Occhio alla Tunsia
Tutti i giorni da circa quattro anni leggo, analizzo, interpreto e scrivo articoli sulla Tunisia. Le definizioni si sprecano: culla della primavera araba, esempio della democrazia nel mondo arabo, perla rara del Mediterraneo. In Italia, chissà perché, pensiamo che questa nazione esporti solo galeotti e ce ne freghiamo di cosa succede dall'altra parte del Mediterraneo. Ma basta aprire Google Maps per vedere che Tunisi è più a nord di Pozzallo, il porto siciliano dove sbarcano i migranti, e che Biserta, la città più settentrionale d’Africa, si trova sulla stessa longitudine di Agrigento. Per andare da Roma a Tunisi basta un’ora e mezza di volo. I tunisini sono da secoli i nostri vicini di casa: se la casa del vostro vicino andasse a fuoco, voi non vi preoccupereste?
La guerra in Libia
Nessuno ci pensa, ma la guerra civile in Libia ha delle pesantissime ripercussioni sulla Tunisia. L'offensiva militare del generale Khalifa Haftar, il “feldmaresciallo” con passaporto Usa sostenuto dalle petromonarchie del Golfo e dall’Egitto per far fuori i rivali della Fratellanza musulmana, ha prodotto almeno 100 mila sfollati. La stragrande maggioranza vive in Libia in alloggi privati da parenti o amici, altri sono ospitati nei centri di accoglienza temporanei, ma non basta. Le Nazioni Unite vogliono che il governo tunisino istituisca un campo profughi al confine, come nel 2011, quando la guerra contro Gheddafi in Libia e la “rivoluzione dei gelsomini” in Tunisia provocò una “bomba” migratoria che investì anche l’Italia.
Una bomba a orologeria
La Tunisia è sotto elezioni: entro fine anno si rinnova il parlamento e cambierà il presidente. Nessuno vuol sentire parlare di profughi e migranti. Non lo vogliono i politici in campagna elettorale. Non lo vogliono i cittadini tunisini delusi da una rivoluzione che doveva cambiare tutto e ha cambiato poco o niente. In molti pensano che la colpa sia anche della Libia. Il numero di libici stabilitisi in Tunisia dalla rivoluzione del 2011 ad oggi varia da una stima all'altra: qualcuno dice 100 mila, altri azzardano un milione. Nessuno lo sa con certezza. Ma è un fatto che la presenza libica in Tunisia - prima solo stagionale - è ora ben radicata nelle maggior parte delle città. Chi ha meno soldi si ferma a sud, a Gabes o Ras Jedir. La classe media si stabilisce a metà strada a Sfax. I più ricchi se ne vanno a Djerba, Sousse, Hammamet, Nabeul o Tunisi, generalmente nelle aree vicine agli aeroporti per tornare a casa quando sarà il momento, se mai arriverà.
Una convivenza sempre più difficile
All'inizio i libici erano i benvenuti, avevano aperto conti in valuta estera con ingenti somme, pagavano affitti di case altrimenti vuote, ma ora le cose sono cambiate. I prezzi degli appartamenti sono alle stelle, il mercato è come drogato. Il principio è semplice: più c’è richiesta (e più libici entrano nel paese), più aumentano i prezzi, ma i tunisini non riescono a tenere il passo. Molti proprietari hanno preteso un adeguamento degli affitti, costringendo gli inquilini a pagare il doppio o a lasciare spazio ai nuovi clienti: i libici. Molti tunisini si sentono stranieri in casa loro, accrescendo il risentimento nei confronti dei dirimpettai libici e degli speculatori.
Rischio crack
Senza un cambio di rotta, la Tunisia rischia il crack . Il boom dell’edilizia ha portato centinaia di nuovi appartamenti che i tunisini semplicemente non possono permettersi con i loro attuali stipendi e le rigide regole delle banche sui muti. La verità è che il settore delle vendite degli appartamenti in Tunisia è in crisi: anche con le sovvenzioni statali per facilitare la vendita ai funzionari della pubblica amministrazione, il mercato rimane bloccato. I prezzi degli appartamenti sono aumentati vertiginosamente: se nel 2011 l’affitto di un bilocale costava tra i 250 e i 400 dinari (circa 100 euro) al mese, ora costa oltre 900 dinari (circa 250 euro). La Tunisia rischia di diventare troppo cara per i tunisini.
Che fare?
La Comunità internazionale non sembra consapevole del grave pericolo che sta correndo la Tunisia. Se il paese cade nel caos, le conseguenze economiche, politiche e sociali per l'Europa saranno devastanti. L'Italia in particolare non può permettersi un altro Stato fallito dall'altra parte del Mediterraneo. Certo, la Tunisia non è la Libia: è un paese piccolo, non ha petrolio né gas, ma ha 11 milioni di abitanti (contro i 6 milioni di libici) ed ha una posizione geografica dannatamente strategica. Per anni ho sentito dire ai politici europei di tutti gli schieramenti che serve un "Piano Marshall per l'Africa": beh, è giunta ora di mantenere fede alla parola data o i tunisini faranno la fine dei libici e saranno cazzi amari per (quasi) tutti.