MASSIMO GAGLIO. Le linee di una grande vita.

MASSIMO GAGLIO. Le linee di una grande vita.

PREMESSA

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Questo articolo, con l’ambizione di essere una biografia di Massimo Gaglio in due pagine, è stato un lavoro complesso; è stato fatto per la prima volta, ex-novo, e ben sapendo che la sintesi è tutto, nel pensiero e nei concetti.

Io non scrivo molto: non amo il romanzo, odio la saggistica, fatta da chi conosce poco o nulla di qualcosa, che troppo spesso pretende pure di insegnare ad altri. Potrebbe andare meglio qui la poesia, forse un teatro in versi, non proprio come Shakespeare, per il quale io e Massimo avevamo un amore condiviso: troppo difficile.

L’affabulazione, infine, richiede personalità, visionarietà e carisma: mi piacerebbe, ma a me per fortuna manca l’età per tutto ciò.

Non mi interessa affatto di mostrare me come personaggio, o spettatore di questa storia attraverso le poche cose che so di un'altra persona, o le molte che abbiamo vissuto assieme. Certo, è quello che di solito si vede in chi si spaccia per amico, allievo o peggio grande collaboratore di qualcuno: vivere un eroismo da contatto. Non è proprio il mio caso.

Per altri amici e "allievi" sarà difficile accettare proprio questo: la consapevolezza e la memoria concreta di trent'anni passati assieme a fare i medici, insegnare, fare ricerca, viaggiare, frequentare le stesse persone che valeva la pena di conoscere o rivedere. Evitare i politicanti, con il massimo possibile della determinazione e signorilità. Figurarsi se c’è un occhio benevolo da parte di chi è ostile, o lo è diventato ostile o sarcastico, a questa maniera orgogliosa di vivere.

Guglielmo Trovato, 5 giugno 2020.

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LA FAMIGLIA

Massimo Gaglio nasceva quasi cento anni fa a Catania, in una famiglia di forte radicamento cattolico, secondogenito della amatissima sorella maggiore Gea. Gea gli fu sempre vicina, soprattutto perché la madre era venuta a mancare troppo presto. Venne da Milano Gea. Per stare con lui negli ultimi giorni, pur essendo lei già gravemente ammalata.

Il padre era un avvocato cassazionista e rotale, grande cultore di diritto canonico e fratello di Gaetano Gaglio, anche lui di Girgenti, come Pirandello, Professore di Farmacologia a Catania. Fu poi a lungo direttore dell’Istituto di Farmacologia della Regia Università di Roma. Gaetano, lo zio, era l’autore del trattato di farmacologia e terapia, in uso in varie Università italiane. Era allievo dei grandi ricercatori del tempo, di scuola tedesca, Ludwig, e italiana, Mosso e Luciani, nei tempi in cui farmacologia, patologia e fisiologia erano indissolubilmente legate nella pratica di ricerca per comprendere la realtà della vita e delle malattie. Un modello non da poco.

Una famiglia di intellettuali e di professionisti, quindi, refrattaria alle lobby monarchiche, pseudo-aristocratiche, fasciste e persino curiali del tempo.

I genitori vollero che Massimo si diplomasse in una scuola pubblica, già a guerra iniziata, a Milano, dove nel frattempo si erano trasferiti. Il viaggio di Massimo Gaglio dal Nord al Sud Italia, negli anni della guerra partigiana in cui fu staffetta negli Appennini Emiliani sarebbe una storia a sé, troppo simile a tante altre, però. La nostra storia è diversa, e forse unica.

Dopo Milano, Gaglio torna a Catania, dove frequenta e si laurea in Medicina agli inizi degli anni ‘50, allievo interno di Bisceglie, Patologo Generale, e poi di Reitano, il grande anatomo-patologo. Le sue prime ricerche sono appunto condotte sotto la loro guida, già da studente. 

L'AMORE E L'AMICIZIA

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Nasce allora l’amore di tutta la sua vita per Odile Mazzone, bella e di ricca famiglia di Caltanissetta. Il padre magistrato, di origini piemontesi, proprietario con la moglie Lucia del Grand Hotel di Caltanissetta e di molto altro, tra cui la locale società elettrica. Con Odile, che invece sino a diciotto anni non era praticamente mai uscita di casa, e si era diplomata da privatista, Massimo condivise sempre tutto: l’amore appassionato, la sollecitudine per il prossimo e la visione generosa della professione e dello studio del medico, l'entusiasmo per i viaggi e per conoscere il mondo, le frequentazioni intellettuali con i grandi amici della loro vita. Amici carissimi, specialmente Dario Fo e Franca Rame, spesso ospiti a casa loro, come anche Maccacaro e Giovanni Jervis, Franco Basaglia e Franca Ongaro e altri ancora. Il mio ruolo e compito era di essere la loro guida turistica, gastronomica culturale a Catania e in Sicilia, giusto perché della Sicilia volevano vedere tutte le pietre, che io avevo imparato a conoscere in famiglia da vecchi archeologi.

I Gaglio amavano e praticavano gli sport di moda nella borghesia catanese di allora, tra cui il ciclismo (Catania-Etna tutte le volte che era possibile), l’alpinismo e lo sci, praticati soprattutto in Trentino, in val di Fassa, e il nuoto.

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LA GRANDEZZA DEL PENSIERO

Massimo Gaglio era spesso indicato con astio come “intellettuale” e “filosofo”. Ma Massimo viveva con la convinzione che la realtà procede indipendentemente dai nostri schemi concettuali, dalle nostre pratiche linguistiche, dalle nostre credenze. La realizzazione di esigenze ideali o morali richiede di confrontarsi apertamente, senza per questo lasciarsi stravolgere nelle propria identità e nelle proprie aspirazioni. Non ultima utopia, questa, ma non irrazionale perchè tutta la sua vita e le sue scelte procedono proprio da questo: bisogna sfidare il pregiudizio che idealità di giustizia e di pace siano solo concetti e progetti che non è possibile tradurre in pratica, e che è meglio mantenere allo stato di sogno, di fantasia. Capì subito che la logica del medico è sempre questa: sfida di concreta utopia, che risulta spesso vincente, almeno nel dare significato alla vita e alla morte con la consapevolezza di viverle e comprenderle.

Bene: il suo realismo fu di fare pienamente e in maniera eccellente il medico, prima assistente volontario, poi di ruolo, poi libero docente e su su sino a professore aggregato e infine ordinario, con Francaviglia, che era a Catania la Scuola clinica di Condorelli. Una Scuola con fortissimo radicamento fisiopatologico in ambito di Cardiologia e Gastroenterologia, basate sulle diagnostiche per immagini e sulle misure fisiche, meccaniche ed elettrofisiologiche. Non è un caso che la prima Scuola di Specializzazione italiana in Malattie dell’Apparato Digerente nasca a Catania, come anche la Scuola di Specializzazione in Cardiologia nasce in quegli anni contemporaneamente a Roma e a Catania.

E poi? Piacerebbe a molti che si possa archiviare tutto con l’aforisma: una grande carriera dietro le spalle. L’anacronismo imperfetto di una medicina olistica. Non è e non fu così. E la mancanza di propensione al familismo e al clientelismo, ostile anche alle lobby di partito, non era dovuta, come le malelingue amavano dire, al fatto che non avessero avuto figli, e quindi i Gaglio non sentissero responsabilità di discendenza biologica.

UN ACCADEMICO

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In tempi remoti fu Visiting Professor (1966 e 1967) alla California University, San Francisco e il suo riferimento era anche Dean T. Mason: ma anche questa sarebbe un’altra storia. Come anche fu Visiting Professor alla Facoltà di Medicina di Pechino nel 1965 e poi a l’Avana, a Cuba. Visiting Professor voleva e vuol dire che queste Università lo invitarono a tenere lezioni di fisiopatologia cardiovascolare (aveva scritto lui i capitoli del Trattato Italiano di Medicina Interna – Introzzi) e di modelli e prospettive di ricerca in gastroenterologia.

E nel frattempo? Ha sempre fatto il medico, cercato con speranza e fiducia da medici e pazienti, per le sue capacità di ragionamento clinico-diagnostico (conosceva e attuava la semeiotica fisica sempre, per metodo e verifica di informazioni che venissero da altri o da esami strumentali), e cercato con appassionato abbandono perché sapeva divinare prognosi e terapia in maniera coordinata e efficace. Era un grande nella predizione delle storie naturali di singoli pazienti, modificabile da interventi medici o chirurgici. Aveva la visione delle traiettorie di profilo fisiopatologico, quindi meccanicistico, non maldestramente statistico, come ben pensiamo di sapere fare oggi. E aveva pazienza, con i malati, le loro malattie, i loro parenti. Si poteva imparare tanto facendo insieme le cose con lui.

Dal 1973 assume l’insegnamento di Semeiotica Medica. Continuò con lo stesso metodo sino alla pensione, insegnando prima Patologia Medica e poi Clinica Medica e Terapia. Quale metodo? Le ore obbligatorie di lezioni frontali, in aula, svolte quasi sempre da solo, mai delegate se non in sua presenza. E poi un quotidiano lavoro personale, per quattro-cinque ore, con piccoli gruppi di 5-8 studenti, in corsia, con i malati, sei giorni la settimamna e anche in giorni getivi. Per un totale di 300-400 studenti per corso e anno, e anche più, perché molti cambiavano corso, sfuggendo ai loro naturali docenti meno impegnati con i loro studenti, per seguire lui, e forse un po' noi. Gaglio era infaticabile, a parlare, chiedere, ascoltare, visitare.

Cominciò ad accogliere qui allievi aspiranti docenti, che prima o poi lo catalogavano – forse appropriatamente – come un idealista con pochi bisogni materiali e grande disinteresse per i guadagni. A questi medici “volontari” dal 1976 al 1990 suddivise tutto –proprio tutto – il suo stipendio di professore Universitario e Primario, con piccole differenze proporzionali alla effettiva presenza e attività di ognuno. Non era molto, ma era abbastanza per aiutare le piccole economie di giovani medici che non avevano l’assillo di guadagnare con troppe “collaborazioni” professionali. Ed era poco meno dei magri assegni di ricerca di allora.

Così curavamo i malati in ospedale, facevamo epidemiologia clinica, andavamo a congressi nazionali e internazionali, e altro ancora, come in qualunque Istituto Universitario dinamico e attivo, ma con qualcosa di diverso. Con Gaglio è stata sempre una Scuola, come nelle buone Scuole Anglosassoni di Medicina, in cui il Consultant è sempre presente accanto e prima dei giovani studenti e medici. Non c’è Scuola senza Maestri. E diceva anche: date un posto fisso a un medico, e quasi sempre smetterà di lavorare seriamente. E ci mostrava gli esempi di prossimità.

Questa è l’utopia realizzata di Massimo Gaglio.

Non ci sarebbe molto altro da scrivere per raccontare un quotidiano ricco e intenso, sempre in ospedale, anche sabato e domenica, con una difesa orgogliosa della specificità del medico accademico padrone della cultura della cura e del paziente, unico vero titolare della propria salute. Consapevole della necessità di efficacia e della esclusiva committenza etica del medico: il paziente che a lui si affida.

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LA INVISIBILE EREDITA'

I libri scritti, discussi a fondo, pubblicati e venduti sino a ripetuto esaurimento scorte sono il segno di un’epoca, di una cultura condivisa e innovativa, di una consapevolezza di impegno da precursori. Non resta nulla? Non direi. È vero che ci dicevamo: noi scriviamo e leggiamo di queste cose quando abbiamo finito di lavorare, andando a letto; mentre altri di queste stesse cose ne scrivono con la seriosità di chi sta cambiando il mondo e l’autorevolezza di chi pretende di dominare le conoscenze. Gaglio direbbe che è meglio essere vivi nella continuità di chi ha tratto frutto e persino condiviso esperienze, idee e letture, che essere oggetti liofilizzati di studiosi del pensiero profondo, lettori occhiuti di libri collocati inverosimilmente alle radici del nostro tempo. Il Direttore di un quotidiano del Nord Italia, dopo essere stato con noi, commentò con la sua elegante r francese: mi affascina il vostro siderale distacco, tutto siciliano, dal denaro. E Giorgio Bocca, e Inge Feltrinelli, altri amici di tanti anni, come Cunsolo, vicini e decisi. E Giuseppe Fava: coraggioso sino all’estremo. Giornalisti e scrittori giovani, sedevano con noi nel salotto di Gaglio, attenti e solitari come nuvole. Come Francesco Merlo, colto, intelligente e determinato: fu bene consigliato a emigrare.

Quanti studenti di medicina seguivamo assieme anno per anno? 300-400, e in alcuni anni anche il doppio. Quindi forse diecimila o meno in tutto questo arco di attività. Non eravamo solo noi a fare questo, ma il metodo fu probabilmente abbastanza unico.

I libri di Gaglio, quasi tutti pubblicati da Feltrinelli o da Il Pensiero Scientifico, furono letti più nel resto d’Italia che a Catania. In effetti è a Milano, come a Chieti, come ancora a San Francisco o a Lille che si incontrano medici che ti chiedono: ma ti ricordi di Gaglio? Io posso e voglio rispondere a questa domanda solo un po’, come avrete già capito. E poi Gaglio non amava le foto e i ritratti. Distorcono l’anima. Ma che dire senza immagini?

Massimo rideva di una frase di Lee-Masters, anche dopo che lui stesso divenne protagonista di tale mutilazione: il veterano di una guerra di secessione che, per non impaurire un bambino che gli chiede dove ha perso la gamba, risponde: me l’ha mangiata un orso.

Ecco. Non ci sono orsi che possano divorare la persistenza delle idee.

NOTA: questo articolo, pur scritto per essere pubblicato altrove, viene qui presentato in anteprima per studenti e amici che potrebbero avere piacere a leggerlo.

Le parole sono troppe, purtroppo, perché diventa difficile fermarsi scrivendo e ricordando.

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Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare

e il silenzio della città quando si placa

e il silenzio di un uomo e di una fanciulla

e il silenzio per cui soltanto la musica trova linguaggio

il silenzio dei boschi

prima che sorga il vento di primavera

e il silenzio dei malati quando girano gli occhi per la stanza

e chiedo: Per le cose profonde a che serve il linguaggio?

Un animale dei campi geme uno o due volte

quando la morte coglie i suoi piccoli

noi siamo senza voce di fronte alla realtà

noi non sappiamo parlare.

Un ragazzo curioso domanda a un vecchio soldato

seduto davanti alla drogheria:

Dove hai perduto la gamba?

E il vecchio soldato è colpito di silenzio e poi gli dice:

Me l’ha mangiata un orso

E il ragazzo stupisce

mentre il vecchio soldato muto rivive come un sogno

le vampe dei fucili

il tuono del cannone

le grida dei colpiti a morte

e sé stesso disteso al suolo

i chirurghi dell’ospedale

i ferri

i lunghi giorni di letto

ma se sapesse descrivere ogni cosa

sarebbe un artista

ma se fosse un artista

vi sarebbero più profonde ferite che non saprebbe descrivere.

 C’è il silenzio di un grande odio

e il silenzio di un grande amore

e il silenzio di una profonda pace dell’anima

c’è il silenzio degli dei che si capiscono senza linguaggio

c’è il silenzio della sconfitta

e il silenzio di coloro che sono ingiustamente puniti

e il silenzio del morente la cui mano stringe subitamente la vostra

c’è il silenzio che interviene tra il marito e la moglie

c’è il silenzio dei falliti

il vasto silenzio che copre le nazioni disfatte e i condottieri vinti

c’è il silenzio di Lincoln che pensa alla povertà della sua giovinezza

e il silenzio di Napoleone dopo Waterloo

e il silenzio di Giovanna D’Arco

che dice fra le fiamme Gesù benedetto

e c’è il silenzio dei morti.

 

Se noi che siamo vivi non sappiamo parlare di profonde esperienze

perché vi stupite che i morti non vi parlino della morte?

Il loro silenzio avrà spiegazioni quando li avremo raggiunti.

Giuseppe Tropea

Specialista della formazione presso ARETÉ

4 anni

Grazie Guglielmo. Chi ha avuto la fortuna di conoscere Massimo e Odile, comincia ad avere una certa età. È dunque quanto mai utile e meritoria l'opera di ricordare la "cifra stilistica" di quei due campioni. Del Pensiero e della Pratica.

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