Le sfide per i brand: agire per essere influenti.
Nel mondo della comunicazione e del marketing, un tema che negli ultimi tempi emerge con forza sempre maggiore è quello legato alla presenza delle aziende nel dibattito sociale. Se in passato, infatti, la comunicazione si focalizzava quasi esclusivamente sul prodotto, oggi giorno le aziende sono solite presidiavano la “sfera pubblica” e animarne la discussione.
Se tornassimo indietro nel tempo, alla voce brand e temi sociali troveremmo davvero pochissime aziende impegnate o a sostegno di tematiche universali, quali ad esempio il rispetto dell’ambiente, i diritti umani e la gender equality, i diritti degli LGBT. Al contrario, oggi l’esigenza di differenziare sempre più i brand, ha portato ad una loro personalizzazione e differenziazione nel posizionamento valoriale.
I brand diventano degli attori sociali e non solo commerciali, legittimati a parlare di fenomeni culturali e politici lontani dal core business dell’azienda. Sempre più spesso oggi si sente parlare di Purpose-Driven Brand, ovvero brand che basano la loro comunicazione e il loro modo di fare business su valori che possano avere un impatto positivo e socialmente utile nel mondo.
In occasione della presentazione della ricerca “The Most Influential Brands”, la ricerca Ipsos svolta a livello globale sull’influenza delle marche nella vita quotidiana delle persone, si è voluto studiare l’influenza da una prospettiva diversa e capire se per essere influenti, oggi, i brand sono chiamati anche all’attivismo.
CHE COS’È L’INFLUENZA E COME LA MISIRIAMO
Per capire l’influenza è importante ragionare su cos’è una marca e che cosa rappresenta.
Una marca è un nome. Un simbolo. Un concetto. Un’esperienza. Un modo di vivere. E molto, molto altro. La gran parte della nostra vita è “brandizzata”. Dall’automobile che si guida, al telefono che si usa, dal caffè che si beve, alla carta di credito che si usa per pagare. Nel mondo onnipresente delle marche, alcune si distinguono dalla massa, perché riescono a creare qualcosa di più di una semplice esperienza e perché riescono a suscitare qualcosa di più di una reazione emotiva. Queste marche hanno Influenza.
Ma che cos’è l’influenza? Essere influenti significa avere un effetto, un impatto sulla vita delle persone. Le marche più influenti sono parte della nostra vita quotidiana, della nostra routine contribuendo a renderla migliore, più interessante e più significativa. Essere influenti non è un compito facile. Per essere influenti bisogna essere rilevanti e avere un impatto sul modo in cui le persone vivono. L’Influenza suscita forti reazioni emotive, ispira l’azione, e crea qualcosa con cui le persone si identificano.
Secondo lo studio Ipsos sono 5 le dimensioni chiavi che contribuiscono a definire l’influenza:
Coinvolgimento – Orientamento all’Innovazione - Affidabilità -– Responsabilità Sociale – Presenza.
Coinvolgimento Una marca è una relazione e più le persone sono coinvolte in questo rapporto, più sarà forte l’Influenza che la marca avrà nelle loro vite. Nel mondo di oggi, questo significa che la connessione e l’interazione con la marca si realizza in molti modi diversi e non solo nel punto vendita.
Orientamento all’Innovazione Questa è l’era in cui l’innovazione, la tecnologia e le persone sono collegate. Le marche più influenti sono in grado di creare questa connessione. Segnano e definiscono la strada, si distinguono, e sono un esempio da seguire per gli altri.
Affidabilità La fiducia è naturalmente, la pietra angolare di ogni rapporto. Le marche più influenti sono quelle di cui la gente si fida di più. La gente le usa, si fida di loro, e crede in loro. E quando il consumatore realmente si fida di una marca, presta attenzione a quello che la marca dice ed è disponibile a parlare bene agli altri.
Presenza Per essere influente, devi essere visto, ascoltato e conosciuto. Perché si deve essere visti e quindi conosciuti per essere creduti.
Responsabilità Sociale LE persone si aspettano che le marche influenti forniscano qualcosa di più di un semplice prodotto o un servizio. Devono essere parte di qualcosa di più grande. Questo significa giocare la loro parte nella società, nella cura per le persone e il pianeta, e instillare, esprimere e ispirare un insieme di norme e valori. La gente vuole rispecchiarsi nelle marche che scelgono.
THE MOST INFLUENTIAL BRANDS 2019 – C’ERA UNA VOLTA LA CRS
Nella classifica 2019 del “The Most Influential Brands”, come per tutte le passate edizioni, i fattori che più pesano di più nel far sì che un brand venga considerato influente dai consumatori sono la capacità dell’azienda di saper coinvolgere (30%), la sua propensione all’innovazione (27%) e la fiducia e il senso di affidabilità delle persone rispetto al brand (26%). Non stupisce quindi che nella top ten 2019 siano presenti ancora una volta tutti i big della digital economy e del tech.
Ecco la classifica:
Se i risultati 2019 non sorprendono, perché specchio fedele della società contemporanea in cui viviamo, dove l’innovazione e la tecnologia dominano, non si può non cogliere dall’opinione pubblica e dalla società in generale un forte vento di cambiamento. Per questo nell’edizione 2019 l’analisi si è concentrata proprio sul tema, sempre più centrale, della Responsabilità Sociale d'Impresa (CSR). Infatti, se fino qualche tempo fa, iniziative CSR, sarebbero rimaste tra le pieghe di qualche “sustainability report” aziendale o avrebbero avuto una portata mediatica limitata, oggi sempre di più le marche destinano una quota rilevante dei propri investimenti di marketing e comunicazione per raccontare iniziative sociali.
Se dallo studio emerge che il fattore Corporate Citizenship pesi ancora solo mediamente il 12% nel determinare l’influenza sulla marca, sono stesso i consumatori a chiedere alle aziende un’assunzione di responsabilità rispetto a temi sociali. Il 68% degli italiani, infatti, ritiene che in futuro le marche più di successo, e quindi più influenti, saranno quelle che contribuiranno in modo positivo alla società.
Aumenta il desiderio delle persone di ritrovare nelle scelte e nelle strategie dell’azienda i valori universali con i quali immedesimarsi. Un cambiamento radicale di prospettiva, dunque, se consideriamo che ben il 60% degli italiani afferma infatti di sentire il bisogno di aziende che svolgano un ruolo attivo in ambito sociale, culturale e politico.
Ai brand si chiede di prendere posizione senza temere le conseguenze: lo pensa il 62% degli intervistati d’accordo nell’affermare che se un'azienda sceglie di prendere una posizione forte su un tema sociale o politico non deve temere di perdere consenso o parte della clientela. Anzi, il 79% crede che sia possibile per una marca sostenere una buona causa e guadagnare allo stesso tempo.
Se i consumatori chiedono alle marche di assumersi la responsabilità di essere a tutti gli effetti attori e interlocutori sociali, culturali e politici, le aziende come rispondono a questa sfida?
In generale, la quasi totalità delle aziende dichiara di aver già sviluppato o sta pensando di sviluppare iniziative di responsabilità sociale e brand purpose (91%). Gli scopi a cui prevalentemente le aziende si dedicano riguardano molto spesso temi universali come la sostenibilità dei processi produttivi ed ecologia (75%), il sostegno ad associazioni no profit ed istituzioni (51%) o la salute e ricerca scientifica (38%). Meno affrontati sono invece gli argomenti su cui la società rischia di dividersi come le pari opportunità e i diritti umani (34%).
Dalla ricerca, emerge inoltre, che a fronte di un ricchissimo patrimonio di iniziative in cui le aziende italiane sono protagoniste, ancora poche sono state tradotte in effettive campagne di comunicazione, circa il 10%. Si tratta quindi di un patrimonio inespresso. Ci sono sicuramente diverse motivazioni alla base di questa evidenza, ma è lecito domandarsi se non ci sia anche un po' di timidezza legata all’inesperienza, o per lo meno una certa confusione su cosa significhi esattamente “Brand Purpose”.
Brand promise: un po' di chiarezza
Nonostante il brand purpose sia il mantra del momento, molte aziende si gettano sul tema purpose senza sapere esattamente cosa ciò significa, che implicazioni reali questo abbia a livello di organizzazione aziendale, missione, obiettivi di lungo termine, impatto concreto. Troppe realtà oggi pensano ad una strategia di brand purpose come ad una “normale” attività di marketing, un mezzo per vendere di più, ma evidentemente la cosa non è così banale: richiede un profondo cambiamento culturale all’interno dell’azienda, l’endorsement ed il coinvolgimento di tutti i reparti strategici, dal Management al Marketing, dalla Comunicazione al Corporate Affairs.
Sposare una strategia di purpose non significa fare una buona comunicazione di impatto che parla di un tema sociale. O almeno non significa solo quello. Richiede la creazione di un vero e proprio “piano editoriale” da parte dell’azienda, che deve rappresentare, agire e impersonificare i valori che decide di sposare a 360 gradi e in tutto ciò che fa, sia al suo interno che all’esterno, nei prodotti, nel processo produttivo, nella gestione dei clienti esterni, del proprio personale, nella comunicazione corporate e consumers. Infatti, spesso quelli che vengono definiti purpose-driven brand, in realtà sono “woke brands”, ovvero aziende che decidono di affrontare (spesso attraverso comunicazioni ad alto impatto emotivo) temi di attualità potenzialmente segmentanti, prendendo una posizione più o meno netta per una parte. Spesso queste azioni sono volte a creare conversazioni, a far parlare della marca, a consolidare una parte rilevante del proprio target attorno a quei valori che la presa di posizione della marca esprime. Raramente queste attività mettono a rischio una parte molto significativa del business, in quanto le tematiche affrontate e le posizioni comunicate vengono scelte con cura proprio per assicurarsi di “parlare” alla maggior parte del proprio bacino di potenziali acquirenti e per rafforzare la propria community.
Esempio per eccellenza di questo modello è Nike, che ha aperto la strada al tema purpose attraverso la scelta di Kaepernick come principale testimonial, da cui è scaturita la campagna sui valori del “Dream Crazy”. Kaepernick è stata indubbiamente una scelta divisiva, per la sua presa di posizione contro le violenze verso la comunità di colore, pagandone in prima persona le conseguenze, con il licenziamento da parte della NFL e di fatto la fine della sua carriera sportiva. Nike, scegliendolo come testimonial, si è schierata al suo fianco, facendo discutere molto e suscitando forti reazioni contrarie da una parte di consumatori più conservatori. Ma – intelligentemente – Nike non ha “usato” Kaepernick parlando delle violenze sulla comunità di colore, ma come rappresentante del “Dream Crazy” ovvero della “Big Idea” del “sacrifica tutto per rincorrere i tuoi sogni”. Un concetto molto più trasversale e meno divisivo rispetto a quanto Kaepernick ha voluto rappresentare con il suo gesto. E questo tema è stato poi successivamente sviluppato da Nike in ulteriori campagne pubblicitarie, parlando di Gender Equality e rappresentando storie di personaggi che sono stati in grado di sognare follemente e raggiungere i propri sogni.
Diverso sarebbe stato se – a seguito della scelta di appoggiare Kaepernick – la stessa Nike avesse ad esempio rinunciato a sponsorizzare la lega NFL, dato che la stessa aveva licenziato l’atleta. Questo avrebbe significato il passaggio da “woke brand” a “brand activism”, ma sicuramente l’impatto economico negativo di questa scelta sarebbe stato enormemente maggiore.
Avrebbe più senso, quindi, parlare di purpose come azione e non solo come “racconto”.
Agire per far cambiare le cose in un determinato ambito, essere parte attiva e proattiva del cambiamento. Adeguare e cambiare il proprio business model con l’intento di avere un impatto concreto sulla società. Questa è un altro aspetto – più sostanziale – di purpose. Esempio in questo senso il brand Patagonia, da sempre in prima linea su tematiche legate all’ambiente e alle tematiche di climate change, che agisce concretamente devolvendo una parte significativa dei propri introiti per queste cause, comunicandolo, prendendo decisioni difficili (es. scegliendo di non sponsorizzare eventi non ritenuti in linea con quei valori).
Un brand che sposa il purpose inteso come “Brand Activism” si coinvolge in prima persona per educare, informare, modellare certi comportamenti, spostando risorse dal classico marketing plan ad azioni concrete che possano avere un impatto immediato sulla comunità (micro o macro che sia) cui si rivolgono.
In questo senso davvero le aziende e i brand affiancano o sostituiscono istituzioni più canoniche (es. istituzioni pubbliche, scuola, PA, ecc.), assumendo dunque un ruolo economico, sociale e politico a volte centrale. E questo apre nuove opportunità di confronto e di dialogo con i propri consumatori, ma più in generale con la società, che in un certo senso oggi si “aspetta” questo genere di coinvolgimento e partecipazione da parte delle marche, che ci accompagnano quotidianamente e sono così importanti per noi.
Conclusione
Per le marche la sfida è riassunta efficacemente in una frase di Philip Kotler e Christian Sarkar (Finally Brand Activism – Philip Kotler, Christian Sarkar): “il posizionamento non è più sufficiente nei nostri mercati altamente competitivi”. I consumatori oggi mostrano maggiori aspettative rispetto al passato: richiedono alle marche di prendere posizioni che riflettano i propri valori e cercano aziende percepite come “autentiche”, in grado di trascendere mercato e profitto.
Se da un lato I consumatori oggi richiedono alle marche di prendere una posizione valoriale forte, dall’altro stentano a credere all’autenticità delle dichiarazioni dalle aziende.
Di conseguenza, comunicare un messaggio rilevante e coerente con la marca e identificare un’idea creativa forte, capace di catalizzare l’attenzione, non è semplice. È una strada che necessita di coraggio ma anche di precisione, capacità di catturare il giusto insight e tradurlo in un’esecuzione potente. L’aspettativa dei consumatori di trovare brand allineati ai propri valori personali è una sfida per ogni azienda. Ma è anche l'opportunità di dimostrare agilità competitiva, costruendo relazioni più autentiche e redditizie con i propri clienti. Per questo è arrivato per le marche è arrivato il tempo di agire. È il momento che si assumano la responsabilità di essere a tutti gli effetti attori e interlocutori sociali, culturali e politici. Emerge l’opportunità, la legittimazione e in un certo senso il dovere, di esporsi, di prendere posizione, di raccontare il proprio credo e i loro valori e di agire concretamente per lo sviluppo culturale e sociale della comunità. Ed è possibile che tutto questo farà di un “semplice” brand un Most Influential Brands.
Nota: Testo pubblicato su: Seo & content. Fare business con i contenuti di Salvatore Russo e Ale Agostini, edito da Hoepli, marzo 2019.
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4 anniUn contributo prezioso, ci tenevo fortemente, grazie mille a te e a Ipsos per il vostro sostegno.