L’inquietante peso sociale ed ambientale della Fast-Fashion.

L’inquietante peso sociale ed ambientale della Fast-Fashion.

Con Fast-Fashion si intende il settore che realizza abbigliamento di bassa qualità a prezzi super ridotti e che lancia continuamente nuove collezioni, per intenderci i negozi delle grandi catene che si trovano ormai in ogni città.

Ad un primo sguardo, si potrebbe pensare: “bellissimo, poter acquistare vestiti nuovi ogni volta che voglio a prezzi ridotti”, ma cosa c’è dietro a questa vetrina così attraente?

Vendere abbigliamento a basso costo significa anche produrlo a basso costo ignorando molteplici aspetti riguardo la produzione, a partire dall’impatto sociale con lavoratori sfruttati, sottopagati e con tessuti di bassissima qualità.

E l’impatto ambientale? È altissimo e non più sostenibile ormai da anni, eppure l’industria della moda ‘low cost’ continua inesorabilmente a crescere e, da sola, è responsabile del 10% dell’inquinamento globale, uno dei settori più inquinanti al mondo.

I rifiuti tessili derivanti da questo settore superano i 92 milioni di tonnellate ogni anno e non si tratta solo di prodotti giunti al termine del loro ciclo di vita ma comprendono anche l’abbigliamento invenduto che deve essere eliminato per ‘far spazio’ alle nuove collezioni. Questi scarti, per essere smaltiti velocemente, spesso vengono bruciati oppure mandati nelle discariche.

Una recente ricerca pubblicata sulla rivista Nature reviews Earth and environment  ha esaminato l’impatto ambientale dell’industria tessile, dalla produzione al consumo, concentrandosi, oltre che sui rifiuti tessili, sull’uso dell’acqua, sull’inquinamento chimico e sulle emissioni di carbonio.

I dati emersi sono sconcertanti: ogni anno vengono consumati oltre 1.500 miliardi di litri d’acqua, la lavorazione e la tintura dei tessuti sono responsabili di circa il 20% dell’inquinamento idrico industriale e circa il 35% delle microplastiche che popolano gli oceani è attribuibile ai lavaggi dei capi in fibre sintetiche. Non solo, oggi si producono quasi il doppio della quantità di abbigliamento rispetto a prima del 2000, quando è cominciato il fenomeno della fast fashion.

Una delle principali cause dell’inquinamento dell’industria della moda è data dalla dispersione globale dei processi di produzione: la manifattura si è spostata verso aree in cui la manodopera ha un basso costo e spesso è difficile per i produttori sapere da dove provengano le materie prime e come siano state lavorate mentre il design viene curato in Europa e negli USA. Dopo la produzione, i capi vengono spediti in grandi quantità ai centri di distribuzione al dettaglio e poi ai rivenditori più piccoli, spesso nel Regno Unito, in Europa e negli Stati Uniti. La merce viene spedita con aerei cargo, che permettono di risparmiare tempo soprattutto negli acquisti online, ma che hanno un impatto ambientale notevolmente maggiore e, di conseguenza, più la filiera è lunga maggiore è l’emissione di gas serra.

Fast-Fashion è abiti nuovi, prezzi bassi, capi accessibili: una moda che andrebbe contrastata urgentemente in favore di acquisti più consapevoli e più green con impatto sociale ed ambientale minore.

Dovrà essere una “slow-fashion”, con un approccio diverso dei consumatori nei confronti degli acquisti e, di conseguenza, dei produttori privilegiando capi magari più costosi ma sicuramente più duraturi nel tempo.

È assolutamente necessario rallentare i ritmi di produzione, garantire una maggiore qualità dei prodotti con materie prime di migliore qualità, che di conseguenza conferiranno ai capi di abbigliamento un ciclo di vita più lungo, investire in pratiche più sostenibili, ridurre gli sprechi ed iniziare a pensare alla sostenibilità come ad una priorità assoluta in tutti i settori, anche in quello della moda.

Questi cambiamenti miglioreranno sicuramente la sostenibilità a lungo termine di tutta la filiera dell’industria della moda rendendola molto meno inquinante.

È innegabile che la sfida sia molto complessa, soprattutto considerando i risvolti sociali ed economici.

Un grande cambiamento che colpisce al cuore la cultura del consumismo eccessivo dei nostri tempi che è esattamente ciò che va debellato.

Minarelli Mara – socio fondatore Momentumgreen

 

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