Non ci è permesso fallire, quindi procrastiniamo.

Non ci è permesso fallire, quindi procrastiniamo.

Nella società di oggi il fallimento non è contemplato, quindi rimandiamo i compiti in eterno nella speranza che nessuno giudichi il nostro lavoro come fallimento. Questa è la procrastinazione, il classico "ma sì, lo faccio domani". E no non è segno di pigrizia ma è molto più insidioso, è un forte segnale d'ansia.

Lo abbiamo detto già diverse volte, il mondo del lavoro è cambiato. Il lockdown ci ha permesso di riscoprire il valore del tempo, nuove modalità di lavoro più fluide: dallo smartworking alla nascita di tante nuove professioni digitali, che ci permettono di gestire diversamente le nostre giornate, di lavorare dove e quando vogliamo.

Questo comporta lavorare per obiettivi, con delle scadenze. E se molti si sentono decisamente più liberi e motivati, c'è una parte di persone che può sentirsi sopraffatta e entrare in un circolo vizioso in cui rimandare costantemente sembra l'unica via per non sprofondare. La paura di fallire, di veder giudicato il proprio lavoro in maniera negativa può portare a una procrastinazione continua pur di non ritrovarsi faccia a faccia con un possibile fallimento.

Ma perché ci troviamo in questa situazione?


IL PUNTO DI VISTA DI NEUROSGAMI

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Camilla Di Pasquasio | @neurosgami

Camilla di Pasquasio, in arte "Neurosgami", unfluencer nonché Psicologa laureata in Neuroscienze, ci racconta il suo punto di vista:

"Il mondo del lavoro è cambiato e al giorno d'oggi per costruirsi qualcosa bisogna dimostrare di avere molte più skill rispetto al passato, tra cui competenze anche trasversali e la capacità di saper svolgere tante mansioni diverse. Questo approccio, che ci costringe a fare continua formazione, può essere stimolante ma alla lunga può generare stress non facendoci sentire mai all'altezza, in continua competizione.

Inoltre questa forma di lavoro più fluida, lavorare più a progetto rispetto ad un classico lavoro di ufficio senza orari fissi, non ci permette di staccare mai totalmente rischiando così di essere sopraffatti dai pensieri e dalle cose da fare e rimandare quei compiti che ci suscitano emozioni negative.

Per non parlare della società in cui ci troviamo, dove non ci è permesso fallire o essere mediocri, in cui ci sentiamo sempre a paragone con le vite degli altri che vediamo nei social e che generano senso di colpa perché noi non riusciamo ad ottenere lo stesso successo.

Se non produci non sei nulla.

Questo non può che scatenare emozioni negative che ci spingono a rimanere in disparte, senza provare a far nulla, senza metterci in gioco svolgendo compiti difficili abbiamo paura di fallire, di essere giudicati. Non possiamo ridurre un fenomeno di questa portata a semplice "pigrizia". Prima della produttività, della carriera, del denaro, c'è il benessere mentale e non possiamo non prendercene cura."


NON PIÚ POSSIBILI FALLIMENTI, MA POSSIBILI OCCASIONI

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Rimandare i compiti che suscitano emozioni negative possono dare un sollievo immediato, ma non può essere una soluzione. Quello che possiamo imparare a fare giorno per giorno è prima di tutto accettare le nostre mancanze, i nostri fallimenti, perché siamo esseri umani e fa parte di noi sbagliare. Anche se il mondo ci chiede di essere continuamente perfetti e in costante competizione, dovremmo imparare a fermarci e chiederci davvero se abbiamo bisogno di tutto questo o se semplicemente ci sentiamo in dovere di essere qualcuno che non siamo.

Impariamo ad accogliere le emozioni negative non come ostacolo al nostro lavoro, ma come una risorsa per conoscerci meglio. Scacciarle, evitarle, non farà che ingigantire il problema. Se invece ci dessimo un'occasione per iniziare finalmente quel compito che tanto ci fa paura, potremmo anche renderci conto che stiamo creando nuove occasioni per noi, per capire cosa vogliamo fare, cosa ci piace o non ci piace.

Non dobbiamo aspirare alla perfezione, dobbiamo impegnarci per costruire qualcosa che ci faccia vivere con serenità. I momenti difficili ci saranno, le emozioni negative non spariranno. Quello che può cambiare è il modo in cui le gestiamo, non ascoltando più chi vuole farci sentire in continua competizione con lo studente plurilaureato di turno o l'imprenditore di successo.

Anche le aziende devono impegnarsi a trasmettere valori che mettano al centro le persone e non solo le performance, perché ci ritroviamo in questa situazione anche a causa della politica del lavoro adottata fino ad oggi, dove le persone erano semplici risorse per guadagnare e dovevi essere uno squalo per fare carriera (anche con metodi discutibili).

Iniziamo ad ascoltare le persone con cui collaboriamo, i loro bisogni e le loro esigenze per creare un dialogo costruttivo, che sia momento di crescita per entrambe le parti. Dove non si condanna il fallimento, ma si impara da esso.

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