Mezzogiorno e Area MENA

Il Sud era ed è distante dai principali mercati, dalle principali economie e dalle aree economicamente centrali in Europa. D’altronde, la distanza geografica da queste non ha mai avuto la giusta considerazione all’interno del dibattito politico nazionale: le carenze infrastrutturali del Mezzogiorno permangono tutt’oggi e la distanza dai grandi mercati disincentiva la localizzazione industriale.

In effetti, i modelli proposti dalla New Economy sottolineano che la localizzazione industriale è un fenomeno che tende ad autoalimentarsi: “la presenza di imprese aumenta la dimensione del mercato e ciò attrae altre imprese, in un circolo virtuoso” (Malanima e Daniele, 2011, p.181).

È all’interno di questo processo che prendono forma centri e periferie economiche.

Nel nostro Mezzogiorno, la localizzazione industriale non ha mai offerto convenienze maggiori che al Nord. La peculiare geografia dell’Italia, un paese “troppo lungo” secondo G. Ruffolo, insieme ad altri fattori, ha contribuito certamente a determinare la perifericità economica del Sud.

Un crescente divario di produttività, una persistente mancanza d’infrastrutture, la presenza criminalità organizzata diffusa, carenze socio-istituzionali e politiche economiche non sempre efficienti, hanno reso il Mezzogiorno una delle aree più povere d’Europa.

La Rivoluzione Industriale ha avuto inizio in Inghilterra, si è poi estesa al Nord Europa, coinvolgendo a partire dal 1890 anche il nostro Settentrione. Se quest’ultima avesse avuto inizio in Africa o nel Medio Oriente, le cose, per il nostro Mezzogiorno, sarebbero state certamente diverse (Malanima e Daniele, 2011, p.182).

Tuttavia, attualmente l’industrializzazione è processo in rapida diffusione. In tal senso, Cina, India e Brasile sono esempi lampanti. Ma l’industrializzazione, oggi, sembra poter coinvolgere positivamente anche i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.

Il Mezzogiorno può essere coinvolto in questi cambiamenti più di quanto non possa esserlo il Nord del Paese o la stessa Europa continentale.  

Un ruolo di primaria importanza in questo processo dovrà essere assunto dalla Germania che, in virtù della propria superiorità politica ed economica nel contesto europeo, sarà costretta a scegliere se continuare a privilegiare la propria economia o preservare il processo d’integrazione europeo (C. Jean, 2012, 147). In pratica, la Germania nei prossimi anni dovrà scegliere se assumere il ruolo di faro politico ed economico in Europa o condannare quest’ultima alla dissoluzione.

Se la Germania, e quindi l’Europa, decideranno di aprirsi alle sponde del Mediterraneo, l’economia del nostro Mezzogiorno potrebbe ritrovare nuovo vigore e magari anche quella strada che, tra gli anni 60’ e 70’ del 900', aveva permesso una riduzione del divario economico tra il Nord e il Sud del Paese.

Tuttavia, i tentativi di approccio multilaterale che l’Europa ha messo in campo per legarsi al Mediterraneo sono fino ad ora falliti: dal Processo di Barcellona all’Unione per il Mediterraneo, fino ad arrivare alla “Politica di vicinato” (C. Jean, 2012, 151). È anche vero che l’Europa, fino a questo momento, non sembra avere mai avuto concrete intenzioni di legarsi economicamente all’’Area del MENA (Middle East and North Africa). In tal senso, un approccio migliore sembra essere quello bilaterale.

D’altronde, è da sottolineare che l’Area cresce a ritmi costanti e tendenzialmente superiori a quelli mostrati dai Paesi europei. Il Pil dell'Area MENA è cresciuto ad un ritmo del 2.5%, dal 2011 al 2016, e in calo di un solo punto percentuale rispetto al periodo precedente (2009-2013), ma comunque nel rispetto di un trend positivo (SRM, 2016). In particolare, Turchia ed Egitto, sono cresciuti rispettivamente a tassi che oscillano tra il 4 il 3%.

Nel 2016, al netto dei prodotti energetici, l’interscambio italiano con l’Area è stato di 49 miliardi di euro, in crescita del 96,9% rispetto al 2001. A riguardo, le stime parlano di un’ulteriore crescita nel 2018 di 5 miliardi. Inoltre, se consideriamo l’import-export totale, inclusa quindi la componente energetica, l’interscambio arriva a ben 66.5 miliardi di euro nel 2016 (SRM, 2016).

Una fetta importante dell’interscambio nazionale con l’Area MENA riguarda le regioni del Mezzogiorno. Infatti, l’ammontare raggiunge ben 14 miliardi di euro (20% del dato nazionale). L’Area Mena pesa per il 15% sul totale dell’import-export del Mezzogiorno, un’incidenza più elevata rispetto al resto del Paese che non supera l’8%.

Tutto ciò, all’interno di un contesto che vede il Mare Nostrum rinvigorito da una nuova centralità politica ed economica mondiale: il 76% degli interscambi tra la nostra economia e quella dell’Area MENA viaggia via mare. I nuovi investimenti dei porti del Mediterraneo (Port Said, Tanger Med, Pireo) stanno progressivamente rendendo l’area sempre più competitiva. Il bacino del Mediterraneo concentra nel 2016 il 19% del traffico mondiale, il 25% dei servizi di linea e il 30% del petrolio. Considerando le principali aree marittime europee e del Mediterraneo, “la quota di mercato container dei porti del Nord-Europa è passata dal 46% del 2008 al 42% dei giorni nostri; per i porti del Mediterraneo lo stesso dato passa dal 27% al 34%” (SRM, 2016).

L’Italia è il Paese europeo che ha registrato il maggiore volume di scambi con il Mediterraneo (58 milioni di tonnellate di merce). Se il nostro Paese riuscirà a far valere la propria voce in Europa e la Germania a far coincidere i propri interessi con quelli dell’UE, un punto centrale nel dibattito europeo potrebbe essere quello di riconoscere la nuova centralità del Mediterraneo e, quindi, la necessità dell’Unione, di stringere, con i paesi del MENA, rapporti commerciali solidi e maturi per agevolare lo sviluppo di quell'area del Mediterraneo e rafforzare l’economia europea.  

Il Mezzogiorno è oggi a un bivio fondamentale per la sua storia. Il rischio desertificazione sociale, industriale ed economica è alle porte (Svimez, 2015). Per il Sud, più che per il Nord, i rapporti commerciali con l’area del Mediterraneo potrebbero rappresentare l’ultima chance per sfuggire ad un destino che lo vede da troppi anni essere alla stregua di un Paese troppo ricco per essere considerato un Paese povero, e troppo povero per essere considerato un Paese ricco.

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