Lavoro agile, alcuni problemi e project management.

Lavoro agile, alcuni problemi e project management.

Il Coronavirus sta spingendo anche le realtà più tradizionalmente legate al tornello ad un modus operandi differente nell’organizzazione del lavoro per i propri dipendenti, così sono nate varie declinazioni del concetto di lavoro agile quasi tutte legate all’attuale stato di emergenza sanitaria e spesso vincolate a prassi non proprio agili.

La situazione di cogente emergenza ha permesso di superare momentaneamente i limiti presenti in alcuni contratti collettivi di lavoro provocando un'accelerazione di tutti i progetti di smart working (o simili) avviati anche nella PA, in particolare il comma 1, art. 87 del Decreto "Cura Italia" (D.L. 17 marzo 2020, n. 18) stabilisce che "Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni".

Però l’applicazione del citato Decreto ha visto l’adozione di forme di lavoro agile ancora vincolate ad un concetto di durata della prestazione e, in molti casi, obbligo di autocertificazione della "presenza in lavoro agile" nei vari sistemi di gestione del personale. Non intendo qui disquisire sul concetto di "presenza" laddove venga meno la presenza fisica del personale dipendente in un determinato luogo dell'organizzazione, certamente registrare la presenza fisica ha importanza soprattutto in alcuni casi di criticità, basti immaginare l’evacuazione di tutte le persone "presenti" (!) dentro un edificio in caso di incendio.

L'accelerazione di un progetto - a condizione che ne esista già uno - porta sempre delle conseguenze in termini di qualità, costo oppure altre dimensioni progettuali vincolate dall'ambito del progetto stesso. Si può tirare la coperta come si desidera ma la dimensione rimane la stessa, quindi coprendo una parte inevitabilmente se ne scopre un'altra. Nessuno sfugge al triple constraint, pertanto questi progetti accelerati al massimo dalla situazione richiederanno eventuali ritocchi futuri per migliorarne sicuramente la qualità (a titolo meramente esemplificativo basti pensare a tutti gli aspetti legati alla sicurezza informatica, alle opportune modifiche contrattuali, al miglioramento dei sistemi ICT, alla formazione del personale per un uso consapevole degli asset aziendali).

Lavoro agile? Forse.

Vestitino del "telelavoro"

In molti hanno l’impressione che il “telelavoro” sia stato vestito da lavoro agile, tuttavia la flessibilità tipica dello smart working è ancora lontana dal realizzarsi. Non si può sottovalutare l’intervallo temporale necessario affinché possa avvenire il cambiamento culturale necessario per il nuovo modello organizzativo del lavoro, il nuovo paradigma manageriale che richiede anche lo sviluppo di una classe dirigente in possesso di maggiori soft skill e competenze differenti.

L’attuale modalità di lavoro che vede moltissime persone chiuse nelle proprie abitazioni, in qualsiasi modo si voglia chiamare, richiede innegabilmente adeguata tecnologia abilitante e l’allontanamento dal pensiero di gestione fordista dei propri collaboratori. I manager devono lavorare con i propri collaboratori condividendo obiettivi e tempi, garantendo loro la fiducia necessaria affinché si possa realmente attivare una collaborazione a distanza che superi il concetto di “presenza” discusso sopra. Altresì, in qualche caso, devono essere aggiornati i sistemi incentivanti ed i sistemi di valutazione del personale per essere funzionali al nuovo paradigma gestionale.

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Pertanto il Coronavirus sta accelerando anche un’evoluzione nella gestione delle persone e del lavoro, in quelle organizzazioni dove il concetto di valutazione della performance stentava a decollare oppure era ostacolato da dinamiche contrattuali (non nego il netto riferimento alle associazioni sindacali) adesso è necessario rivalutarlo in chiave opportuna per favorire la fiducia nel rapporto tra manager e collaboratori.

Problemi? Forse.

Purtroppo "non è tutto oro quel che luccica" e lo smart working non è privo di problemi! L’assenza di un vincolo orario per la prestazione lavorativa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, il lavoratore potrebbe trascurare gli accorgimenti necessari per lavorare in sicurezza aumentando la probabilità di accadimento di burnout. Mentre la limitata possibilità di effettuare le riunioni de visu potrebbe acuire il senso di isolamento dei lavoratori oppure restituire al management una sensazione di mancata collaborazione. Inoltre si deve aggiungere che gli strumenti tecnologici utilizzati non sono sempre in grado di garantire un collegamento "emozionale" fra le persone coinvolte e non permettono l’uso del linguaggio non verbale.

Un'occasione per i project manager? Sicuro!

La gestione dei gruppi di lavoro in regime di smart working, tra l’altro, richiede conoscenze di team building, notevole capacità di problem solving e di delega; si tratta solamente di alcune delle competenze e degli strumenti che fanno parte del bagaglio professionale posseduto dai project manager (basti immaginare alla gestione dei team virtuali estesi anche in continenti differenti).

Pertanto lo smart working amplifica l’esigenza di avere un project management office che sia in grado di fornire supporto ai project manager ed a tutta l’organizzazione, a partire dalla redazione e diffusione di guide per un uso adeguato e sicuro degli asset aziendali alla formazione dei project manager affinché siano in grado di applicare tecniche, capacità e conoscenze utili per favorire il completamento delle iniziative progettuali avviate nell’organizzazione... soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria.

Davide D'Amico

Direttore generale per l’innovazione digitale la semplificazione e la statistica -Ministero dell’istruzione e del merito

4 anni

Interessante articolo e punti di vista! 👏

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