Made in Italy: quale definizione è corretta, se si parla di prodotti alimentari?

Made in Italy: quale definizione è corretta, se si parla di prodotti alimentari?

Le Etichette d'origine sui salumi, per effetto di un decreto, dovranno specificare l'origine della materia prima. Vittoria degli allevatori e - a detta di molti - del consumatore. Dove finisce però il made in Italy, in questo caso? Dov'è la capacità di trasformare, dare valore aggiunto? Sicuri che sia la direzione giusta?

Nei giorni scorsi è stato deciso che da oggi, in realtà, nel prossimo futuro ovviamente, sui salumi prodotti in Italia, dovrà essere citata l'origine della materia prima (carne suina), identificata col paese di origine appunto. Nascita, allevamento, macellazione...insomma, s'è capito.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Si svilisce la forza del marchio 'fatto in Italia' per prodotti che senza la lavorazione sostanziale, fatta di esperienza, lavoro, sacrificio (della durata a volte anche di 2 anni, viste le lunghe stagionature), sarebbero semplici pezzi di carne. Sì perché, a dispetto di quel che dice Coldiretti, dall'estero non arrivano 'prosciutti stranieri' che diventano prosciutti italiani: arriva carne da lavorare. E non diventa prodotto a valore aggiunto da sola. E non è il risultato degli scarti di altri, ma quello di un'attenta selezione dei produttori, per avere una materia prima ideale da far diventare salume. C'è chi cerca il pepe in Sudamerica, il sale dell'Himalaya, le spezie più assurde in giro per il mondo, o dietro casa, certo. Non sempre lo fa perché manca la materia prima qui (o pensate che ci manchi il sale?), ma perché ritiene che il suo prodotto, si faccia meglio con quel preciso ingrediente. L'origine italiana di un ingrediente, non lo fa diventare necessariamente un prodotto migliore. Poi se non ce n'è abbastanza...

"I produttori italiani di salumi utilizzano già tutta la materia prima nazionale disponibile, ma questa non è sufficiente per soddisfare il fabbisogno produttivo ed è necessario, quindi, approvvigionarsi sul mercato comunitario. A questo proposito, è utile ribadire il ruolo essenziale dei produttori che sanno scegliere e trasformare la materia prima più adatta, ottenendo così i nostri famosi prodotti di salumeria esportati in tutto il mondo”, ha detto il direttore dell'associazione italiana di categoria dei trasformatori, cioè salumifici e affini.

La questione non è di poco conto: cos'è il made in Italy, dunque? Cosa si può dire, fatto in Italia? Un prodotto, lavorato (non parliamo di verdure che nascono e si consumano tal quali), con soli ingredienti 100% italiani, fatto qui, o un prodotto che subisce la sua sostanziale trasformazione, nonché gli ultimi passaggi di questa lavorazione, qui in Italia? Perché se si tratta di salumi, considerando la carne di maiale un ingrediente (il principale), la lavorazione avviene interamente in Italia. Non arrivano salami già tritati e insaccati, a finir di stagionare qui. Nè cosce di prosciutto avviate alla stagionatura o pre-salate. Lasciamo perdere gli esempi con i prodotti cotti (mortadelle o prosciutti cotti...) che sono passati in cottura altrove per poi finirli di produrre qui.

Penso al pane dei centri commerciali, 'dorato qui da noi in negozio'....sì, ma fatto e surgetalo in Romania, amico mio. Eppure...

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

O al caffè napoletano, l'esempio che faccio sempre: da poco candidato a Patrimonio dell'UNESCO, senza avere all'interno un chicco di caffé italiano. "Eh ma il caffè, la pianta, qui da noi non c'è." Lo so bene, a quanto pare, nemmeno i maiali. Cioè...non sono abbastanza. E che dire dei prodotti di pasticceria, delle merendine...che pure in molti casi promuovono un'italianità che, stando all'impostazione data a questa nuova misura per i salumi, non potrebbero ostentare. Io quando guardo a un prodotto, cerco la garanzia del produttore, il suo nome è per me l'assicurazione più grande. Ovviamente, la questione della sicurezza alimentare non è in dubbio, mai. Qui parlo d'altro.

Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagine

Lasciamo stare la moda italiana poi, famosa e copiata in tutto il mondo, che cerca materie prime da lavorare e far diventare abiti, in tutto il globo. Ci sono addirittura figure di scouting nelle maison più rinomate, che girano alla ricerca di filati e materiali unici, che qui, non esistono. e sono fra i più pagati, peraltro. Lo stesso per i profumi. "Ah ma vestiti e profumi, mica li ingerisco!", mi hanno detto alcuni. Bene, ma la differenza dov'è? Perché non posso mettere made in Italy se quel prodotto è risultato del mio genio, della mia esperienza, della mia ricetta? Se lo faccio secondo la tradizione di famiglia, partendo da un ingrediente o semilavorato che ha caratteristiche precise, scelte da me e in linea con tutte le migliaia di altre leggi che già esistono? Dov'è finita la nostra capacità di selezionare le migliori materie prime, per fare eccellenze? Perché questa discriminazione?

Le aziende, come sempre, si adegueranno. Si sono adeguate a tante regole e leggi incomprensibili, lo faranno anche con questa, figuriamoci.

Pensiamoci bene però: se questo andazzo prosegue, finiremo per castrarci da soli, per avere prodotti italiani che a un certo punto, non troveremo più, perché non si potranno produrre. O magari con prezzi elevati, perché non siamo esattamente un paese di allevatori né di produttori di materie prime. Ci taglieremo le gambe da soli, festeggiando perché finalmente, il made in Italy è al sicuro da tutto, da imitazioni, speculazioni...ma non da noi stessi.


Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate