La tridimensionalità del professionista
Di recente mi è capitato di rimettere mano a vecchi manuali di sceneggiatura per un nuovo progetto (sempre inerente al digitale, ci tornerò nei prossimi mesi).
Nella costruzione del personaggio una delle regole base è di dare profondità, o per meglio dire, tridimensionalità allo stesso, in modo tale da renderlo più interessante e credibile Infatti, un personaggio monodimensionale risulta piatto e finanche non umano.
Con un audace parallelo, mi sono chiesto:
Ha senso per un professionista avere un brand tridimensionale?
Costruire un brand personale tridimensionale
Mi spiego meglio: sembra essere ormai prassi - specie con i social network visivi - quella di far emergere i propri slice of life, le proprie fette di vita, che sia la foto da un treno in partenza, corredato con tanto di stay tuned; quanto di un video personale come può essere il compleanno del cugino di terzo grado.
Questo tipo di flusso di contenuto, specie il secondo, è pratica comune di qualsiasi essere umano che - per sua natura animale sociale - voglia condividere tramite le piattaforme e far sapere al mondo che esiste.
Nel contempo i social network incoraggiano, tramite astuti richiami sulla piattaforma "cosa stai pensando oggi?" a "condividi la tua prima foto e il tuo primo video!" - chiamasi captologia - questo tipo di prassi.
Tuttavia, quanto questo aggiunge qualcosa al brand personale, alla firma, di un professionista che guadagna dalle proprie competenze e non dall'essere una star da palcoscenico?
Mi risulta più lineare comprendere perché seguire gli slice of life, ad esempio, di un Christian Vieri,di un Gianluca Vacchi, di una Chiara Ferragni su Instagram (che regalano momenti sognanti e da Hollywoo, per dirla con Bojack Horseman, difficilmente raggiungibili per la massa) che quelli di un collega che come me, alla fine della fiera, deve semplicemente mettere insieme il pranzo con la cena.
A meno che non abbia davanti un influencer che lavora con la propria immagine, credo sia quantomeno fuorviante valutare le capacità di qualcuno in base alla qualità del suo stile di vita più che alle effettive competenze.
Tutt'al più perché spesso si tratta di una maschera, un personaggio costruito appunto per rispecchiare i canoni di un sentire comune se non falso, un po' artefatto.
Personalmente ho lavorato circa due anni, con la vecchia agenzia, provando scientificamente a costruire questo tipo di brand.
Il risultato è che, rivolgendosi a un micro-mondo molto limitato, in effetti il ritorno di riconoscibilità è immediato, per quanto poi non è detto che ci sia una convergenza con l'effettiva necessità richiesta.
Di ruote di pavone e ordinarietà
Una volta chiusa quella parentesi, ho preferito terminare il profilo personale e lasciare come baie in questo mare digitale la pagina professionale su Facebook e il profilo di LinkedIn.
Immagino di dare una visione forse monodimensionale, ma l'idea è quella di mantenere una linea editoriale coerente a quanto è possibile offrire professionalmente.
Anche perché, a differenza di tante vite patinate, al di là di questo palcoscenico, ciò che faccio è poco wow: palestra, boxe, videogiochi, film e mangiate. Un'esistenza ordinaria, per fortuna.
A chiosa finale, lungi da me criticare chi lo fa, da libertario sono convinto che ognuno è libero di postare ciò che diavolo gli pare, solo.. cercavo di comprenderne insieme l'effettivo ritorno.
E anche un "mi piace fare la ruota di pavone, Benedé" è una risposta più che comprensibile :)