La tassa sui profitti dei big della rete sia reinvestita nelle infrastutture digitali
Questo articolo è stato pubblicato su Leggo [link].
Dopo l'anticipazione rilasciata a Porta a Porta qualche settimana fa, da Palazzo Chigi trapela l'intenzione di anticipare al 2016 l'esazione della "digital tax", l'imposta sui profitti realizzati in Italia dalle grandi piattaforme digitali internazionali.
La legge allo studio non interverrà sull'iva per non ricadere nelle difficoltà della proposta di Francesco Boccia del 2013 e segue una più intensa attività di coordinamento delle politiche fiscali nei confronti delle dotcom che in questi anni ha avvicinato i paesi membri dell'Unione Europea. L'auspicio è che tale imposta inietti maggiore concorrenza tra gli attori e produca risorse da reinvestirsi nel sistema.
In tempi di trasformazione dei modelli di business delle aziende editoriali e media e di fronte all'impatto che giganti dell'ecommerce come Amazon producono nei confronti del commercio al dettaglio è necessario infatti che il sistema trovi il grado di concorrenzialità più trasparente possibile sui fronti del prodotto e del servizio e non rispetto a vantaggi finanziari e fiscali.
Allo stesso tempo è auspicabile che la vera "digital tax" che oggi pagano gli italiani - cittadini, imprese, consumatori - venga ridotta da un saggio reinvestimento delle risorse recuperate con questa tassa all'interno del sistema sia come miglioramento dell'infrastruttura fisica sia come sostegno all'educazione, a più livelli, al miglior uso del digitale.
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