Li e Hakan la strana coppia con la Cina a bordo Volvo torna leader
Dividendosi i compiti il duo formato dal miliardario cinese shufu, patron della geely, e dal manager svedese samuelsson È riuscito nell’impresa di rilanciare il marchio che sembrava condannato dopo l’infausta parentesi della gestione ford
Andrea Tarquini
Stoccolma
Vite Parallele: cosí Plutarco intitoló la prima serie di libri di qualità scritti anche per il grande pubblico, secoli e secoli fa. A volte vite parallele s’incontrano, e danno vita a un successo economico e di brand nel cui revival nessuno credeva piú nel mondo globale. Magari grazie all’intesa, immediata e mantenuta viva anche a distanza grazie a telefonia mobile e web, tra due personaggi che in apparenza sono diversissimi. Questa è la storia del supermanager svedese Hakan Samuelsson e del miliardario cinese Li Shufu. Il primo ceo di Volvo, il glorioso marchio nato nel 1927 ma che caduto in mano a Ford sembrava condannato a un declino inesorabile, e sempre piú incapace di rincorrere la tradizionale concorrenza delle limousines premium tedesche (Bmw, Audi, Mercedes) e delle nuove supercar di lusso e superqualità giapponesi, a cominciare da Lexus, il marchio premium del gigante chiamato Toyota. Il secondo cominciò a guadagnarsi la vita come fotografo, negli anni in cui sconfitti gli ultrà fanatici della “Banda dei quattro” il “piccolo Grande uomo” Deng Xiaoping salvó la Cina dicendo ai suoi compatrioti: “Compagni, arricchitevi”,e la trasformó in superpotenza globale competitiva in fase di sorpasso verso gli Stati Uniti su tutto, dall’auto agli armamenti, fino all’intelligenza artificiale.
Hakan Samuelsson e Li Shufu si capirono subito, dagli anni tra il 2010 e il 2012, e adesso seppure abbiano poco tempo per incontrarsi volando undici ore di volo tra Regno delle Tre Corone e Repubblica popolare, si sentono piú spesso che mai grazie a skype e al web. E non cessano di elaborare piani comuni per continuare a crescere e a fare utili insieme. Grazie all’arrivo del grande investitore cinese, Volvo, che sembrava in decadenza senza fine, oggi sta meglio che mai, apre di continuo nuovi impianti negli Usa, ovviamente in Cina e nella stessa Svezia, lancia di continuo nuovi modelli sempre piú smart che fanno tremare i grandi concorrenti germanici e nipponici sui mercati globali. E dal 2025 pensa a produrre soprattutto ibrido ed elettrico. In sintonia con le strategie di sistema-paese sviluppate sia dall´iperindustrializzata a potenza-guida del Grande Nord, sia dalla dirigenza di Pechino sotto la guida del presidente Xi Jinping.
S’incontrarono in tempi difficili per entrambi, Hakan e Shufu. La Volvo era stata rovinata dal suo acquirente Ford, che ossessionato dal taglio dei costi di produzione aveva imposto al glorioso marchio svedese chassis e parti in comune con le berline di massa americane, e limitato al massimo gli investimenti a disposizione per tecnologia e design. Cioè per quelle caratteristiche dal 1927, e ancor piú dal boom postbellico di Volvo e del made in Sweden in generale in Nordamerica e sui nascenti mercati globali, avevano creato simbolo e immagine: grandi auto familiari ma anche sportive, adatte all’uso quotidiano e ai lunghi viaggi con tutta la famiglia. Oppure coupé indimenticabili, a due porte o col portellone posteriore, antesignani di capolavori di design come la non dimenticata Lancia Hpe. Dalla serie 124 alla mitica 144-244 poi sopravvissuta per decenni come Polar, specie in versione station wagon, la Volvo era sinonimo di scelta fatta tutta di qualità ed elegante understatement.
Ma alla Ford tutto questo non interessava. E vennero gli anni bui, gli anni delle vacche magre: modelli privi di appeal, calo della qualità, crollo delle vendite. Fu in quel momento che Hakan Samuelsson, un manager che fino ad allora aveva fatto carriera nel comparto veicoli pesanti, prese la guida del marchio delle tre corone.
Circa undici ore di volo piú a est, Li Shufu sgomitava infaticabile. Da fotografo era divenuto -, con scommessa coraggiosa come molti oscuri ma infaticabili capitalisti rossi cinesi che, eroi ignoti del decollo dell´Impero di Mezzo e figli audaci della rivoluzione di Deng, avevano letto piú Max Weber che non Marx, Engels, Lenin o Mao ed erano fieri che Deng fosse stato preferito da Time a Gorbaciov come uomo dell´anno - tempo prima aveva fondato la sua azienda d’auto. All’inizio, appena la numero 36 tra i tanti marchi cinesi delle quattro ruote. Si chiamava e si chiama ancora Geely (in sigla completa: Zhejiang Geely Holding Group). Geely è una parola che piú o meno indica qualcosa di buon auspicio. E se la fortuna aiuta gli audaci, Li SHufu ebbe fortuna: cominciò a far soldi costruendo improbabili, semplici e rumorose utilitarie per quei suoi molti concittadini che all’alba del boom creato da Deng compravano la prima auto. Magari piccola, scomoda e piena di difetti e inquinante, ma capace di dar loro quel senso di libertà offerto dalla mobilità privata a quattro ruote.
I due s´intesero subito, si piacquero. Li Shufu, che voleva sviluppare un percorso di crescitya, seppe superare ogni diffidenza iniziale, Hakan Samuelsson si convinse subito che il fotografo cinese divenuto miliardario con semplici auto di massa sarebbe stato il partner giusto. Perché la proposta dell’azienda dell’Impero di Mezzo fu chiara e leale fin dall’inizio, e fin dall’inizio apparve il contrario della schiavitú imposta da Ford, insomma l’ancora di salvezza. Noi investiamo alla grande da voi, voi tornate a progettare al meglio come sapete fare da leader della Scandinavia. E faremo soldi insieme in tutto il mondo, fu in sostanza l’offerta del minuto ex fotografo sempre vestito austero di scuro, che conquistò subito un sí con un sorriso sul biondo vichingo volto di Hakan.
Geely compró Volvo da Ford per una somma ritenuta allora bassa dal mercato, chi sa se il marchio americano poi se ne è pentito. Perché da allora Hakan Samuelsson ha sempre avuto luce verde e cassa di guerra a palate per puntare al massimo livello tecnologico.
Il marchio che dagli anni quaranta e cinquanta era simbolo di avanguardia nei sistemi di sicurezza con doppi circuiti frenanti migliori di quelli tedeschi e cinture di sicurezza a tre punti d’attacco tornó all’avanguardia. Nella sicurezza, nel design, nelle prestazioni. Fino a introdurre dispositivi che ti liberano dalla schiavitú di ricordare quando un tagliando è necessario, fino a sostituire le costose, vecchie linee di produzione di motori a 5 o 6 cilindri con strepitosi 4 cilindri capaci di sviluppare 300 cavalli di potenza. E fino a lanciare sia dispositivi per guida assistita o automatica, sia progetti di auto ibride elettriche per un futuro già cominciato, sia una nuova gamma di grande glamour. Dalle nuove splendide berline e station wagon ai Suv preferiti a ogni concorrente sul mercato nordamericano.
Risultati, record storici per il 2017, ovviamente ultimo anno di dati disponibili: 551.577 auto vendute, utili al massimo da sempre per 1,76 miliardi di dollari, nuovi impianti costruiti o in costruzione in Nordamerica, Svezia e Cina. «Con loro abbiamo imparato cosa vuol dire premium e alta tecnologia, prima dell’intesa con loro erano per noi mondi sconosciuti». E cosí grazie all´amico Hakan, Li Shufu ne ha fatta di strada. Geely ha acquisito una partecipazione dell’8,7 per cento in Daimler, la casa delle prestigiose Mercedes, e il 51 per cento di Lotus in UK. Adesso i cinesi insieme a Hakan pensano a partecipazioni incrociate Volvo-Mercedes con scambio di motori e alte tecnologie. «Chissà quante autostrade abbiamo davanti», fanno dire i due dai loro portavoce.
Come nell’aerospaziale e nella Difesa, per la Svezia ipercompetitiva che deriva dall´export di eccellenze industriali e internettiane il 50 per cento del suo prodotto interno lordo, anche nell’auto il segreto è aprirsi a partner e investitori leali come i cinesi senza paura di perdere sovranità. Hakan e Shufu, quei due amici cosí diversi, ne sono conferma incarnata.