Manager che studiano
Tutti sono d’accordo che per ruoli manageriali, oltre alle conoscenze tecniche, siano fondamentali anche le competenze relazionali come leadership, capacità di lavorare in gruppo, capacità motivazionale, creatività ecc.
Il problema è che spesso si tende a pensare che queste siano competenze innate, che non abbiano a che fare con lo studio e la conoscenza, ma sia sufficiente una certa naturale predisposizione.
Ma al di là di parole generiche proviamo a rispondere in concreto a queste domande.
- Quali sono i modi migliori per motivare le persone?
- In quali casi gli incentivi economici sono controproducenti?
- Come governare i comportamenti di un gruppo di lavoro?
- A quali condizioni si può favorire l’innovazione?
- Come gestire e fare evolvere in modo positivo i conflitti?
Sono domande dove il carattere e la predisposizione da sole non bastano, ma è necessaria una conoscenza approfondita che richiede tempo e studio, non semplice intuito e improvvisazione.
Su questi temi Francesco Zanotti, aveva scritto un bel pezzo su questo tema intitolato Navicella spaziale artigianale.
Tutti concordano - scriveva Zanotti in quel post - sul fatto che per progettare una navicella spaziale servono tante conoscenze che provengono da diverse scienze.
Nessun ingegnere può essere assunto alla NASA solo perché ha fatto, senza alcuna conoscenza fondamentale, esperienza.
Mi si obietterà: certo l’esperienza può sostituire la teoria. No! Solo se si è superficiali, lo si può pensare.
Nessun ingegnere farà mai alcuna esperienza senza prima dimostrare di conoscere la matematica, la fisica … e tutto il sapere “sociale” (frutto della ricerca mondiale) della sua particolare specialità ingegneristica.
E nel management? Ci si accerta che i manager (e lo si fa tanto più il ruolo è importante) dispongano di tutte le conoscenze più avanzate di scienze cognitive, psicologia, psico-sociologia, sociologia e antropologia? O no?
E se, anche usando tutte le conoscenze disponibili anche le più sofisticate navicelle hanno incidenti, troverete la ragione perché le organizzazioni oggi hanno quasi solo e soltanto incidenti: crescita dei conflitti, perdita di capacità di generare risultati.
La ragione è che, invece che di conoscenze avanzate per progettarle si usano conoscenze banali. E, poi, parliamo di crisi.
In realtà – conclude Zanotti – invocare la crisi è solo un modo per scaricare la coscienza: è la nostra “non conoscenza” che genera le crisi in cui viviamo. La supereremo quando cominceremo ad usare le conoscenze esistenti.
Ritrovo riflessioni similari anche in un bell’articolo di Alessandro Cravera sulla leadership pubblicato su Il Sole 24 ORE del 13 novembre 2018: “Siamo sicuri che i leader debbano avere un pessimo carattere?“
Cravera sottolinea come nella teoria viene proposta un tipo di leadership molto diversa da quella che troviamo esercitata dai CEO di molte imprese.
È possibile – si chiede Cravera – che tutto ciò che si legge sulla leadership sia retorica buonista rispetto ad un mondo reale in cui il leader che si impone è quello autoritario, dispotico, fortemente orientato agli obiettivi e poco incline all’empatia? Forse è sbagliata la teoria?
Se vediamo i problemi delle aziende forse la teoria è giusta ed è sbagliata la pratica.
Il disinteresse dei CEO per gli aspetti relazionali – continua Cravera – può determinare la generazione di un ambiente fortemente competitivo e stressante che può generare ripercussioni negative sui flussi di comunicazione interna, sulle sinergie organizzative e sui processi di innovazione e dato ancora più preoccupante le ripercussioni sulla competitività delle imprese sono estremamente negative.
E’ evidente che non basta la lettura di un libro o un breve seminario. Concordo con Giacomo Chiti quando in un post su Linkedin afferma che le soft skills si migliorano solamente quando si mettono davvero in discussione le proprie convinzioni ed i propri comportamenti. E spesso ciò è reso possibile dai momenti di profonda crisi, di cambiamento e dalle situazioni dolorose.
Non è sufficiente frequentare un corso, per acquisire una competenza: le competenze non sono oggetti che si prendono e si portano a casa come una cassetta degli attrezzi; però non si può neanche pensare che su certe competenze non serva uno studio costante e continuo.
Riconoscere che leader non di nasce, ma sia necessario studiare e aggiornarsi anche su questi temi, mi pare un passo quanto mai necessario e urgente.
POST SCRIPTUM
BLOG: Questo articolo è pubblicato anche sul mio blog stefanopollini.com
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Associate Professor in Management at University of Urbino
4 anniCome docente universitario non posso che essere d'accordo, grazie per lo stimolante articolo. Pongo alcune domande: in concreto, oggi, per un manager come può essere declinato "lo studio"? E' cambiata la propensione dei manager verso l'aggiornamento delle proprie conoscenze? In che modo avviene? Quanto tempo riescono a dedicare allo studio?
Key account, Export manager, Commerciale tecnico - Dottore in Scienze Politiche
4 anniSEestudiare non servisse, potremmo farne a meno tutti. Ma non so proprio se sarebbe un bene...:) Anch'io credo Stefano Pollini che le due cose di debbano integrare. Io ho sempre studiato e lavorato contemporaneamente. Ho sempre confrontato ciò che studiavo con la realtà che mi circondava e l'ho trovato molto utile. Le altre capacità, le cosiddette "soft skill", bisogna volerele trovare in se stessi e avere l'umità di volerle affinare. Se si pensa, arrogantemente, di possedere già tutto, non acquisiremo un bel niente e sarà comunque un fallimento, se non altro in termini di relazioni personali: nessuno sopporta gli arroganti.
Direttore - Automotive - Esports - Asti - Milano
4 anniRoberto.....50? Il solito ottimista ☺️
Sacrosante parole. Competenza come possesso di conoscenze e capacità di implementarle (in situazioni anche specifiche) ... che non significa avere semplicemente esperienza.