Muoiono tutti i democristiani
“Quando morirò continuerò a parlare”.
E’ l’ultima frase famosa di Ciriaco De Mita. L’ha detta tre anni fa, in un incontro con De Luca nella sua Nusco, provincia d’Avellino, dove si è spento in settimana. Dopo aver dedicato una vita intera dedicata alla politica.
Entrato nel partito nel 1953 e in parlamento nel 1968. È stato sottosegretario, vicesegretario e poi segretario della Democrazia Cristiana. Più volte ministro, dell’Industria, del Commercio con l’estero e degli Interventi straordinari nel Mezzogiorno. In questa lunghissima carriera è stato a capo di un solo governo, dal 1988 al 1989, uno del mitologico pentapartito.
Un cursus honorum proseguito anche dopo Tangentopoli, all’Europarlamento e poi a livello locale. Era uno degli ultimi “notabili” rimasto in sella. Uno di quei transfughi del naufragio della Prima Repubblica che si è riversato anche sulla cosiddetta Seconda, in ordine sparso e confuso.
Dopo di lui resta pochissimo: solo Forlani tra i presidenti del partito o i capicorrente. E poi ovviamente Mattarella, che però dal meccanismo delle correnti e dai ruoli di spicco nella Dc era rimasto ai margini.
“Non moriremo democristiani” titolava il manifesto il 28 giugno 1983, all’indomani delle elezioni che segnavano un crollo della Dc di De Mita. Un auspicio che non si è ancora avverato a quarant’anni di distanza.
Adesso anche gli ultimi democristiani stanno morendo, cosa resterà di quei 40 anni finiti alla fine degli anni ’80? Continueranno a parlarci, ma noi li ascolteremo?