Ma in pratica questo Smart working come deve essere?
Questo rientro in ufficio, come ce lo vogliamo immaginare? Certo, chi lavora in fabbrica o fa un servizio al pubblico deve necessariamente fare ragionamenti diversi, ma per quelli che fino a febbraio 2020 si facevano una o due ore di tangenziale, autostrada o raccordo per stare chiusi otto-dieci ore in un ufficio davanti a un pc, salvo pause caffé e pranzo, come se lo devono immaginare il futuro? Ancora per un po’ - un bel po’ - il distanziamento sociale ci imporrà di occupare gli spazi in maniera parziale. 10%? 20%? Ma se ognuno di noi va in ufficio normalmente per lavorare con massimo 10, 15 colleghi, che senso ha andarci per incontrarne uno o due?
Quindi spazio alla fantasia. Personalmente immagino un ufficio tutto diverso. Un luogo in cui recarsi solamente per passare tempo di qualità con i colleghi. E il tempo di qualità tra colleghi, per me, è tempo dedicato alla co-creazione di un domani migliore. All’invenzione e all’attuazione di prodotti e servizi migliori, processi più efficienti e più efficaci, modi di lavorare e relazionarci gli uni gli altri che migliorino la qualità della vita dei lavoratori.
L’opportunità di reinventare gli spazi di lavoro come luoghi belli, ecosostenibili, vivibili e creativi di progettazione condivisa e “agile” di un futuro migliore a mio avviso è una delle più grandi opportunità che ci offre il new normal.
Agile perché non possiamo pensare di vederci due - quattro volte al mese per mezza giornata (questo è il target secondo me) per chiacchierare di massimi sistemi e lasciar cadere tutto nel vuoto. Ci vuole metodo per tradurre le idee in pratica e qui le metodologie agile potranno essere di enorme aiuto. Lo scrum per esempio può essere un modello determinante se applicato a team “Interdisciplinari di scopo” di dimensioni corrette.
Più ci ripenso, e più l’idea di far fare a milioni di lavoratori due ore di traffico al giorno per poi chiuderli in uno stanzone per 8 ore mi sembra una forma di tortura medievale. Come abbiamo potuto pensare che la collocazione fisica di un essere umano in un dato luogo per un arco temporale predeterminato potesse essere il metro di misura del suo contributo al sistema economico e sociale?
L’occasione per ridiventare padroni del nostro lavoro ed emanciparci dalla schiavitù del dualismo “orario subordinato - tempo libero” è quindi troppo grande per essere sprecata. Certo, richiede anche la definizione di una cultura condivisa del rispetto dei bisogni personali e famigliari di tutti, e specularmente un’etica del lavoro che ostracizzi attivamente l’abuso della flessibilità a danno degli altri. Certo, impone una riflessione profonda sui modelli di distribuzione del valore creato, perché il lavoratore che diventa sempre più co-imprenditore va coinvolto in questa distribuzione in modo equo, e l’andamento degli indici di concentrazione della ricchezza sono lì a dimostrare quanto questo problema sia ancora irrisolto. Ma è ancor di più per questi motivi indispensabile cogliere l’occasione. E la reinvenzione del rapporto con lo spazio condiviso del lavoro, e col tempo ad esso dedicato, è un primo passo in questa direzione.
Sicuramente richiederà impegno, e una maggior partecipazione di tutti alla costruzione di un “senso comune”. Ma d’altronde, Gaber lo diceva. Libertà è partecipazione. A me sembra un prezzo piccolo da pagare.
Talent & Development Senior Manager presso INWIT S.p.A
4 anniCondivido pienamente quanto hai scritto. Chiaramente, se ben applicato, il tema si riversa anche sulla questione della concezione familiare e del ruolo della donna come lavoratrice e madre, oltre che al problema demografico italiano. Insomma si aprirebbero soluzioni davvero interessanti sotto diversi punti di osservazione.
People Communication Professional & Recruiter at IGT
4 anniCiao Lorenzo, condivido in pieno la tua proposta, forse aggiungerei uno o due giorni in piu’ di presenza fisica, ma si tratta di un dettaglio. Penso che la vera sfida sia, non tanto lavorare in questa direzione in aziende gia’ emancipate e per certi aspetti gia’ instradate su questo percorso, ma cominciare piano piano ad introdurre questa cultura e questo modo di lavorare in contesti organizzativi stratificati e tradizionali in cui il rapporto lavorativo e’ rimasto legato al concetto puro e semplice di subordinazione/ prestazione oraria. E penso ad esempio anche alla pubblica amministrazione, al parastatale, ad ambiti, se vuoi lontanissimi, il cui operato ricade sull’intera comunita’ e di cui la comunita’ stessa si lamenta costantemente, per l’inadeguatezza e l’inefficienza. Per anni abbiamo pensato che la privatizzazione fosse la soluzione a tutti i problemi. Oggi ci rendiamo conto che non e’ cosi’, che non basta mettersi addosso un cartello con su scritto privato, che i cambiamenti passano prima di tutto attraverso le persone e i processi agiti dalle persone. E come si fa ad introdurre il cambiamento fra persone che probabilmente non conoscono nemmeno il significato di questa parola? Lascio la domanda volutamente aperta...
Transformation Director | Head of Transformation Office - Implement Vision - Enable Change - Make Transformation benefits real.
4 anniCiao Lorenzo, lavoro da 5 anni nella modalitá che indichi nel tuo articolo e la mia azienda da diversi anni ha adottato questa soluzione per alcuni profili, specialmente quelli che lavorano su progetti che richiedono coordinamento contemporaneo di molti teams localizzati in varie parti del mondo, o che richiedono presenze temporanee in un territorio. A lavorare in questo modo sono ormai abituato da tempo e non tornerei mai indietro: tuttavia devo dire che all´inizio (diciamo i primi 6-8 mesi) ci fu un robusto investimento di tempo speso in viaggi per conoscere la realtá dell´azienda in cui operavo e allacciare relazioni professionali vere e fruttuose con i vari colleghi. Quello che ti posso dire é che prima della crisi vedevo dovunque una chiusura ideologica sullo smart working. Adesso sembra che quasi tutto si possa fare on line. La veritá sta nel mezzo, e comunque non consiglierei mai di inserire una nuova risorsa in un team senza avergli fatto fare una adeguata esperienza fisica a contatto con i colleghi con cui deve lavorare, perché la tecnologia ad oggi non ci consente di digitalizzare la fiducia e l´empatia. Sono cose che si sviluppano guardandosi negli occhi senza avere un computer a fare da intermediario. Poi una volta create, ci sono margini enormi di efficientamento delle attivitá di progetto se si hanno in squadra professionisti molto strutturati e competenti. Ci sarebbe molto da aggiungere e sviluppare (5 anni di lavoro agile sono stati una miniera in termini di apprendimento) ma per adesso mi fermo qui. In bocca al lupo.