che c’è dietro al modello di business del gigante cinese di ultra-fast fashion che nel 2020 ha guadagnato quasi dieci miliardi di dollari: Shein. Il caso ha avuto risonanza a livello globale, smascherando un modello di produzione che non è sostenibile né a livello sociale, né ambientale. La sezione tedesca dell’organizzazione ambientalista ha preso in esame 47 prodotti tra abiti e calzature per uomini, donne e bambini, e ha scoperto che il 15 % di questi conteneva quantità di sostanze chimiche tossiche superiori ai livelli consentiti dalle leggi europee.
Il secondo tema che è stato portato alla luce sul caso Shein riguarda la sostenibilità sociale del suo modello di business. L’inchiesta “Untold: Inside the Shein Machine”, realizzata dalla reporter Iman Amrani, ha rivelato lo sfruttamento della manodopera attuato da questo modello di produzione: diciotto ore di lavoro al giorno, nessuna festività e stipendi bassissimi, mostrando alcuni video e audio registrati di nascosto all’interno di due fabbriche a Guangzhou.
Volgiamo sottolineare che ci sono anche grandi marchi dell’industria del fast fashion che cercano di andare verso un modello più sostenibile, e di comunicarlo nel miglior modo possibile, un esempio di questo è Zara. Inditex, la società madre di Zara, già nel 2018 ha reso pubblici degli obiettivi concreti di sostenibilità dell’azienda, dichiarando che entro i prossimi 6 anni utilizzerà solo cotone, lino, poliestere più sostenibile o riciclato, eliminerà tutte le plastiche monouso dai negozi e si impegnerà nell’inviare ad appositi centri di smaltimento tutti i rifiuti prodotti negli uffici e nei negozi per il riciclaggio e il riutilizzo, installerà impianti di raccolta differenziata degli indumenti in tutti i suoi negozi, e i vestiti raccolti saranno donati, riutilizzati, o riciclati. Ha inoltre aderito alla campagna Detox My Fashion lanciata da GreenPeace per ridurre l’uso di sostanze nocive nell’intera filiera tessile.
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Quando si parla di grandi catene di distribuzione siamo comunque restii nel vedere davvero dei progressi dal punto di vista della sostenibilità, e a distinguere quando il tema viene affrontato in modo serio rispetto a quando si tratta di una strategia di greenwashing. Un esempio ne è la la collezione “Conscious” di H&M, una linea di abbigliamento “sostenibile” del brand ampiamente messa in discussione dalla Norwegian Consumer Authority, la quale ha contestato che sulle etichette di questa collezione mancano le informazioni per capire perché dovremmo acquistare quel “prodotto sostenibile”, anziché un qualsiasi altro prodotto presente nel negozio. Quindi un problema di trasparenza. La sostenibilità nell’industria tessile è molto più complessa del semplice tessuto utilizzato, non riguarda solo l’impatto ambientale di un singolo materiale, bensì copre diversi aspetti sociali.
Dall’altro lato esistono grandi brand del settore della moda il cui impegno nella sostenibilità è tangibile e viene considerato non solo un dovere etico ma anche uno strumento competitivo sul mercato, vogliamo infatti citare l’operato di brand sostenibili come Stella McCartney, etichetta di lusso comprensiva di capi e di accessori prodotti senza derivati animali che ha visto la designer inglese ricevere nel 2018 il Global Voices Award, un prestigioso premio per la proposta di una moda sostenibile. Altri due brand di si può apprezzare l’operato sono Patagonia, brand specializzato in abbigliamento tecnico outdoor, fondato nel 1973 e diventato un marchio di moda ecosostenibile, utilizzando esclusivamente materiali ecosostenibili dove è garantito il benessere degli animali e i filati raccolti in aziende tessili, ne solo esempio i suoi piumini eco friendly la cui imbottitura è costituita da piume 100% tracciabili. Tra questi citiamo anche Timberland, che ha dimostrato un costante impegno nel creare prodotti responsabili verso l'ambiente, con l'utilizzo di materiali organici, riciclati e rinnovabili, inoltre, in tutti gli store monomarca d'Europa i clienti possono portare in negozio le loro scarpe usate di qualsiasi marchio che poi verranno o regalate o riciclate.
In conclusione, nel settore tessile si sente sempre più il bisogno di mettere in atto azioni tangibili per dimostrare il proprio impegno nella sostenibilità, e in secondo luogo di comunicarlo in modo efficace al consumatore finale, con trasparenza. Citiamo infatti la recente nascita del network Slow Fiber che si pone l’obiettivo di divulgare la conoscenza dell’impatto che i prodotti tessili hanno sull’ambiente, sui lavoratori della filiera e sulla salute dei consumatori per diffondere una nuova etica e cultura del vestire e dell’arredare. Il progetto nasce dall'incontro tra Slow Food e alcune aziende della filiera tessile che vogliono rappresentare il cambiamento positivo attraverso un processo produttivo sostenibile. L’impegno della rete è volto alla creazione di prodotti Belli, Sani, Puliti, Giusti e Durevoli. La forza del progetto Slow Fiber risiede nelle aziende e nelle persone coinvolte, che ogni giorno si fanno portavoce di questi valori e operano nel concreto per renderli possibili e tangibili, sostenendo campagne di sensibilizzazione attraverso la testimonianza e la partecipazione diretta delle aziende che quotidianamente operano nel rispetto della sostenibilità ambientale e sociale.