L’Anoressia, cos'è e quali sono le terapie per combatterla?
Il termine anoressia deriva dal greco “anorexia” che letteralmente significa “mancanza di appetito”. Questa definizione, tuttavia, non è del tutto appropriata: infatti l’anoressia piuttosto che il non sentire la fame, che spesso è in realtà presente e negata dalla persona, è un desiderio patologico di essere magre.
Storicamente il primo studioso a descrivere le caratteristiche di quella che oggi chiamiamo anoressia nervosa fu nel 1500 Simone Porta, medico genovese. Nel 1689 Richard Morton studiò il caso di due adolescenti che rifiutavano di alimentarsi e definì questo disturbo emaciazione nervosa. Durante la seconda metà dell’800 Charles Lasègue parlò di anoressia isterica e William Gull di anoressia nervosa ed entrambi per la prima volta descrissero dettagliatamente l’importante ruolo psicopatologico del disturbo, spostando l’attenzione fino a quel momento centrato sull'origine organica.
La prevalenza dell’anoressia nel mondo, in base a studi condotti nel 2007, è intorno allo 0,5%. In Italia è tra lo 0,2% e lo 0,8%[1]. L’età di esordio è solitamente tra i 12 e i 25 anni (con la fascia più critica che va dai 15 ai 19 anni), anche se negli ultimi decenni sono aumentate le percentuali relative a casi di anoressia in persone sopra i 30 anni. Una caratteristica dell’anoressia è quella di essere un disturbo che riguarda quasi esclusivamente la popolazione femminile, con una percentuale di circa il 90% dei casi.
Per quanto riguarda l’eziologia di questo di disturbo da un lato abbiamo le cause biologiche: il ruolo degli ormoni gastrointestinali nella regolazione neuroendocrina dell’ingestione del cibo e del senso di sazietà, in particolare la grelina, ormone che con un non corretto funzionamento potrebbe essere alla base dell’anoressia nervosa. Da un altro lato abbiamo le cause sociali: infatti avere un familiare che ha sofferto o soffre di un disturbo dell’alimentazione pare essere un fattore predisponente. Infine sicuramente le cause principali sono quelle psicologiche: dalla difficoltà ad adattarsi a cambiamenti ed eventi stressanti alla sofferenza di una delusione d’amore, da gravi difficoltà scolastiche/lavorative a lutti di amici o parenti, dall’alterazione della normale condizione familiare ad abusi sessuali o fisici.
L’anoressia nervosa ha tre caratteristiche essenziali:
- Una persistente restrizione nell’assunzione di calorie;
- Un’intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso;
- Una presenza di una significativa alterazione della percezione di sé relativa al peso e alla forma del corpo.
Le persone con questo disturbo mantengono un peso corporeo al di sotto di quello minimo normale per età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Inoltre l’intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, di solito, non è alleviata dalla perdita di peso: infatti la preoccupazione per l’aumento di peso può crescere anche se il peso diminuisce e spesso il problema centrale si manifesta proprio nel fatto che l’individuo non riconosce il suo sottopeso in quanto la percezione e il significato attribuiti al peso e alla forma del corpo sono distorti. Se molti si sentono globalmente sovrappeso, altri riconoscono di essere magri, ma nella convinzione che alcune parti del corpo, in particolare l’addome, i glutei e le cosce, siano comunque troppo grasse.
Quindi, quali possibili interventi possono essere utili ad una persona con un disturbo da anoressia nervosa?
Prima di tutto è necessaria una terapia nutrizionale che si concentra prevalentemente sull’introduzione nel corpo di 1500-1800 kcal al giorno e una fondamentale educazione alimentare relativa all’importanza, alle caratteristiche, alle proprietà nutritive del cibo. L’approccio farmacologico può essere utile nei casi più gravi o in cui ci sia comorbilità con altri disturbi psicopatologici, ma comunque sempre integrato da una terapia psicologica. A questo proposito vengono prescritti prevalentemente corticosteroidi come il prednisolone o il desametasone.
A livello di intervento psicologico si sono rivelate molto utili sia la terapia familiare che i gruppi di auto-mutuo-aiuto. Anche la terapia cognitivo comportamentale ha mostrato ottimi risultati: questa tenta di modificare l’idea che il peso e le forme corporee rappresentano il solo e principale fattore in base al quale misurare il proprio valore personale. Affronta tre fasi: la prima finalizzata a normalizzare il peso e abbandonare i comportamenti di controllo del peso, la seconda finalizzata a migliorare l’immagine corporea, l’immagine di sé e i rapporti interpersonali, la terza finalizzata a prevenire le ricadute.
Fonte e riferimenti bibliografici:
American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione DSM-5, ed Raffaello Cortina.
Dalle Grave, Come vincere i disturbi dell’alimentazione, un programma basato sulla terapia cognitivo comportamentale, ed. Positive Press, 2012.
http://psicopatologiaalimentazione.it/
[1] Research Laboratories Merck, The Merck Manual quinta edizione, Milano, Springer-Verlag, 2008.