Come i media digitali stanno reagendo alla guerra
Allo scoppio della guerra e prima che gli eventi precipitassero, c’è chi si è sorpreso della scelta, da parte di Google e Meta, di impedire la monetizzazione dei principali gruppi media governativi russi, RT e Sputnik, ospitando sui propri siti la pubblicità raccolta grazie alle soluzioni offerte da tali piattaforme. E chi come Wired, in modo ancor più interessante, ha rilevato che altri siti invece stiano avvantaggiandosi della decisione per diffondere ancor più fake news e propaganda [link].
Nel corso dei giorni successivi, i due canali sono stati poi sospesi in Europa così che non potessero diffondere informazioni propagandistiche e, del resto, Facebook, insieme a Twitter, è stata oscurata in Russia.
La “demonetizzazione” dei canali governativi da Google a Meta, nonostante all’apparenza potesse sembrare una sanzione leggera, ha voluto produrre:
I media digitali hanno reagito allo scoppio della guerra con scelte a volte inquietanti a volte capaci di generare iniziative commoventi: la sospensione in Ucraina della funzionalità di Google Maps che permette di vedere dove ci sono più persone per ragioni di sicurezza come la sospensione delle commissioni su Airbnb che hanno fatto scaturire prenotazioni presso strutture ucraine per sostenerne gli host rimarranno nella storia di Internet.
Nel corso dei giorni della scorsa settimana tali iniziative sono poi cresciute e diventate sempre più radicali, ma la demonetizzazione non è stata la meno rilevante e, al contempo, meno simbolica.
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Se la disinformazione è sempre stata parte delle guerre, quella che viene veicolata online può essere affrontata con strumenti e spunti utili per verificare l'autenticità di una notizia appresa online.
Peraltro la disinformazione, la divulgazione di notizie false, non ha sempre a che fare con attività volte a mobilitare la propria popolazione o deprimere quella avversaria, ma – in qualche caso – a sfruttare il fatto che, per fretta o per interesse, la nostra lettura è poco accorta ed imbattendosi in foto, video e materiale falsi capaci di sfruttare l’emozione del momento, tutti siamo portati a fruirne. Account Instagram come @livefromukraine e @POVwarfare con milioni di follower non hanno nessuna informazione presa sul campo, ma sono gestiti da un ragazzo americano che se ne serve per promuovere account Onlyfans e link a programmi di affiliazione.
Per questo è sempre buona regola non credere ad una notizia se non è pubblicata su almeno due fonti e privilegiare, in questo caso, i media locali come @KyivIndependent.
Strumenti utili poi sono per verificare un contenuto sono dunque:
Dopo due anni di pandemia, abbiamo compreso quanto la condivisione di una notizia online sia in sè un atto di responsabilità: per questo motivo è ancora più opportuno considerarlo in questi delicati giorni di guerra.