Onere di immediata impugnazione del bando

Consiglio di Stato, Sez. V, 28 maggio 2020, n. 3365


"La scelta dell’amministrazione di affidare il contratto con una procedura di gara ad evidenza pubblica determina un pregiudizio in capo all’operatore economico interessato alla proroga del precedente rapporto, con conseguente onere, in capo a quest’ultimo, di immediata impugnazione del bando di gara".

Una società affidataria sin dal 2010 del servizio di gestione del ciclo di raccolta dei rifiuti aveva impugnato innanzi al TAR Campania l’aggiudicazione definitiva di un servizio di gestione integrata dei rifiuti solidi urbani disposta in favore della controinteressata dalla Centrale Unica di Committenza per conto di un Comune.

Secondo la ricorrente, infatti, tale Comune non avrebbe potuto indire la nuova gara in quanto, alla luce della disciplina nazionale e regionale, la gestione del servizio nel territorio comunale sarebbe spettata ex lege alla ricorrente già affidataria e non avrebbe potuto esserle sottratta fino all’indizione della gara da parte dell’istituendo ente di gestione dell’ambito territoriale ottimale ovvero dai comuni già costituiti in SAD o in forma associata mediante unione oppure convenzione (ai sensi della legge regionale della Campania 26 maggio 2016, n. 14, “Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti”).

L’Amministrazione comunale, costituitasi in giudizio, aveva eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del bando di gara da parte della società provinciale e, nel merito, ne aveva contestato la fondatezza, chiedendone il rigetto.

Il Tribunale adito ha accolto la suddetta eccezione di inammissibilità e ha respinto il ricorso.

La ricorrente in primo grado ha dunque proposto appello avverso la pronuncia del Giudice di prime cure, lamentandone l’erroneità per aver dichiarato inammissibile il ricorso proposto solo avverso l’aggiudicazione e non anche verso il bando di gara. In particolare, a parere dell’appellante, il TAR avrebbe errato nella statuizione resa in tal senso poiché la lesione contestata in giudizio dalla ricorrente in primo grado si sarebbe verificata in modo concreto e attuale solo con l’aggiudicazione; ciò tanto più che, nel caso di specie, non sarebbero venute in considerazione clausole immediatamente escludenti e, perciò, da impugnare immediatamente.

Inoltre, il Tribunale non avrebbe tenuto conto che l’impugnazione proposta, ancorché diretta principalmente nei confronti dell’aggiudicazione, era stata effettivamente estesa anche agli atti indittivi della gara, non potendo qualificarsi una mera clausola di stile la frase “impugnazione di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso”.

Il Consiglio di Stato ha condiviso la conclusione cui è giunto il giudice di primo grado circa l’omessa impugnazione del bando di gara, tenuto conto, altresì, della qualificazione in termini di mera clausola di stile della frase “impugnazione di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso”.

In particolare, il Collegio ha affermato che “(…) il vulnus alla posizione giuridica dell’appellante non può dirsi derivato pertanto dall’aggiudicazione, bensì proprio dal bando di gara, le cui finalità ed il cui fondamento giuridico erano evidentemente incompatibili con la pretesa di I. di essere il solo gestore del ciclo integrato dei rifiuti secondo la ricordata normativa, nazionale e regionale.”

Il medesimo Consiglio di Stato ha altresì evidenziato come l’interesse dell’appellante alla proroga del precedente rapporto sia stato immediatamente pregiudicato dalla scelta della stazione appaltante di affidare il contratto mediante una procedura ad evidenza pubblica, con l’effetto che in capo a quest’ultima si prospettava l’alternativa di partecipare alla nuova gara o impugnare quest’ultima (Cons. di Stato, V, 27 marzo 2019, n. 2020). E, infatti, “sulla società appellante gravava, pertanto, l’onere di immediata impugnazione del bando di gara, in applicazione dei consolidati principi della giurisprudenza secondo cui la contestazione dell’indizione della gara per l’affidamento in concessione di un bene o di un servizio costituisce una delle tassative ipotesi di immediata lesività del bando di gara che deve essere impugnato nel termine di trenta giorni (Cons. di Stato, V, 27 marzo 2019, n. 2020; Ad. Plen. 26 aprile 2018, n. 4). Solo l’eventuale annullamento del bando di gara, ove tempestivamente impugnato, avrebbe poi travolto automaticamente il provvedimento di aggiudicazione, la cui mancata impugnazione non avrebbe dato luogo all’improcedibilità del ricorso”.

Per di più, non può neppure valere come giustificazione la deduzione dell’appellante secondo cui la mancata tempestiva impugnazione del bando di gara sarebbe dipesa dalla mancata tempestiva – incolpevole - conoscenza del bando di gara.

Ciò in quanto il bando della gara era stato regolarmente pubblicato sull’albo pretorio, nel rispetto del generale regime di pubblicità prescritto dagli artt. 72 e 73 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

Ancora, il Supremo Consesso ha precisato che non può ritenersi satisfattivo dell’onere di tempestiva impugnazione del bando di gara il semplice richiamo alla formula consistente nell’estendere l’impugnativa anche “agli altri atti della procedura di gara e ad ogni altro atto presupposto, conseguente, connesso”, atteso che trattasi di una mera clausola di stile “(…) inidonea e insufficiente per estendere gli effetti del ricorso contro la determina presupposta di indizione della gara ed il bando, in assenza di un’espressa e tempestiva impugnativa di tali atti”.

Quanto detto è peraltro confermato da consolidati principi della giurisprudenza, alla cui stregua “il generico richiamo, nell’epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti, o la mera citazione di un atto nel corpo del ricorso stesso non sono sufficienti a radicarne l’impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell’oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure; ciò perché solo l’inequivoca indicazione del petitum consente alle controparti la piena esplicazione del diritto di difesa” (cfr. ex multis Cons. di Stato, VI, 3 ottobre 2018, n. 5672; V, 29 novembre 2017, n. 5609).

In ragione di quanto sopra il Collegio ha quindi respinto l’appello e confermato la pronuncia di primo grado.

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