"MILOS, l'Andabata..." ... per chi è in cerca di forti emozioni
Per chi è in cerca di forti emozioni:
"MILOS, l'Andabata..."
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La più estrema fra le specialità gladiatorie, quella detta dell’andabata. Si trattava di un combattimento a mosca cieca. Sicuramente era quella affidata più al caso che alla capacità dell’atleta. Senz’altra difesa che un’arma a lama corta, più simile a un pugnale che a una spada, i contendenti si affrontavano privati del senso della vista, con un elmo a visiera calata e senza fessure per gli occhi. Il divertimento del pubblico consisteva proprio nelle stoccate a vuoto o in quelle che alla cieca finivano per sorprendere l’avversario.
Milos aveva chiesto ed ottenuto dal lanista Crescens di scendere nell’arena e misurarsi in quella specialità e per per la prima volta dopo l’incidente era tornato nel cavaedium, il cortile del Ludus Gladiatorius ad allenarsi con i nuovi tyrones, gli allievi gladiatori.
Crescens, che non nascondeva la grande soddisfazione, per l’occasione permise a un gruppo di suoi ammiratori di assistere agli allenamenti: le quotazioni del bel trace avevano raggiunto le stelle dopo che si era saputo della sua disgrazia e della decisione di tornare a combattere
“Milos, l’Andabata! - andava ripetendo quella vecchia volpe di Crescens - Suona anche meglio che Milos, il Traex! Sarà uno spettacolo che attirerà folle e per cui si potrà chiedere agli organizzatori dei prossimi giochi una bella sommetta!... E una bella fetta andrà anche a te, ragazzo!” e si fregava le mani per la soddisfazione e Milos lo “guardava” con quei suoi splendidi occhi verdi e spenti.
Senza rispondere.
Fragorosi applausi, dunque, quel mattino accolsero il suo ingresso nel minuscolo anfiteatro della caserma dei gladiatori. C’erano altri atleti nell’arena e stavano allenandosi con i rudiarii, gladiatori graziati e sopravvissuti.
Si battevano tutti con grande zelo, ben sapendo che da quella “scuola” dipendeva la propria vita il giorno in cui sarebbero scesi dal carro che li avrebbe condotti nella fossa di un circo, quasi in trionfo, nelle tuniche ricamate in oro, simili a pavoni con le code a ruota, ostentando sprezzo e coraggio e camminando in parata davanti a un pubblico delirante ed assetato di sangue.
Milos avanzò nel cavaedium. Conosceva perfettamente quel mondo, ma gli venne incontro carico di ombre, suoni e rumori. Sentiva le voci dei gladiatori che parlavano tranquilli, prima di azzuffarsi. Li sentiva scherzare e ridere, urlare e imprecare, insultarsi e compiangersi.
Pensò, come sempre faceva, che un giorno, quasi certamente, si sarebbero scannati e che sotto gli atteggiamenti scherzosi ognuno di loro cercava di scoprire difetti e punti deboli del compagno.
Perfino negli approcci verbali.
“Guarda là quel povero cieco!... Quante volte ho desiderato di infilzarlo col mio tridente! Mi fa quasi pena, adesso.”
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Passando sotto il portico sentì il commento del mirmillone Tessice e poi la risposta del reziario Decio:
“Io ho molto rispetto per lui. Anche a occhi chiusi, Milos il trace mi incute timore, amico!”
Continuò ad avanzare; il suo avversario lo aspettava al centro della pista, un giovane andabata. Scuro di pelle, alto, elegante, il capo completamente chiuso nella sua trappola di ferro calata sulla testa. Un sarmata, forse, o un altro prigioniero giunto dalla Germania.
Uno dei rudiarii gli si avvicinò con il casco in mano.
“No! - Milos respinse l’elmo con la mano armata - Metti via quel cassis... Sono già cieco! Non vedi?”
“Ti proteggerà il capo nudo. - tentò di replicare l’altro - Un nuovo colpo in testa potrebbe...”
“Restituirmi la vista… Questo potrebbe fare!... Dai colpi in testa saprò proteggermi da solo! – quello tentò ancora e ancora Milos lo interruppe - Non capisci, vecchio, che con questo casco mi renderesti due volte cieco?...”
“Vecchio?... Riesci a vedermi?”
E Crescens, che con occhio vigile seguiva ogni mossa o verbo
del suo pupillo:
“Lascia! Lascia stare, Pylades. Fai quello che dice.” disse avanzando nella pista lentamente e con aria di uomo assai navigato: quello splendido ragazzo gli era costato un prezzo elevatissimo e non era stato difficile trasformarlo nell’atleta acclamato delle arene: un “capolavoro” di cui era sempre stato orgoglioso.
Come Pigmalione lo era della sua magnifica statua. Adesso più che mai.
tratto da "LA DECIMA LEGIONE - Milos il Gladiatore" che potete trovare su AMAZON