L'ignoranza scusa?
Lo scorso anno uno dei miei figli ha avuto un problema di salute che di per sé non era grave, però lo è diventato perché la trafila di esami e specialisti si è trascinata per otto mesi, prima che un osteopata trovasse la causa di tutti i disturbi, dopo pochi minuti di visita. Una volta che ne siamo usciti, mi sono resa conto che uno dei punti deboli della vicenda è stata l’incapacità di alcuni medici che abbiamo incontrato di ammettere che non erano in grado di dare delle risposte. Alcuni hanno ammesso umilmente di non riuscire a capire quale fosse il problema. Altri no, hanno prescritto esami, fatto le più svariate ipotesi, anche contraddicendo i dati che avevamo raccolto, ma dire “non lo so” o “non è un problema di mia competenza” non era chiaramente tra le loro opzioni. Si possono fare molte riflessioni su questo, ad esempio sull’orgoglio professionale, del quale ho parlato nel video precedente. Però fatti come questo ci pongono anche di fronte al problema generale dell’ignoranza, della mancanza di conoscenza.
Non è raro incontrare persone che non hanno le competenze necessarie per svolgere il loro lavoro, o anche solo per un certo compito specifico. Che cosa dobbiamo fare quando ci lavoriamo gomito a gomito o quando dipendono da noi? È sufficiente cercare di sopperire in qualche modo, così che qualcun altro si accolli quello che non sanno fare o metta una pezza ai danni che fanno? Oppure bisogna fare qualcosa? In altre parole, l’essere ignoranti scusa?
Per rispondere a questa domanda penso che sia importante distinguere fra tre tipi di ignoranza:
1. In primo luogo, c’è l'ignoranza di chi ha dei limiti cognitivi o derivanti dalla sua preparazione professionale, che ad esempio gli ha fatto acquisire delle competenze e non altre. In entrambi i casi, questo tipo di lacuna non è colpevole. Se, come spesso accade, quella persona non può colmare la propria ignoranza, la soluzione, allora è quella di assegnarle il ruolo giusto, dunque di chiederle quello che può dare e scusarla per quello che non può. In ogni caso, però, la serietà professionale richiede che l’ignorante in questione impari a riconoscere a ad ammettere i propri limiti.
2. Esiste, poi, l’ignoranza del lavativo. Questa è quella di chi è incompetente, lo sa e se ne disinteressa, o addirittura ci marcia per evitare di fare il suo lavoro. In questo caso esiste il dovere etico di fare qualcosa per rimediare: colleghi e superiori hanno la responsabilità morale di intervenire.
3. La peggiore di tutti, però, è l'ignoranza dell'arrogante. Costui non ammetterà mai di dover colmare le proprie lacune. Generalmente è opportunista e irresponsabile, dunque cerca intenzionalmente di mascherare di essere ignorante, ma è anche presuntuoso, ritiene di essere più furbo degli altri. In questo caso solo chi gli sta sopra può intervenire e ne ha, anche in questo caso, l’obbligo morale, perché l'impunito, oltre a danneggiare la reputazione dell’organizzazione per cui lavora, può fare gravi danni. Per quanto possa essere sgradevole prendere una posizione, esistono due criteri basilari che valgono per la valutazione etica in generale e si applicano anche in questo caso: bisogna guardare la situazione a lungo termine e considerare tutte le persone coinvolte. È facile comprendere che se l’ignorante causa dei danni, chi non l'ha impedito ne è corresponsabile.
Quando l’ignorante siamo noi, e qualsiasi sia la nostra professione, ci sarà certamente qualche aspetto in cui lo siamo, forse ci può incoraggiare una distinzione di Bob Lee. In Trust Rules dice:
"L’opposto di competente non è sempre incompetente. Talvolta è non competente e c’è un abisso tra i due. Incompetente implica una carenza estrema – la mancanza delle capacità necessarie per fare quel lavoro – mentre non competente significa solo che non ci sei ancora."
Quando non sappiamo qualcosa, la cosa più importante, insomma, è rendersene conto, almeno possiamo rimediare. Per questo, quando un collega di buona volontà ce lo fa notare, ignorarlo è da stolti.
Dipendente dell'Università degli Studi di Milano
6 anniAbitualmente prima di scusare l'ignoranza (talvolta impossibile!) o arrivare con la lezione cattedratica provo a formulare una serie di domande - che io definisco come un piccolo 'assedio' - per comprendere meglio: 'ci fai' o 'ci sei'?