Le buste arancioni dell’INPS e la nostra pensione : il “contratto sociale “ è ancora valido?
Considerazioni attorno ad un grande questione.
Stanno arrivando ai contribuenti italiani le buste arancioni dell’INPS (colore scelto non casualmente, ben visibile, senza incertezza ti dice: “Attenzione ! Guarda bene di cosa si tratta!!): aperta la busta e visionato il contenuto, insorge nel contribuente interessato un mix di emozioni e sentimenti: il contribuente vede, nero su bianco, quando dovrà (potrà) andare in pensione e quale sarà l’assegno che gli spetterà e forse, per la prima volta in vita sua, è posto consapevolmente di fronte ad una realtà, la sua, ma comune a milioni di altre persone, davvero spiacevole e difficile da accettare, ovvero che dopo una vita di lavoro, andrà in pensione molto più tardi di quanto pensava quando iniziò a lavorare e con assegno decisamente più basso di quanto fosse nelle previsioni e nei calcoli.
Tornando ad immaginare ciò che prova il destinatario della busta una volta aperta, ritengo non si possa parlare di vera e propria sorpresa, tanto meno di “fulmine a ciel sereno”… sappiamo benissimo che l’Istituto di Previdenza è in difficoltà ormai da anni, possiamo però immaginare che il mix di emozioni che prova il destinatario della busta sia composto da rabbia, delusione e frustrazione, del tutto legittime…
Superati gli aspetti emozionali della vicenda, la considerazione da fare può essere impostata nei termini della seguente domanda: “Ma il “contratto” che il contribuente stipulò con L’INPS a suo tempo, ovvero quando iniziò a lavorare, ed è tuttora in attività lavorativa, è ancora valido?”
Perché parlare in termini di contratto?
Perché quando il contribuente comincia a lavorare stipula di fatto un contratto con l’INPS: da un lato abbiamo un soggetto, il contribuente/lavoratore, che si impegna a versare all’Inps una parte, chiamata “contributi”, della sua retribuzione, e dall’altro un altro soggetto, l’Istituto di Previdenza, che si impegna, a far data da un certo momento, a restituire alla controparte una determinata somma, chiamata “pensione”.
Al momento della stipula del contratto, ovvero quando il lavoratore/contribuente inizia la sua attività lavorativa, gli aspetti “quantitativi” del contratto sono noti e certi: il contribuente sa quanto deve versare all’INPS, in base alle aliquote contributive applicate alla sua retribuzione; l’INPS sa che tra “n anni”, stabiliti in termini di età pensionabile (vecchiaia e anzianità), dovrà far fronte alla sua obbligazione, ovvero la corresponsione della pensione alla controparte.
Detto ciò, assistiamo oramai da anni ad una revisione degli aspetti contrattuali da parte di un solo obbligato, ovvero l’Istituto, senza che vi sia, da parte dell’altro obbligato, una accettazione e tanto meno una consultazione / condivisione a tal proposito.
In termini pratici, l’INPS di sua iniziativa cambia periodicamente gli elementi del contratto per quanto riguarda il momento dal quale iniziare ad erogare la sua prestazione, ovvero sposta in avanti l’età della pensione, e l’importo dovuto (pensione) , di volta in volta sempre più basso di quello inizialmente pattuito.
Quanto sopra descritto è motivo per affermare che il contratto in essere tra lavoratore e INPS non è più valido.
Ovviamente sappiamo benissimo perché l’INPS si comporta così: le risorse a sua disposizione sono sempre meno rispetto a quanto servirebbe per mantenere i livelli delle prestazioni, le dinamiche demografiche e sociali non giocano a suo favore (l’Italia è un paese che invecchia oramai da anni e non si prevede una inversione di tendenza), la disoccupazione, e quindi la mancata contribuzione da parte dei lavoratori, completa il quadro.
La pensione è pertanto ormai da tempo una grave questione sociale, pronta ad “esplodere” con tempistiche relativamente vicine, si parla del 2030…
Da parte sua l’INPS ha posto in essere questa operazione di marketing (perché di questo si tratta) delle “buste arancioni”, timido tentativo (forse più corretto parlare di test) per cominciare a preparare i lavoratori qualora si concretizzassero, ed è molto probabile che sarà così, gli scenari peggiori: default dell’INPS e smantellamento del sistema previdenziale così come lo abbiamo conosciuto sinora.
Così fosse, chi deve andare in pensione tra 15-20 anni può pertanto legittimamente chiedersi :
- “Ma i miei contributi versati sino adesso e quelli che dovrò versare in futuro, che fine faranno?
- Ha senso continuare a versare contributi quando L’Istituto stesso mi manda dei forti e inequivocabili segnali che minano la mia certezza di percepire una determinata pensione in una determinata data?”
Ritengo siano domande legittime e sulle quali riflettere.
Io di risposte non ne ho.
purtroppo di contratto trattasi......senza nemmeno diritto di recesso
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8 annicomplimenti la questione è ben spiegata e credo non ci siano risposte su questo piano. Forse bisogna cambiare argomento se vogliamo salvare il salvabile. Sia per capire come siamo arrivati dentro questa trappola, sia come uscirne. Suggerisco di riflettere sull'abbinamento x me nefasto di acquisito e diritto, poi sul mercato che ammala il lavoro.