Oggi, 25 aprile

Oggi, 25 aprile

Oggi, 25 aprile 2020

Le ricorrenze legate alla storia del nostro paese mi hanno sempre spinto a riflettere su quale significato queste trovino ancora oggi, e come lo spirito e i valori di allora possano trasporsi di fronte alle sfide che il presente pone all’Italia, ispirandoci nel coglierle.

Per nostra fortuna, oggi non siamo reduci da una guerra che ci ha visti contrapposti ad altri Paesi o, ancora peggio, ad altri italiani, con le atrocità e le ingiustizie che tali avvenimenti si portano appresso. La maggior parte di noi però si sta interrogando su come le conseguenze della pandemia che stiamo fronteggiando cambieranno il nostro modo di vivere e se le implicazioni economiche determineranno un venire meno del benessere sin qui conosciuto.

Negli anni del dopoguerra l'Italia conobbe una fase di crescita economica straordinaria, che le garantì anni di sviluppo e benessere senza precedenti, tali da farne una delle più importanti potenze a livello mondiale. Questo processo trasformò profondamente la nostra società e consentì all'Italia di offrire un contributo fondamentale nella costruzione della Comunità economica europea, facendole ricoprire un ruolo di primo piano. Questi furono gli anni del cosiddetto miracolo (o boom) economico italiano. Penso all’Italia di quell’epoca storica come a un Paese che, conosciuti anni di guerre, distruzione e morti, non era più disposto ad aver paura ed era animato da una gran voglia di vivere. All’epoca, seppure nelle avversità, l’Italia si dimostrò all’altezza delle sfide che quel secolo le impose, facendo della Costituzione, delle istituzioni repubblicane e del confronto democratico che la riconquista della libertà le avevano donato i suoi pilastri.

Le paure di oggi non hanno a che fare solo con la propria salute e quella dei propri cari, ma anche con la perdita del proprio lavoro e conseguentemente dalla propria dignità. Questa inquietudine non è nuova, l’ultimo decennio ha visto il nostro Paese pagare a caro prezzo la crisi finanziaria ma, ancora prima, le trasformazioni economiche e tecnologiche come la globalizzazione e la digitalizzazione. La classe dirigente ha il dovere di proporre una visione e mettere in campo un progetto per portare l’Italia fuori da questo periodo storico che sembra condannare il nostro Paese alla rassegnazione e al rancore, ma ha il preciso dovere di fare questo non cavalcando queste paure o, peggio ancora, diffondendone altre.

La tecnica e la cultura non sostituiscono la politica e l’uomo, ma devono essere strumenti che guidano l’azione di questi. Resistiamo contro la rassegnazione, la mediocrità e torniamo a prendere l’iniziativa, a mobilitarci e a far accadere le cose. Smettiamo di temere le nostre paure e torniamo a sognare il Paese che vogliamo costruire, insieme. Questo oggi significa resistere.

Viva l’Italia libera.

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