Marketing legale: come si costruisce il nuovo passaparola

Marketing legale: come si costruisce il nuovo passaparola

La promozione dello studio professionale è profondamente legata al passaparola. Lo è da sempre, lo è ancora. Nel 2015 scrissi un articolo per Diritto 24 che ritengo possa essere tutt'oggi un utile spunto di riflessione. Nella definizione di un piano di marketing e comunicazione di uno studio legale o di uno studio commercialisti, bisognerebbe sempre considerare il passaparola come la strategia di base dalla quale partire, ovviamente declinandola attraverso gli strumenti della comunicazione online e offline più opportuni definiti sulla base degli obiettivi di business e di posizionamento che si desidera raggiungere.

Da sempre gli avvocati si affidano al passaparola per garantirsi nuova clientela ma, si sa, i tempi sono cambiati, la concorrenza è spietata e il passaparola casuale non basta più: bisogna capire da dove nasce, attraverso chi e agire di conseguenza.

Tradizionalmente si tende a sperare che un cliente soddisfatto raccomandi il nome dello studio a un collega e che questa segnalazione possa generare nuovo lavoro.

Una ricerca condotta dall'americana Hinge Research Institute, che ha coinvolto oltre 500 tra studi professionali e società di consulenza, ha evidenziato come ben l'81,5% degli studi intervistati, abbia ricevuto segnalazioni da persone con cui non aveva mai lavorato direttamente.

Come e da dove si genera quindi il passaparola?

La ricerca ha individuato tre tipologie di referral:

  • Experience-based referral. Il tipo di segnalazione maggiormente riconosciuta: un cliente o qualcuno con cui si collabora o si è collaborato in passato raccomanda i servizi dello studio.
  • Reputation-based referral. E' una segnalazione fatta da un individuo o da un'organizzazione con cui non si è mai lavorato direttamente ma che conosce lo studio dalla sua reputazione.
  • Expertise-based referral. Il semplice fatto di posizionarsi sul mercato con una forte specializzazione, incentiva il passaparola sul nome dello studio professionale o del professionista.

L'expertise-based referral, nella maggioranza dei casi, arriva da qualcuno che ha ascoltato parlare il professionista a convegni e workshop (30%), che ha letto i suoi articoli nei giornali o sui blog (20%)o che ha interagito con lui attraverso i social media (17%), in misura minore può averlo rintracciato attraverso una ricerca online (solo per il 5%).

Questo studio afferma quindi, ancora una volta, che la reputazione di un professionista può essere costruita attraverso un uso coordinato e continuativo degli strumenti delle relazioni pubbliche e della comunicazione.


Immagine: Sources of Expertise Based Referrals - Hinge Research Institute

Un altro elemento importante che emerge dall'indagine è che gran parte delle segnalazioni non si trasforma in nuovo business e nuovi clienti. Perché? 

A trovare una risposta ci aiuta ancora la ricerca di Hinge Research Institute: molti potenziali clienti escludono gli studi professionali segnalati ancora prima di avere un colloquio con loro e questo prevalentemente per una mancanza di chiarezza nella loro comunicazione dei servizi offerti, delle competenze ed esperienze.

Gli intervistati hanno dichiarato l'inadeguatezza dei materiali di comunicazione e di marketing degli studi professionali segnalati e, in particolare, come emerga attraverso questi, più il desiderio di vendere un servizio che di rispondere alle vere esigenze del cliente.

I contenuti attraverso i quali lo studio si presenta, indipendentemente dai mezzi utilizzati, devono essere sempre di qualità, dove per qualità si intende anche e soprattutto la capacità di posizionare lo studio in maniera chiara così far comprendere al potenziale cliente di aver trovato i professionisti giusti ai quali rivolgersi.

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