Nessun paese ammazza i suoi talenti come l'Italia
Ci sono dati che, messi nero su bianco, fanno male. E fa ancora più male che, di fronte a questi dati, non ci sia alcuna reazione da parte di chi straparla di conflitto generazionale a ogni piè sospinto, anche quando non sussiste granché, come nel caso della Brexit. I dati sono quelli dello Human capital index, classifica sulla valorizzazione del capitale umano che il World Economic Forum pubblica ogni anno. L’edizione 2016 è uscita il 27 giugno scorso e la fotografia che scatta dell’Italia è impietosa.
Siamo il 34esimo Paese su 130 per investimento in capitale umano e nemmeno sarebbe male, messa così. Il problema, però, è che davanti a noi ci sono più o meno tutte le economie mature del pianeta. Ci sono Finlandia, Norvegia e Svizzera, Giappone, Svezia, Nuova Zelanda, Danimarca, Olanda, Canada e Belgio, che occupano le prime dieci posizioni. C’è la Germania, che è undicesima. C’è la Francia, diciassettesima, il Regno Unito, diciannovesimo, gli Stati Uniti d’America, ventiquattresimi. Ci sono Ungheria, Cipro, Polonia e Ungheria. Poi ci siamo noi. E alle nostre spalle, la disonorevole compagnia di Spagna, Grecia e Portogallo.
Il problema è che partiamo bene, secondo il World Economic Forum. Siamo diciottesimi al mondo e sprechiamo “solo” l’8% del nostro capitale umano tra gli zero e i quattordici anni. Merito di un’istruzione primaria universale, pubblica, con alti tassi di scolarizzazione. Certo, sulla qualità qualcuno potrebbe avere da obiettare, ma le fondamenta sono buone.
I problemi arrivano dopo. Soprattutto e non è una sorpresa, quando parliamo di partecipazione dei giovani alla forza lavoro e di disoccupazione giovanile dove siamo fanalino di coda globale, non solo europeo: per la precisione, 123esimi e 122esimi su 130. Per la cronaca, siamo anche uno dei peggiori paesi al mondo (119esimi) per la formazione sul lavoro. Risultato? Buttiamo giù per lo sciacquone un mare di talento e creatività. Il 25%, secondo il World Economic Forum, che si prende la briga di misurarlo. E lo facciamo mentre blateriamo all’universo di genio italico, di Leonardo e Michelangelo e di altre vanaglorie assortite, rigorosamente risalenti a qualche secolo fa.
E lo facciamo, soprattutto, mentre sviliamo il lavoro creativo, pagando i professionisti poco e male, quando li paghiamo, come denuncia l’ennesima campagna per un equo compenso delle professioni intellettuali, hashtag #leideesipagano. Mentre il rapporto Unioncamere 2015 mette nero su bianco che, per crescere, le imprese italiane dovrebbero sostenere «le reti d’impresa che ibridano la manifattura col design, con la creatività, con la cultura produttiva che tutto il nostro territorio possiede». Parole, parole, parole. Tanto è sempre colpa di qualcun altro.
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Creative Manager | @Publicis Sapient | Content | PublicisGroupe | Copywriting Professor @NABA Milano – Master Creative Advertising and @Copy42 | UX and SEO writer | Content Design Specialist
8 anni"siamo anche uno dei peggiori paesi al mondo (119esimi) per la formazione sul lavoro. Risultato? Buttiamo giù per lo sciacquone un mare di talento e creatività". Che amarezza.
VP APAC at 505 Games (Digital Bros Group) | Board Member at Italy China Council Foundation
8 anniPer molti non resta che lasciare il Paese, ma il brain drain che ne consegue alimenta un circolo vizioso per lo sviluppo del Paese
Ph.D. | Dottore Commercialista e Revisore Legale
8 anniIstruirsi in Italia non rende. Perché è inversamente proporzionale al concetto di meritocrazia. investire nel capitale umano competente costa. Tanto vale abbassare i costi. Non ci si accorge però, che ciò che veramente si abbassa è la cultura e il rendimento.