Paradigmi, comfort zone e resilienza
“Mi libero dai paradigmi legati alla mia storia, successi e insuccessi. Apro nuove possibilità, vivo nel futuro. La mia identità si rafforza “fuori” da vecchie conversazioni, non sono più prigioniero, sono io che scelgo loro.” (da A Beautiful Mind).
Il personaggio principale di questo film (ricordo che è tratto dalla vita dello scienziato John Nash, premio Nobel per l’economia) per una grave patologia psichica vede e vive con personaggi del tutto immaginari: il suo mondo è fatto di relazioni e rapporti con fantasmi, proiezioni del suo io malato, per quanto geniale. Ritroverà un equilibrio, un’identità, come descritto nella citazione iniziale, liberandosi dalle vecchie conversazioni, riprendendo per se stesso la possibilità di sceglierle.
E’ singolare come esempio, per quanto estremo, del modo con cui le conversazioni interiori, quelle frasi che riempiono la nostra mente durante il corso della giornata, funzionino. Le nostre convinzioni radicate, i paradigmi consolidati, prendono vita come entità autonome, conducendo in certi casi (quotidiani, non necessariamente patologici) una vita, si potrebbe dire, autonoma dalla nostra e condizionandoci grandemente.
E’, infatti, sulla base di queste convinzioni, maturate spesso molti anni prima, nel nostro lontano passato, che noi proviamo emozioni, percepiamo la realtà, attiviamo comportamenti.
Cecità da paradigma
La convinzione, il paradigma, è un modello mentale con cui osserviamo il reale: per un fenomeno fisiologico legato al funzionamento della vista, studiato ampiamente dalla teoria della Gestalt, selezioniamo gli elementi che corrispondono al modello mentale attivo in quel momento; il paradigma fornisce questo modello mentale, si potrebbe dire “preconfezionato” e ci impedisce di vedere il resto, ciò che non corrisponde al nostro sistema di convinzioni. Come dire che vediamo con chiarezza solo ciò che in quel momento la nostra mente sta cercando, il resto viene messo sullo sfondo e non percepito.
Comfort zone
Noi siamo i nostri paradigmi, le nostre conversazioni.
Vero è che questi paradigmi assolvono un’importante funzione difensiva, consolidano una barriera protettiva, che costruiamo intorno per sopravvivere (più che vivere) permettendoci di restare in una zona di relativa sicurezza: la cosiddetta “comfort zone”.
Questa zona è delimitata dalle nostre convinzioni radicate, una sorta di rete sempre più fitta che impedisce a nuovi paradigmi, di forma diversa dai nostri, di entrare nel nostro mondo di percezioni, e possono diventare col tempo un muro che ci isola (e protegge) dalla realtà.
Al di là di quel muro la realtà, che noi però percepiamo come “zona di rischio”.
Fare dei passi là fuori è qualcosa che temiamo molto… tutto ci sembra nuovo e non controllabile: in realtà non è così, ci sono infinite esperienze che potrebbero arricchirci e nutrirci senza particolare rischio.
Da questo punto di vista l’equilibrio profondo dell’essere umano è un equilibrio atavico fondato sulla paura, ma non è necessario rimanere inchiodati a questa dimensione di vita meccanica, che fa parte più del regno animale, che del regno propriamente umano (leggasi spirituale).
Resilienza
Che cosa ha a che fare la Resilienza con questo? Molto.
La resilienza individuale ha nell’interpretazione cognitiva, quindi nella lente che applico per conoscere la realtà, il suo punto centrale.
Questa “lente” può essere frutto di scelta e condizionerà, mi viene da dire totalmente, l’interpretazione degli eventi intorno a me: un’interpretazione positiva, di possibilità aprirà nuove opportunità di realizzazione, nuovi risultati, nuovi successi; al contrario per un’interpretazione negativa, critica…
Credo che più o meno si funzioni così: davanti a una nuova azione impegnativa (gara, avvio di un progetto, una nuova relazione…) il corpo (una specie di cane fedele sempre attento a cosa sta per fare il padrone) guarda ai segnali che la mente esprime: segnale di possibilità, semaforo verde, il corpo rilascia le grandi energie di cui dispone. Se il segnale è critico di impossibilità (semaforo rosso), il corpo non rende disponibili le proprie risorse energetiche, perché non si impegna in un’impresa che la mente ritiene difficile o addirittura impossibile.
Siamo noi che determiniamo (quasi sempre inconsapevolmente) le nostre possibilità di successo e se cadere nello stress davanti a un evento, un’esperienza significativa che stiamo per vivere, oppure impegnarci con gusto in una interessante possibilità di realizzazione. Se scegliamo questa seconda strada, siamo nel cuore della resilienza individuale.
Paradigmi come conversazioni
I paradigmi, le conversazioni interiori, sono né più né meno che frasi, stringhe di parole.
Quando noi esprimiamo un concetto, un’idea, un’opinione, esprimiamo una frase che si è formata dentro di noi e che noi rilasciamo come (nostra) verità.
La parola, anche da questo punto di vista funzionale, ha un enorme potere: struttura la nostra stessa identità. I nostri paradigmi hanno una forma verbale; e così potremmo dire che le nostre verità, le credenze e le opinioni che difendiamo a tutti i costi come essenziali per noi, e a cui colleghiamo ciò che siamo, la nostra stessa identità, sono “semplicemente” delle conversazioni. Questa è la brutta notizia.
L’errore che commettiamo è di identificare noi stessi con queste convinzioni: non è così, noi siamo qualcosa di molto più grande e libero. Superata quindi la momentanea disperazione legata a questo insight, possiamo esplorare un altro punto di vista. Se, infatti, i nostri paradigmi consolidati sono “solo” conversazioni, questo significa che possiamo cambiarle, creandone altre, più funzionali all’esplorazione del futuro che abbiamo davanti a noi, ricche di nuove possibilità.
Questa è la buona notizia e l’insegnamento più profondo della nostra resilienza individuale.